30/08/10

Come cambiare il futuro.

Giornata di vacanza in un parco giochi vicino Roma.

Il posto è migliore del previsto: non c'è il casino che temevo, e le file per le giostre e gli scivoli d'acqua sono piuttosto corte. Il cielo è anche un po' coperto, per cui tutto sommato non fa neanche troppo caldo.

Andiamo sulle montagne russe coi tronchi, sul giro della morte, facciamo il bagno in piscina e alla fine c'è il pezzo forte... che tutto sommato era anche la scusa per essere lì: non sto andando sulle giostre a 35 anni! Sto accompagnando mio nipote a vedere i delfini.

Visto che siamo in ritardo, mia cognata agguanta il figlio appena sceso da uno scivolo d'acqua, e inizia ad asciugarlo.

Dobbiamo andare a vedere lo spettacolo! Gli dice, mentre gli strofina i capelli col telo da mare. Il tono è un po' come se dicesse: adesso devi andare a scuola, a studiare, a lavorare la terra a mani nude. O, peggio del peggio che mai: adesso basta giostre, perché devi leggere un libro di zio Simone.

Messa così, mio nipote la prende come una specie di punizione, e inizia a piangere come se il libro lo avessi tirato fuori davvero.

Io non li voglio vedere, i delfini! Io voglio andare in piscina!

Ma quando sei piccolo puoi disperarti e urlare quanto vuoi, perché tanto arriva sempre qualcuno che ti prende di peso e ti porta dove non volevi andare. Per cui m'incollo il ragazzino, attraverso il parco di corsa cercando di convincerlo che in realtà lui lo spettacolo lo voleva vedere, e raggiungo la vasca gigante dove si svolge l'evento.

Confesso che all'inizio ero anch'io un po' scettico: sai che palle i delfini? Io volevo andare sulle montagne russe! E non dite che sono tale e quale a mio nipote di tre anni: a me nessuno ha dovuto prendermi in braccio, e soprattutto nemmeno piangevo.

Eppure, invece, lo spettacolo mi ha affascinato. I delfini sono stupendi. Grandi, enormi, allegri e maestosi come quelli dei film. Solo che ce li hai lì davanti, e quando saltano o soffiano con quella specie di buco che hanno sulla testa ti rendi conto di essere di fronte a una macchina naturale, perfetta e invincibile.

Gli ammaestratori sono bravi. A me non piacciono tanto in generale gli animali in cattività, ma qui sembra che li trattino bene e che siano affezionati davvero. Certo vivere in mare aperto sarebbe meglio... o forse no, o comunque non lo so: se ci tenete, provate a chiederlo a loro.

Anche mio nipote si diverte. Siamo proprio sotto la vasca, e quando gli animali cambiano direzione o fanno qualche acrobazia ci arriva una specie di doccia, e lui ride tutto contento.

A chiusura dello spettacolo, gli ammaestratori ci salutano con un messaggio del genere: la conservazione del mare è importante, perché tante specie animali sono a via di estinzione.

Capito? Spiego al mio nipotino, che era piuttosto perplesso. Se butti la spazzatura in mare, poi poverini i delfini devono vivere nello sporco, perché il mare è casa loro.

Subito dopo, però, un pochino mi pento. Cioè, che c'entra mio nipote con l'inquinamento? Ci sono le super mega compagnie multinazionali giganti che versano in acqua milioni di ettolitri di schifezze al secondo, e noi stiamo qui a far venire i complessi ai ragazzini? Mica è colpa dei bambini se il mare si sporca.

Poi però ho pensato anche che i bambini diventano grandi, e che sono i grandi quelli che distruggono tutto. Allora forse se glielo spieghi quando sono piccole, le persone poi diventano meno stronze? Sembra un discorso che può avere senso, e questa cosa di insegnarti come ci si comporta fin da ragazzino non mi pare poi del tutto sbagliata: potremmo anche chiamarla educazione.

Alla fine è stata una bella giornata. Ho preso il sole, ho fatto il bagno, sono stato sulle giostre e magari ho anche imparato qualcosa pure io. Ma che cosa sarà rimasto, ai tanti ragazzini che stavano lì? Quattro delfini in una vasca possono cambiare il futuro, o era tutto solo uno spettacolo idiota?

Di questo non ho davvero la minima idea. E se sapessi come sarà mio nipote tra trent'anni, tutto sommato la vita avrebbe molto meno senso. Quello che invece resta a me, è il ricordo degli animali che saltano fuori dall'acqua, la loro pelle che brilla sotto il sole e l'emozione di fronte a una meraviglia della natura.

Senza farmi tante paranoie e tanti problemi, direi che potrei anche - semplicemente - accontentarmi.

Simone

24/08/10

Un libro di troppo.

Fine agosto. Tra troppo pochi giorni ho l'esame di Biochimica. Poi c'è Microbiologia alla quale per il momento ho dato una lettura veloce e nemmeno completa. Fa un caldo boia e io ho non so quante pagine da ripetere e riripetere fino allo sfinimento con formule, grafici e nomi che dimentichi il minuto dopo che hai chiuso il libro.

Il fatto è che mi hanno detto che per Biochimica c'era un libro migliore di quello che ho preso io, e allora sono andato a prenderlo al negozietto accanto all'università. Adesso non so se quest'altro libro sia veramente meglio dell'altro (l'ho appena sfogliato, ma mi sembra decisamente di sì), solo che - mentre ero nel legozio - mi è caduto l'occhio su quello che vedete nella foto: il librone di medicina interna con tutti i disegni di Frank Henry Netter.

L'ho pagato NOVANTATRE euro, mortacci mia, con tutto che era scontato. Con tutto che non mi serviva davvero, e con tutto che avrei troppe altre cose da leggere, ripetere e sulle quali essere esaminato prima di potermi dedicare anche solo come ultimo dei tirocinanti a qualcosa che abbia effettivamente a che vedere con la medicina vera.

Dentro ci sono centinaia di descrizioni di malattie più o meno terribili, con spiegazioni e disegni dettagliati. Qualsiasi assurdo malanno ti possa venire (facendo le corna) qui dentro trovi il perché, il percome e - con tutti i ragionevoli dubbi del caso - la terapia consigliata.

Mi viene quasi voglia di studiare davvero... ma non Biochimica con formule e enzimi impronunciabili, o l'elenco telefonico dei batteri merdosi che ti addormenti dopo 20 minuti. Mi piacerebbe studiare questo libro qui, che mi interessa troppo di più.

E certo che non mi era mai successo, quando stavo a Ingegneria, di comprare un libro solo perché mi piaceva. E se questa cosa non è follia, rincoglionimento per via del caldo o puro e semplice masochismo, come dovrei chiamarla se non pura e limpida passione? Sono diventato un secchione a tutti gli effetti, e vengo pure qui a raccontarlo e a vantarmene: chi se lo sarebbe mai immaginato?

Comunque sia, ho solo anticipato un po' i tempi: arriverà il momento di studiare cose più interessanti. E arriverà anche il momento in cui questo libro, tanto bello quanto costoso, mi sarebbe servito comunque.

Io nel frattempo, anche se ancora non ne avrei bisogno, anche se non dovrei perdere tempo in questo modo, ogni tanto lo prendo e me lo sfoglio. Guardo i disegni, cercando di riconoscere sintomi, malattie e cause possibili. Mi diverto a collegare quello che vedo con le poche nozioni di Fisiologia e Anatomia che al momento ho in testa, e penso che ci passerei tutta la giornata.

Poi, con un po' di fatica, me ne torno agli altri miei libri e ricomincio a leggere. Sperando che all'esame non mi chiedano qualche formula chimica assurda, o l'ultimo microorganismo patogeno nascosto in fondo a chissà quale dispensa del cavolo.

Certe cose, davvero, non me le ricorderò mai.

Simone

23/08/10

Canto africano, di Federica Gazzani (segnalazione)

Vi "giro" il comunicato stampa che mi è giunto da questa autrice:

Canto africano, di Federica Gazzani

Vincitore della 3a edizione del Premio Letterario “Il Camaleonte” alla Fiera del libro di Torino, secondo classificato all’8a edizione del Concorso Letterario “Il Giunco” nel 2004. Segnalazione di merito al Concorso “Autrice per l’estate 2009”.

Canto africano, con la sua struttura circolare - in cui l’inizio coincide con la fine - è quasi un diario di viaggio, da Milano al centro dell’Africa, attraverso un deserto del Sahara superato con mezzi di fortuna e fra mille contrattempi apparentemente distruttivi, in realtà portatori di incontri significativi.

Federica osserva, a volte si piega morbidamente, a volte si oppone e si ribella con rabbia. Ma anche quando è vittima di soprusi è sempre cosciente della sua profonda indipendenza e forte della sua inattaccabile libertà di donna.

C'è una pedagogia anche nella violenza, quasi indifferente ed oggettiva, della tempesta di sabbia nel deserto, che si compie nella sua ineluttabilità fermando il tempo esterno per divenire un tempo interiore, di esplorazione di sé e di indagine sulle ragioni del vivere o del morire.

Il romanzo insegna che intelligenza è spirito di adattamento che non può superare, però, codici etici che appartengono a confini interiori e non sono solo il frutto d'imposizioni.

www.federicagazzani.com

19/08/10

Il concerto dell'estate (post completo!)

Visto che stiamo in pieno break di agosto, nel caso che ci sia qualcuno così scemo come me da stare ancora davanti a libri e PC vi lascio qualche brano di quelli che sto (più o meno) imparando a suonare con la batteria.

Ovviamente, purtroppo o per fortuna (immagino più per fortuna) non sono versioni suonate da me che non ho ancora trovato un gruppo decente e che comunque faccio pena, ma le versioni originali prese da youtube. Buon ascolto e buone vacanze!

Simone









16/08/10

Il limbo dello scrittore.

Se guardo il telegiornale, se parlo con qualcuno o se faccio semplicemente un giro per strada, vedo cose che mi sconvolgono. Altre cose mi fanno arrabbiare, altre mi danno fastidio oppure - semplicemente - mi fannno scuotere la testa.

Quando mi sdraio sul letto, quando rifletto, quando penso e rimugino sulle mie idee, sento che dovrei dire qualcosa. Intervenire in qualche modo, o per lo meno esprimere chiaramente un'opinione ferma e decisa.

Penso insomma che il mondo in cui viviamo sia estremamente complesso, e che dovrei - o dovremmo, per farmi i cavoli vostri - sforzarmi di interagire con questo mondo e di lasciare un'impronta, un messaggio, anche solo un minimo segno delle mie idee e della mia personalità.

Poi provo a scrivere con l'idea di incidere, graffiare, dare opinioni anticonformiste e provocatorie... ma ancora non ci riesco.

Io penso di aver smesso di scrivere non perché non mi pubblicavano niente. Non perché i miei libri sono poco letti e il testo con la Delos non ha venduto tanto. Nemmeno perché internet si è rivelato una fregatura e tanta gente mi ha mandato a quel paese o non mi legge semplicemente più.

Io ho smesso di scrivere perché le storie impegnate, provocatorie, incisive e tutto quello che vorrei che fossero di cui ho appena parlato - semplicemente - non mi vengono.

Mi metto lì, per dire, con l'idea di un tizio con un lavoro di merda, solo come un cane e insoddisfatto cronico che però a un certo punto reagisce, prendendo il controllo della sua vita. Però no: non si iscrive all'università, grazie a Dio. Sarebbe più una storia su uno che alla fine fa 3 o 4 cose che razionalmente parrebbero ovvie a chiunque, ma che nella pratica non fa mai nessuno perché semplicemente ci caghiamo tutti sotto. Quante cose ingiuste vedete, tutti i giorni, ma poi non fate un cazzo perchè non vi conviene, perchè avete paura o perché l'abitudine vi spinge a ignorarle? Ecco, lui semplicemente è uguale a noi, solo che alla fine decide che l'ingiustizia non è più accettabile... ma appena si muove tutti pensano che sia diventato pazzo, quando invece è l'unica persona normale.

Il titolo del libro sarebbe proprio qualcosa del genere: l'ultima persona normale, o insomma sulla falsariga. Solo che se mi metto a scriverlo, mi manca qualcosa: cioè, alla fine o non so come chiudere la trama, oppure non so cosa far succedere per "riempire" la storia. Ancora, continuano a saltare dentro elementi fantastici, quando per avere senso la storia di fantastico non deve avere proprio nulla... e poi i libri fantastici non li pubblica nessuno, per cui sarei proprio un idiota a scriverne un altro.

Credo insomma di stare in una sorta di limbo. Ho mollato un genere, ho capito di cosa vorrei davvero parlare, ma non riesco ancora a fare il salto. Forse dovrei semplicemente fare quello che consiglio a chi mi chiede come scrivere un libro: dovrei scriverlo e basta, senza stare qui a farmi le paranoie.

Ma io non sono più l'ultimo dei principianti, e mi sono detto che forse scrivere un libro e basta non è più sufficiente. Magari è ora di scrivere un libro bello, un libro che uno lo legge e pensa: ammazza che libro fico. Come i libri degli scrittori veri, insomma. Non la solita roba che ho tirato fuori finora.

Ma forse non è ancora il momento. Scrivere bene, ma bene davvero, richiede una maturità e una cultura che forse sono lì lì per arrivare, o che forse non raggiungerò mai. Oppure - come il protagonista del mio libro - non ho ancora il coraggio di buttarmi in questa cosa, e semplicemente me la faccio sotto pure io. Non lo so.

Intanto ho qualcosa come 3000 pagine di batteri, parassiti e formule biochimiche da sapere entro un mese, e non è che al momento mi ricordi molto. Per cui diciamo che non scrivo nulla, ma per lo meno leggo (e rileggo) molto...

Che, tutto sommato, non fa mai male.

Simone

09/08/10

Si ricomincia - ancora - di nuovo.

Mi sa tanto che in questo momento ve ne state un po' tutti in vacanza, e che queste mie righe le leggeranno in pochi. Comunque sia io sono qui, e ho già tutto sotto controllo: ho il libro di Microbiologia aperto, il libro di Biochimica che attende di essere ripreso in mano, PC acceso con tastiera già calda e pronta alla scrittura, ufficio apertissimo e preparatissimo ad accogliere e risolvere pratiche, fatture e rotture di scatole varie.

L'unica cosa che latita, e di brutto, è la voglia.

Non c'ho voglia di scrivere, e anzi se va avanti così finirà che abbandonerò proprio l'idea del tutto e tanti saluti... almeno fino alla laurea.

Non c'ho voglia di lavorare. Che poi quella mi sa che non l'ho mai avuta, ma col bel tempo il caldo e i ricordi freschi delle vacanze stiamo arrivando ai minimi storici.

Non c'ho voglia di studiare. Come tutte le estati studierò con enorme fatica per una frazione del tempo utile, e come tutte le estati i risultati a Settembre si preannunciano pessimi. A questo giro sto preparando due esami: Microbiologia che è nuovo nuovo, e Biochimica che devo ridare perché mi hanno bocciato a Luglio.

La mia idea è di provare a cominciare il terzo anno di Medicina avendo finito tutti gli esami del primo e del secondo. Ritengo che la cosa sia mediamente impossibile, visto che mi mancano due esami enormi e pesanti e soprattutto tutti da imparare a memoria. A Medicina adorano le cose da dover ripetere a memoria, lo sapete? Io - decisamente - no. Ma avendone la possibilità credo che mi tocchi provarci, visto che non è che a 35 anni posso permettermi di prendermela con calma e laurearmi un anno o due fuori corso. Per cui, per lo meno, ci proverò.

In settimana ho anche un turno in ambulanza, con la Croce Rossa. Non che stia facendo chissà cosa in questo periodo (per il momento è l'unico turno che ho preso) ma almeno in ambulanza sto un po' in giro all'aperto a contatto con altre persone, e non davanti a un libro o di fronte allo schermo del PC. La realtà è sicuramente più pesante di studio, computer e interazioni virtuali, ma allo stesso tempo è anche altrettanto sicuramente meno noiosa.

Infine, sì, quasi lo dimenticavo: il 29 Luglio è nato Davide, il secondo figlio di mio fratello. Passa le giornate a dormire oppure a guardarsi intorno con l'aria di chi pensa: ma in che posto sono capitato? Tenerlo in braccio è la sensazione più meravigliosa del mondo, ed è di una bellezza tale che resterei semplicemente lì a osservarlo per ore.

Non per niente, assomiglia tutto allo zio.

Simone

04/08/10

Segnalazione: Scrivere 2.0, di Luca Lorenzetti

Luca è un amico - barra - collega scrittore. Questo Scrivere 2.0, edito da Hoepli, è - per dirlo con le parole dello stesso autore: "Un viaggio attraverso gli strumenti del Web 2.0 al servizio di chi scrive per passione o per professione."

Se ricordate, Luca è l'autore della mia intervista in podcast sul sito Scrittura Creativa, e all'interno del libro c'è anche qualche mia citazione a proposito di ebook e di pubblicazioni online.

Per altre informazioni, vi rimando al sito dedicato al libro: Scrivere 2.0