23/07/10

Aggiornamento delle vacanze.

Sono già partito, starò fuori un paio di settimane, e dubito di aggiornare il blog in questo periodo. Vi lascio allora con un mini-aggiornamento su tutto quello che è successo ultimamente, aspettando di risentirvi tutti ad Agosto. O anche a Settembre, se volete andare in vacanza pure voi ^^.

Scrittura: continua la calma piattissima. Agli editori non mando più nulla (anche perché semplicemente non ho più nulla da mandare) e prima di tornare a scrivere narrativa, come già detto tempo fa, credo che passerà ancora un bel po' di tempo.

Ho scritto invece qualche altro articolo carino per il blog, e tutto sommato penso che alla fine verrà una raccolta interessante. Credo anche che a molti lettori potrebbe piacere, ma dubito che un qualsiasi editore sarebbe interessato a una pubblicazione che - come tutto quello che scrivo - è difficile inquadrare nei generi e nelle collane standard. Ma non fasciamoci la testa prima di essercela rotta: intanto scrivo, e poi vedremo.

I miei ebook invece hanno avuto un leggero picco, dovuto alla segnalazione su questo blog dedicato all'ipad. La sensazione è che quel coso stia vendendo un casino, e che l'ebook stia finalmente per diventare di uso e consumo comune. Come già detto infinite volte non mi aspetto che questo torni a favore degli ebook autoprodotti, perché alla fine ci vorrà un editore e una campagna di marketing anche per far leggere un libro digitale e chi resterà da solo sarà sempre più invisibile.

Buffo come l'ipad sia illegibile sotto il sole, per cui se la tavoletta della Apple divenisse il primo strumento col quale leggere ebook, il libro di carta continuerà ad avere il suo mercato nelle situazioni in cui lo schermo sarebbe illegibile (al mare, sulle piste da sci eccetera). Tutto sommato, potrebbero iniziare a convincerci che conviene comprare tutti e due, ebook e carta book. Poi magari tra un paio d'anni sarà la Apple a fare un ipad con schermo e-ink: e allora quello sì che venderebbe a palate.

Università: Biochimica è il primo esame, in due anni, nel quale mi hanno ufficialmente bocciato dandomi allo scritto un voto (15) inferiore al minimo richiesto per l'ammissione all'orale (18). Altre volte mi hanno semplicemente consigliato di rifiutare un voto basso (che non mi avrebbero comunque dato) o sono stato io a lasciar perdere e a non presentarmi.

E insomma la mia amica Biochimica tornerà a trovarmi a Settembre, insieme purtroppo a Microbiologia che ancora devo iniziare a preparare. La mia idea era di finire tutti gli esami del secondo anno prima dell'inizio del terzo. Questo si rivelerà probabilmente impossibile, ma volendoci almeno provare temo che da metà Agosto dovrò già rimettermi sui libri.

Chi è causa del suo mal pianga se stesso... ma io me la prendo comunque con la Biochimica, invece.

Volontariato: è un po' che non ne parlo, per cui concludo con questo. A Giugno sono finiti i vari corsi e retraining (dei corsi di ripasso) ed è un po' che per via degli esami non faccio turni in Ambulanza. Tornando però dalle vacanze in pieno Agosto, mi aspetto che ci siano un sacco di buchi e turni da coprire e penso che almeno per quanto riguarda il 118 mi rimetterò abbastanza in pari fino agli inizi di Settembre.

Poi finita l'estare ricominceremo coi corsi di rianimazione, ai quali si dovrebbe aggiungere anche la rianimazione pediatrica per la quale non sono ancora nemmeno abilitato. Insomma, oltre agli esami universitari finirà che avrò pure qualche esame in Croce Rossa... ma lì, in genere, di Biochimica chiedono poco.

Simone

19/07/10

E dopo la (seconda) laurea?

Me lo chiedono spesso, e devo ammettere che tante volte me lo chiedo anch'io: ok, stai prendendo una laurea in Medicina. Fin qui, non è che ci voglia molto, a parte magari un po' d'impegno e voglia di studiare. Ma dopo?

Cioè, cosa farò dopo ri-laureato? O cosa fare, in generale, per chi come me finirà gli studi ben oltre l'età canonica nella quale ci si laurea e si inizia a lavorare.

Ammetto che è un discorso complicato, perchè non è facile avere le idee chiare prima di sapere quello che succederà in futuro, e prima soprattutto di iniziare a frequentare qualche reparto e capire che cosa mi piace davvero.

Durante la mia prima laurea - nel secolo scorso - era normale essere considerati vecchi passati i trent'anni, e rischiare di avere grosse difficoltà lavorative. In effetti, a dire la nuda e cruda verità, quello che ho studiato a Ingegneria non ha mai avuto alcun valore applicativo dal punto di vista del lavoro: quello che farai come ingegnere Civile (per non dire come ingegnere e basta, includendo tutti i settori) lo impari dopo la laurea, e generalmente di corsa e da solo, perché ti serve per il lavoro che stai facendo in quel determinato momento.

Non che la laurea in Ingegneria non serva. Ti dà l'impostazione della quale hai bisogno per fare determinate cose, ma poi a 30 anni se non hai mai lavorato in un dato settore allora di quel settore non saprai nulla di nulla, perchè l'università è quasi esclusivamente teorica oppure si occupa di progetti ambiziosi e raffinati che, nella realtà, non capitano mai.

Medicina, invece, è un po' differente. I tirocini in ospedale iniziano dal terzo anno, per cui se vuoi e se ti impegni (perchè secondo me puoi limitarti a frequentare e a stare lì, senza sforzarti di imparare nulla) alla fine bene o male qualcosa la saprai fare per davvero.

Ancora, tra laurea e specializzazione non mi stupirei di incontrare gente di 40 anni che deve dare ancora chissà quanti esami. Voglio dire, potrebbero semplicemente prendermi per uno molto fuori corso, piuttosto che per qualcuno che c'ha pensato troppo tardi. Anche se, sinceramente, non so quale delle due cose mi convenga meno.

Il discorso specializzazione, invece, è un po' un'incognita. Sinceramente dubito che, a quasi 40 anni e con una media non altissima, riuscirò a entrare in una delle specializzazioni più interessanti. Rischio, e anzi ne sono quasi convinto, di rimanere tagliato fuori un po' da tutto, come purtroppo rimarranno fuori in tanti anche più bravi e più giovani di me.

Sinceramente, però, mi interessa poco: se devo pensare al medico che sarò tra qualche anno, io mi immagino come un medico di famiglia col proprio studio, e non in qualche reparto ospedaliero. Magari avrò pochi pazienti, ma sarò in grado di seguirli e consigliarli un po' in tutti i campi, eventualmente con la collaborazione di uno specialista più esperto di me.

Da questo punto di vista, in questo momento stavo pensando a una specializzazione e a dei reparti che mi consentano di venire a contatto col maggior numero di pazienti, situazioni e professionisti dai quali imparare. Mi piacerebbe iniziare dei tirocini al pronto soccorso, e poi frequentare un reparto di Medicina Interna. Dopo 3, 4, 5 o chissà quanti anni passati così, credo che se anche la specializzazione non me la daranno mai sarò comunque in grado di seguire i miei pazienti, e di saper indirizzare e consigliare nel modo migliore chi deciderà di affidarsi a me.

Mi piacerebbe anche continuare a fare volontariato. Questa scelta di ricominciare praticamente da zero è nata anche dal desiderio di trovare passione in quello che faccio quotidianamente, e nell'avere un lavoro che mi faccia sentire soddisfatto. Fare il medico, anche per cose banali e in situazioni lontane dal prestigio e dalla fama di certi ambienti, credo che possa comunque dare un senso alle troppe ore passate sui libri a imparare nomi, formule e nozioni.

Insomma, per tirare le conclusioni: ora come ora non posso sapere che medico sarò una volta finiti gli studi, e di cosa finirò per occuparmi. Tra l'altro potrei ancora mollare tutto e riprendere a fare l'ingegnere a tempo pieno, non ci sarebbe niente di cui stupirsi!

Quello di cui sono sicuro è che non sarò un medico importante, famoso, che lavora per chissà quali cliniche e ospedali prestigiosi, e con chissà quanti pazienti. Per tante persone, per la burocrazia universitaria e per molti colleghi sarò sempre un dottorino di serie b, che avrà sempre meno esperienza e meno qualifiche del dovuto.

Però credo anche che farò un lavoro che mi darà soddisfazione, e che sarò la persona che volevo essere. E se anche fosse soltanto questo, credo che mi accontenterei volentieri.

Simone

16/07/10

L'ultimo calzolaio.

L'altra sera: tragedia.

Mi arriva un invito all'ultimo momento per una cena in qualche posto molto centrale. Indosso di corsa un paio di jeans, una polo, poi vado ad allacciarmi le scarpe e... strapp! Mi partono i lacci. Cioè me ne parte - nel senso che si rompe e mi resta in mano - uno soltanto, ma le scarpe sono comunque inutilizzabili.

Va bene, ok, ci sono cose più gravi nella vita, e il termine tragedia è stato forse un'esagerazione. Resta il fatto che con 39 gradi all'ombra sono dovuto andare in centro con le scarpe invernali, perché non avevo nient'altro di estivo che non fossero dei sandali o semplici scarpe da ginnastica. E visto che nei locali qui a Roma sono psicopatici, avevo paura che con quelle non mi lasciassero entrare.

Comunque sia sono sopravvissuto, e tra l'altro era un posto talmente scrauso che potevo andarci benissimo anche in mutande... col solo rischio che mi cacciassero via per essere troppo sexy. Il giorno dopo, ho deciso che le scarpe tutto sommato erano ancora nuove, e potevo limitarmi a cambiare i lacci. E così sono andato dal calzolaio.

Mi sono tornati in mente tutta una serie di ricordi di infanzia: il negozietto nel seminterrato, il signore anziano circondato da scarpe rotte (i calzolai erano tutti anziani anche 30 anni fa, sembra strano ma è così) l'odore del cuoio e le macchie di grasso che ricoprono ogni centimetro quadro di qualsiasi superficie, parete, animale o persona che rimanga lì dentro per più di 10 minuti. Se fossi un autore di fantascienza mi inventerei che il grasso in realtà è una specie di alieno sfigato che voleva conquistare il mondo insinuandosi nelle scarpe degli umani. Ma che poi è rimasto intrappolato nella bottega del calzolaio perché - per l'appunto - è sfigato.

Ma ora scrivo cavolate di tutt'altro genere, per cui vi parlo di cosa è successo davvero.

"Ce l'ha un paio di lacci come questo?" domando, tirando fuori da una tasca lo spezzone che mi è rimasto in mano il giorno prima.

Il calzolaio è un signore come già detto anzianotto. Quasi pelato, sovrappesissimo, faccia simpatica e l'aria di chi non ucciderebbe nessuno a sangue freddo, anche se passa tutto il giorno in un seminterrato lurido e buio. Io a queste cose ci guardo sempre.

"Di che lunghezza li vuole?" mi chiede, con un sorriso.

Serviva la lunghezza? Mi dico. Ma porc... !

Ok, velocizziamo: torno a casa, prendo l'altro laccio che è ancora intero, torno lì dal calzolaio e almeno qui sulla carta il problema è risolto. Ma nella realtà, è stata una gran rottura di palle.

"Lo voglio lungo uguale a questo" gli dico, dandogli il laccio stavolta integro direttamente in mano.

Il signore misura il laccio (e lo so che è brutto ripetere sempre laccio laccio laccio, ma non conosco alcun sinonimo da poter utilizzare. A parte stringa, che però non mi piace perché mi ricorda troppo qualcosa che ha a che vedere con la matematica). Poi va nel retrobottega, e inizia a frugare tra cataste di cordini di tutti i tipi.

Ce ne saranno milioni diversi: rotondi, piatti, rettangolari, quadrati, triangolari... e poi colorati, grigi, neri, beige (un colore simile al marrone che vedono solo le donne) a righine e a righette, a pallini e a stelline. Tutti i tipi di laccio di tutte le scarpe mai prodotte da un essere umano... tranne quelli delle mie, che invece erano diversi.

"Se vuole può prendere questi qui un po' più corti" mi dice il calzolaio, trafficando col contenuto di una scatola di cartone. "Basta che ci fa un nodo, taglia la parte che avanza, li gira sotto alla prima asola delle scarpe e ha fatto".

Mentre parla fa anche il gesto di annodare, tagliare e poi qualcos'altro che però non ho capito.

"Forse è meglio che prendo questi altri" dico, scegliendo tra i lacci già pronti un paio che più o meno assomiglia a quelli che cercavo io. "A fare questi lavori manuali sono un po' impedito".

"Non è che a fare un nodo ci voglia tanto" mi spiega il signore.

E questo lo so, è vero. Non ci vuole tanto, e penso che sarei tranquillamente capace. Però di star lì a provare e vedere che viene fuori - per un paio di lacci che costano due euro - tutto sommato nemmeno mi va.

"Ma questi che ho preso sono per il piede destro o per il sinistro?" domando, cercando di cambiare argomento facendo lo spiritoso.

Il calzolaio fa finta di non capire. O forse pensa che sono talmente idiota da dire sul serio, e lascia perdere.

"Comunque altri purtroppo non me ne arrivano" dice, tornando dietro al suo bancone. "Perché tra un po' chiudiamo pure".

Ma chiudiamo chi?! Sarebbe da chiedergli, visto che sta lì da solo in un negozio minuscolo. Poi però mi limito a pagare quello che ho preso, dopo di che saluto e me ne vado.

"E' stato davvero gentilissimo" dico, salendo le scale che portano all'esterno.

Mentre mi allontano, mi domando se mi ha detto che chiude per via delle vacanze, o se chiude - anzi chiudono - perché chiudono per sempre e basta. Certo di negozi di artigiani dalle mie parti ne sono rimasti pochi: gli affitti sono altissimi, e quante stringhe del cavolo devi vendere se pretendi di camparci pure? Sicuramente troppe.

Penso anche che forse non sono davvero troppo impedito per fare certi lavori, ma di sicuro sono troppo pigro per impararli. La cosa assurda è che tra un po' - un bel po' diciamo - avrò due lauree. E quasi tutti quelli che conosco hanno un titolo di studi di qualche genere, o comunque fanno un lavoro intellettuale.

Una generazione di programmatori, grafici, ingegneri, disegnatori, avvocati, commercialisti, informatici, consulenti, venditori e chi più ne ha più ne metta. Tutti stracolti e strapreparati, ma che se si rompe un qualsiasi aggeggio di uso quotidiano facciamo prima a comprarlo nuovo che a metterci sopra le mani.

E il fabbro, il calzolaio, il sarto, il falegname... che fine hanno fatto? Forse non servono più?

Decido che questa è una cosa della quale, forse, vale la pena scrivere: accendo il PC, trascino il puntatore, clicco col mouse, avvio programmi e poi digito sulla tastiera. Click click click click, migliaia di volte, senza quasi nemmeno un errore.

A guardarmi mentre sono al computer, qualcuno direbbe che sono bravissimo.

Simone

14/07/10

L'esperienza di Paolo.

Quella che troverete qui sotto è una delle tante esperienze personali che mi sono arrivate da altre persone che - come me - passata ormai una certa età si sono trovati di fronte alla decisione se prendere (o riprendere) o meno un determinato percorso di studi. Alcuni hanno ricominciato a studiare. Altri hanno accantonato l'idea, e altri ancora si trovano invece nel dubbio: indecisi se iniziare o meno un percorso che sarà sicuramente difficile.

Da oggi, inizierò a pubblicare questi messaggi. Credo infatti che condividere certe esperienze, e soprattutto dargli un minimo di visibilità in più inserendole in alcuni post dedicati, possa essere importante per chi - trovandosi in una situazione analoga - è in cerca di qualche consiglio. Credo anche che - dovendo prendere una scelta importante - rendersi conto che la stessa situazione è stata vissuta anche da altri può essere di grande conforto. Sicuramente lo è stato per me quando, due o tre anni fa, indeciso se riprendere gli studi o meno passati i 30 anni, cercavo su forum di medici e studenti universitari le storie e i racconti di chi aveva già fatto in precedenza una scelta analoga alla mia, per capire a cosa stavo andando incontro.

Spero insomma che questi racconti daranno a qualcuno la spinta necessaria - in un senso o nell'altro - per uscire dall'indecisione nella quale potrebbero trovarsi. E ringrazio sinceramente di cuore gli autori di questi messaggi, che decidendo di rendere pubbliche le loro esperienze hanno reso possibile questa mia piccola iniziativa.

L'esperienza di Paolo.

Ciao Simone,
ho letto con piacere il tuo blog.
La tua esperienza di vita è davvero notevole ed unica, come molte altre.
Anche io come te ho una laurea, sebbene triennale, in scienze dell'amministrazione.
All'età di 23 anni, terminata la laurea decisi di entrare a medicina; tuttavia non riuscì nell'intento, ed entrai in farmacia, nella speranza che l'anno successivo mi convalidassero gli esami.
Sfortunatamente(o fortunatamente) ho trovato lavoro a tempo indeterminato in una azienda locale, e così, per 1000 euro al mese, ho lasciato farmacia.

Per 5 anni ho continuato così, sottopagato e notevolmente stressato.
L'altro giorno ho deciso di dare le dimissioni, e adesso tento di completare con la laurea specialistica in economia, visto che mi hanno convalidato parecchie materie.
Tuttavia non passa giorno che non ripensi a medicina, ed a come sarebbe stato bello, anzi meraviglioso, poterla studiare come tanti altri ragazzi. tu sei già al 2 anno, almeno credo, e ti ammiro moltissimo.
Anche io ho la passione per la scrittura e per la pittura, ma mai messa a fuoco per ragioni di forza maggiore.

E devo dirti che, rileggendo il tuo blog, un pò di nostalgia per le mie vecchie passioni è riemersa.
Anche se sono consapevole, mio malgrado, che probabilmente rimarranno soltanto delle illusioni ed a settembre non farò il test di ammissione.
Innanzitutto perchè oggi è fortemente pilotato ed entrare sarebbe complicato, e poi sacrificherei del tempo allo studio dell'economia che, pur non piacendomi, al momento è tutto quello che ho.
In extremis ho pensato di provare il test a l'Aquila, anche se sono consapevole che ovunque sarebbe difficilissimo poter entrare.

Non voglio tediarti ulteriormente con le mie esperienze, ma credo sia giusto condividere con te questa esperienza, perchè ti credo simile a me nel modo di interpretare alcune parti di mondo :-)
Buona fortuna per tutto. qualora tu voglia scrivermi sono a disposizione per scambiare quattro chiacchere.
Con stima

Paolo.

08/07/10

Perché avere un blog?

Ho aperto un blog all'incirca 3 anni fa. E vi dico subito che sono contento di averlo fatto.

Scrivere online mi ha permesso di confrontarmi con la realtà. Di crescere come autore, di pubblicare il mio primo (e per ora ultimo) libro e di capire come funzionano tante, tantissime cose.

Tre anni fa, dicevo, ho aperto il mio primo blog in cui parlavo di scrittura, dei miei libri, di editoria e dei cosiddetti scrittori emergenti dei quali facevo e faccio tutt'ora - mio malgrado - parte.

La mia idea, il motivo per tenere un blog, la ragione insomma per cui ho iniziato a scrivere online, era il desiderio di trovare dei lettori e farmi leggere.

Quello che volevo era pubblicizzare e diffondere i miei libri, nella speranza di farmi conoscere da sempre più persone fino al punto di - e questa era un'idea un po' ridicola - diventare uno scrittore vero e proprio.

Erano già evidenti alcune mie carenze interpretative, se vogliamo chiamarle così: confondevo ancora lo scrittore conosciuto con lo scrittore vero, come se essere un autore si accompagnasse necessariamente al saper impacchettare un prodotto smerciabile.

Ma sto già iniziando a perdermi in qualche delirio retorico, per cui torniamo a quello che volevo dire. Assodato, a questo punto, che lo strumento blog non è adatto - o molto meglio - non è sufficiente alla diffusione e valorizzazione di un testo, sono tornato al mio primissimo punto di partenza.

E mi sono chiesto: perché tenere un blog?

Senza una struttura adeguata alle spalle, gli ebook sono come sassi lanciati dalla spiaggia: qualcuno rimbalza un po', qualcuno rimbalza un po' di più, ma tutto sommato dopo poco affondano tutti. La gente non viene sul mio blog a cercare i miei libri. Sono io a dover cercare i miei lettori, come è giusto che sia, e la verità è che da solo, senza altri autori disposti a fare gruppo e senza editori disposti a lavorare con me - come già detto - si affonda e basta.

Un tempo pensavo anche di utilizzare la rete per conoscere altri scrittori. E questo sì, è sempre possibile. Soltanto che, da qualche tempo a questa parte, c'è stata una sorta di tromba d'aria (o tromba marina, per restare con le metafore estive) di noia e ripetitività che, almeno per il sottoscritto, ha rotto il giocattolo. A me non va di passare giornate a dire frasi qualunquiste sul governo, a lamentarmi delle mezze stagioni o a sentire ancora i soliti discorsi su case editrici, editori a pagamento e tutto quanto quello che si dice e si ripete di solito. Io cercavo qualcuno come me, disposto a fare qualcosa insieme a me. Purtroppo, a tre anni di distanza, mi sento più solo che mai e ritengo che la socializzazione vada cercata fuori da Internet. Cosa che, del resto, sarebbe parsa ovvia fin dal principio a qualsiasi altra persona di media intelligenza.

Poi, a dirla tutta, gli altri autori sono sempre lì. Se voglio interagire con loro posso farlo andando sui loro, di blog. Non è che averne uno mio sia indispensabile.

Ancora: a suo tempo, credevo che tenere un blog avrebbe attirato l'interesse degli editori. La realtà dei fatti mi ha dimostrato che non è così. Non conosco nessun blogger che abbia pubblicato i propri testi. Davvero, per quanto mi sforzi, non me ne viene in mente nemmeno uno. Il mio stesso libro non è che una raccolta di quello che scrivevo nel blog, mentre quello che scrivevo fuori è rimasto negli ebook dove l'avevo messo.

Scrivere online per crescere. Ok, l'ho fatto. Da tre anni a questa parte scrivo meglio. Sono più fluido, rapido, chiaro, coerente... anche se abituarsi a scrivere poco e raggiungere subito il punto, atteggiamento necessario nella scrittura online, non è necessariamente un gran passo avanti verso uno stile letterario di chissà quale livello. Anche lo scrivere senza un filtro e senza qualcuno che ti corregga come si deve non aiuta molto, perché per come la vedo io la crescita passa anche attraverso l'esperienza degli altri, e questa esperienza altrui alle volte manca pesantemente. Ma insomma, come dicevo, questo l'ho fatto. Posso migliorare ancora? Sicuramente sì. Ma forse - a questo punto - il blog non è più abbastanza.

Si può avere un blog per svago: scrivi qualcosa, qualcuno commenta. Poi tu commenti quello che scrive lui. A me, le cose fatte per svago annoiano terribilmente. Io non scrivo per scappare dalla realtà ma per affrontarla, e mi diverto di più quando si fa sul serio. Per quanto la cosa, a qualcuno, potrà suonare un po' assurda.

Più mi guardo indietro, e più vedo che le vecchie motivazioni per scrivere online sono scomparse. In effetti è già da un po' che ho mollato un po' tutti i vecchi siti, non commento più i blog di tanti amici e non seguo più i soliti forum. A me questo Internet fatto di chiacchiere e banalità, di qualunquismo e gente volgare, non sembra più tanto diverso dal rincretinirsi davanti alla televisione, con la sola differenza che nemmeno ti rilassi più di tanto. E ho anche pensato di chiudere del tutto, e scrivere - quando mi va - per i cavoli miei.

Ma poi ho provato a cercare un motivo nuovo, da mettere al posto di quelli vecchi. E l'ho anche trovato.

Dopo inni rivoluzionari, lotte tra intellettuali e sedicenti tali, tragedie, litigi, assalti alla libertà di parola, querele e anche qualcuno che s'è rotto semplicemente le palle, una volta che il fumo si è diradato, alla fine della rete è rimasto questo: una scrivania dove buttare giù le mie cose. Una sorta di ufficio open space, talmente open che possono vederlo tutti.

Un word processor dove ogni tanto passa un amico a lasciare un saluto, e allora uno scrive sentendosi meno solo che con la vecchia, triste, squallida macchina da scrivere.

Che poi, se ci pensi: non è male questo Internet, visto così.

Non è male per niente.

Simone

05/07/10

L'aggiornamento di Luglio!

Qualche parola per fare il punto della situazione su libri, blog, università e tutto il resto.

Università: entro il 20 Luglio dovrei sostenere l'esame di Biochimica (al quale verrò quasi certamente bocciato) e poi me ne andrò in vacanza. Se tutto va bene a settembre darò Microbiologia (o di nuovo Biochimica) e questo vorrà dire che - con tutti gli scongiuri del mondo - entro fine anno potrei aver terminato gli esami dei primi 2 anni di Medicina.

Due anni di esami superati in due anni di studio non suonano come una cosa tanto speciale... ma vi giuro che Anatomia (e 'sta cavolo di Biochimica) li ho trovati davvero pesanti, per cui trovarsi in pari adesso vuol dire aver fatto un bel passo avanti in un percorso che sembra ancora senza fine.

Dal prossimo anno, poi, inizierò a frequentare i reparti. Quelli coi pazienti veri. Un po' perché fa parte del tirocinio obbligatorio per tutti gli studenti, e un po' forse anche per conto mio, per imparare qualcosa di più e più in fretta. Pensavo di andare in Pronto Soccorso, magari anche come volontario della Croce Rossa e non come tirocinante, e poi di volta in volta studiarmi da solo le patologie e tutte le varie situazioni che mi capiterà di incontrare. Certo, sì: a parole è facile, poi vedremo davvero che combinerò alla fine.

In ogni caso, mi aspetto che l'ospedale sia un ambiente diverso da quello delle aule universitarie (anche se io sarò sempre nel ruolo di studente), e le cose dovrebbero farsi più interessanti: niente più solo libri, libroni e libri giganti da imparare a memoria, ma anche ambienti lavorativi con persone da conoscere e cose pratiche da saper fare.

Per cui ora si tratta di stringere i denti e studiare ancora un po' per gli esami di Luglio e Settembre. Poi, quel che deve arrivare, arriverà.

Scrittura, in negativo: a Febbraio 2010 ho spedito una decina di manoscritti a un'altrettanta decina di editori. Purtroppo, come già accaduto altre volte, gli invii sono andati a vuoto e non ho ricevuto alcuna risposta. Chiarisco che questa vuole essere solo un'informazione, e non ho intenzione né voglia (che poi vuol dire la stessa cosa) di entrare nei soliti discorsi di sempre.

Oltre a questo, sono già un paio d'anni che non lavoro su un nuovo romanzo, e sinceramente dubito che le cose cambieranno a breve termine.

Scrittura, in positivo: da quando ho iniziato a spingere un po' di più sul discorso seconda laurea, studenti anziani, medicina a trent'anni e parole chiave analoghe, il blog si è un po' risollevato. Più che altro ho ricevuto diversi commenti e varie domande da chi si trova in situazioni simili alla mia e cerca qualche consiglio, segno che - insomma - di qualcosa che non sia necessariamente scrittura per aspiranti scrittori si riesce ancora a parlare.

Cioè, per assurdo, l'impressione è che dal punto di vista comunicativo quello che scrivo funzioni e sia anche in grado di trasmettere il contenuto che avevo in mente. Credo che questo significhi che - anche se non ci crede nessuno - tutto sommato sono uno scrittore per davvero.

E qualcun altro, magari, si accontenterebbe pure.

Simone

02/07/10

Il blue ray, e il pesce che vive in verticale.

Per il mio compleanno, alcuni amici mi hanno regalato un nuovissimo lettore Blue Ray.

Eh vabbe', del mio compleanno potrebbe importarvi poco. Troverete però interessante come il caso abbia voluto che - non appena messe le mani sulla nuova tecnologia capace di rendere bella anche la pellicola più ignobile (a me sto film me pare tanto na bojata! Però ammazza come se vede da paura: speramo che er seguito lo fanno in treddì!) - il BlockBuster che ho avuto per anni dietro casa abbia deciso di chiudere e di lasciarmi senza niente in Acca Dì da vedere. Manco Mezza dì (quello con gli occhialetti con una lente nera, così ci vedi da un occhio solo) o Un Po' Più Dì del normale. Niente di niente.

Ma io i film in Bassa Dì non li voglio più vedere, per cui ho deciso che se anche nessuno me li affittava, allora qualche Blue Ray me lo sarei comprato. Entrato in uno dei mega-negozi che vanno tanto adesso (era la Feltrinelli), mi sono trovato di fronte a una scelta davvero vasta: c'era il film con gli zombi che uccidono tutti, e poi dopo un po' tornano e uccidono tutti di nuovo (non per niente parliamo di zombi), ma forse era troppo impegnativo. Poi c'era quello del tizio ombroso che si innamora di una tizia che si innamora di lui e allora è bello perché tutti si amano e poi parla d'amore e c'è tanta gente che si ama e si vuole bene, ma poi non so perchè ho pensato che era meglio di no.

C'era la serie TV dello psicopatico che massacra gli psicopatici, poi c'era il film dello psicopatico che massacra la gente con la mannaia, quello che massacra la gente con la motosega e quello che massacra la gente mettendola nelle trappole col pupazzo che dice: ah ah ah, se non riesci a risolvere l'enigma morirai! Poi la gente risolve l'enigma ma il pupazzo la uccide lo stesso e poi ride: ah ah ah! E a quel punto gli spettatori hanno tanta paura. O almeno, credo.

Ma di cosa stavamo parlando? Ok, tra tanto sesso e massacri ho deciso di puntare su una cosa diversa dal solito: un cofanetto della BBC con dei documentari in alta risoluzione. Costano più del lettore che mi hanno regalato, ma forse vedere la natura un po' meglio grazie alle nuove tecnologie ha più senso di vedere una cosa finta che poi, in alta risoluzione, ti sembra solo più finta ancora.

E insomma mi sono visto 'sti documentari. Cioè, ne ho visti un po', che in totale saranno 10 ore e se perdo 10 ore per fare qualsiasi cosa non passo più nemmeno un esame.

C'era il documentario sulle scimmiette e sulle sequoie giganti, anche se a tutti gli effetti mi sfugge come siano riusciti a collegare le due cose. Poi c'era quello sul deserto coi leoni che mangiano gli elefanti oppure gli elefanti che calpestano i leoni che se li volevano mangiare (a seconda di come vanno le cose). E poi c'era un altro documentario sugli animali degli abissi oceanici.

Nel filmato c'era una specie di polipo-mostro che quando ti vede si illumina tutto tipo un albero di natale, e allora la gente si mette paura (a 100 mila metri sott'acqua, vabbe'). Poi c'era una specie di squalo lungo 50 metri che esce sulla spiaggia e si mangia i bagnanti che prendono il sole, e il Mediterraneo ne è pieno.

Ok questo non c'era e me lo sono inventato. Però c'era una cosa molto più inquietante: una specie di aringa lunga mezzo metro, che a 5 mila metri o non so quanto di profondità, nel buio completo, si mette in verticale col muso verso l'alto e le fauci spalancate ad aspettare che dalla superficie gli caschi direttamente in bocca qualcosa. Sta così anche per giorni, senza muoversi mai.

E le domande che subito uno si pone, sono:

- A quella profondità è buio e non si vede niente: che cazzo ne sa il pesce di dove sta l'alto? Magari resta tutto il tempo con la bocca aperta, ma verso il basso, e muore di fame.

- Ma quanto accidenti è inutile la natura? Voglio dire: tutta 'sta storia degli amminoacidi, dei batteri, della lotta per la sopravvivenza e dell'evoluzione, per tirare fuori quel coso stupido che sta lì fermo e non fa niente di niente? Poi dopo un po' arriva il polipo-mostro che se lo mangia, e buona notte ai pescatori.

E poi, visto che il mio ruolo di scrittore qualunquista me lo impone, la domanda che arriva subito dopo (e che appunto mi impongo di girare a voi) è: quanto di quel pesce si ritrova anche in noi?

Certo che lo so che non passiamo la vita a bocca aperta, aspettando che qualcosa ci caschi dentro (anche se a qualcuno magari piacerebbe). Però ci sono anche tanto fatalismo, tanta noia e tante attese protratte senza motivo. Io vedo tanta gente che sta lì - in senso figurato - ferma e buona, e se gli domandi il perché ti risponde - sempre in senso figurato - che aspetta. Aspetta il momento buono, aspetta il colpo di fortuna, aspetta di stare meglio o aspetta chissà cosa: magari non lo sa nemmeno lui cosa aspetta a fare, ma aspetta lo stesso e basta.

Per me aspettare vuol dire anche uscire tutte le sere per tornare distrutti e non ricordarsi nemmeno che siamo andati a fare. Passare giornate davanti a TV e videogiochi. Desiderare oggetti tecnologici e costosi come se dovessero cambiare la nostra vita. Spendere tempo a scrivere ma scrivendo tanto per, solo per non annoiarsi.

Oddio, troppa retorica. E tutto per parlare di un lettore Blue Ray! Allora riassumo e chiudo, che poi divento pesante: secondo me c'è una vita che ci capita addosso, e una che dobbiamo andarci a cercare. Ma forse è proprio nella nostra natura l'atteggiamento di accontentarci di sopravvivere, perché in fondo la vita funziona così.

E poi, soprattutto, il senso finale di quello che volevo dire: sì, l'HD e anche il cinema in 3 dimensioni sono fantastici. Però se il film era una boiata - per quanto uno la riempia di effetti speciali, roba in alta risoluzione e dimensioni mai esplorate - sempre una boiata rimane. Ci vorrebbe piuttosto una tecnologia in grado di migliorare i contenuti, e non semplicemente la loro presentazione: prendi una storia stupida, schiacci un tasto e - automaticamente - diventa più interessante.

La prossima volta, come regalo di compleanno, speriamo che mi regalino quella.

Simone