30/08/13

Quando l'università ci scoraggia: la lettera di Elena.

Zeus condannò Sisifo a studiare Biochimica.
Ciao Simone!

Mi chiamo Elena, ho letto alcuni degli articoli del tuo blog che ho trovato molto divertenti e soprattutto incoraggianti!

Ho deciso di scriverti perchè volevo un tuo consiglio, una parola di conforto in un momento di scoraggiamento:

Frequento medicina come te. Devo affrontare il 3 anno (teoricamente il 4, ma ne ho già perso uno) ho tanta ma tanta roba da studiare, a ottobre inizierò il tirocinio, eppure sono quì a cazzeggiare (perdona il francesismo).

Ci ho messo mesi e mesi per passare istologia, un anno solo per quella cavolo di anatomia (per citare i più pesanti) ora sono alle prese con biochimica ma più leggo nomi e formule e più non ho voglia di fare niente.

Non so, forse il mio metodo di studio è sbagliato (se ne ho uno). Eppure mi sembra che ogni esame sia un parto, per fissare un concetto ci metto secoli e più vado avanti più mi sento stanca... mentre i miei brillanti colleghi sfornano esami uno dopo l'altro con voti dal 26 in su.

Medicina mi piace. Non ho quella ardente passione che tanti dicono di avere ("lo sogno fin da bambino!") però il funzionamento del nostro corpo mi affascina molto, soprattutto quello del cervello. E poi mi piace aiutare la gente, ascoltare i loro problemi... insomma: so che la strada è quella giusta, però a volte mi chiedo se ce la farò mai.

Ho già perso un anno, chissà quanti altri ne perderò e mi butto spesso giù. Mi sono anche trasferita molto lontano da casa per frequentare questa facoltà, quindi c'è anche un po' di spaesamento. In uni non sono riuscita a legare molto, tutti che credono di essere chissà chi e anche questo mi pesa un po', oltre alla voglia di non perdere troppo tempo per non gravare troppo sui miei genitori.

Insomma problemi sicuramente comuni a molti studenti... e questo è quanto. Scusa lo sfogo ma ne avevo bisogno.

Se ti va e hai tempo di rispondere mi farebbe piacere, anche per scambiarci opinioni. Altrimenti grazie lo stesso e buona fortuna con i tuoi studi! ;)

Elena

27/08/13

Codice rosso.

Codici colore fatti di scotch colorato per rallegrare il DEA.
Solito turno in pronto soccorso.

E all'improvviso il solito casino, la confusione e quella punta di adrenalina di quando arriva un codice rosso: è il 118 che ci ha portato Vincenzo.

Vincenzo respira male. Che poi c'è male e male, e tanto per chiarire diciamo che respira molto male tendente al malissimo. Se proprio vogliamo allargarci e dire che respira, ecco.

È un bagno di sudore. Lo vedi che è spaventato mentre ansima e si sforza con lo stomaco di tirare dentro l'aria. Ha la febbre, un cuore che sta lì lì per mollarci e dei parametri vitali che ricordano più un pesce rosso che quelli di un essere umano.

Particolare non poco degno di nota, Vincenzo ha 100 anni suonati compiuti un mese fa.

«Ci sono arrivato perché non mi sono mai fatto toccare da un dottore» dice regolarmente ai parenti, in quello che potremmo un po' definire il suo motto.

Questo ovviamente finché stava bene e fuori dall'ospedale. Perché poveraccio adesso in meno di 5 minuti lo toccano il medico internista, un paio di anestesisti, non so quanti infermieri e specializzandi, il personale del 118 e puranco perfino io... che forse come dottore non valgo e potrei ancora far valere quel suo assunto riportato poco sopra, ma tutti gli altri - decisamente - no.

Con una certa dose di speditezza si fanno i prelievi, l'elettrocardiogramma, si prendono i parametri vitali. Ausculta il cuore, senti il torace, chiama i raggi X, controlla l'ossigenazione del sangue (la cosiddetta saturazione, iniziate a imparare qualcosa pure voi!)

Non ricordo tanto bene di cosa mi occupo di preciso, o forse nemmeno me ne rendo conto. Comunque faccio la mia parte pure io e mi pare - in tutta sincerità - di non essere nemmeno poi così troppo d'intralcio.

Si prosegue con test, indagini e analisi. E cos'avrà e cosa non avrà, alla fine viene fuori che Vincenzo ha un edema polmonare. Gli danno la terapia (che, un domani, potrei addirittura ricordare), si attacca il monitor, si rivaluta di continuo la situazione. E piano piano, anzi piano pianissimo, lo vedi che migliora.

Migliora lentamente e gradualmente, ma lo fa. Fino al punto che non ha più l'affanno, respira in maniera normale, non ansima e non suda.

Dopo un po' la saturazione (vi ricordate?) è tornata a valori per lo meno da mammiferi. La pressione è scesa, il cuore si sforza di meno... l'emergenza è completamente rientrata.

E a questo punto voglio essere sincero: è un anno che frequento con una certa consistenza, diciamo, i reparti. Ma questa è la prima volta che vedo un paziente migliorare in un rapporto di causa ed effetto assolutamente evidente tra assistenza sanitaria e miglioramento dei sintomi. La prima volta che vedo - chiaramente - stare meglio qualcuno che fino a poco prima stava invece malissimo.

Non che non sia mai successo altre volte, questo ci mancherebbe: ma mai prima d'ora il contributo della medicina mi è parso così ineluttabilmente chiaro.

Più tardi spostiamo Vincenzo in un'altra parte del reparto.

«Non pensavo che ce l'avrei fatta» dice a suo figlio, che è lì a aspettarlo.

Tante volte mi sono detto che, dopo una certa età, hai avuto tutto quello che potevi avere, e che curare una persona di 100 anni non sia come curarne una di 20, o anche di 70.

Eppure Vincenzo ora sta lì che parla col figlio. Ha una mascherina per l'ossigeno, e dietro di questa la sua espressione mostra il sollievo di chi si sente meglio dopo essere stato davvero, davvero male.

Sono contento per lui. E sono contento - anche - un po' per me.

Simone

24/08/13

Mille malattie tutte uguali.

L'inconfondibile spiaggia di Ostia. Almeno così me la ricordo.
I primi giorni di questa settimana ho avuto anche problemi a trovare una matita per studiare.

Che di matite ne avevo tante, ma tutte quasi finite e corte corte.

Però la cartoleria era chiusa, il tabaccaio era chiuso, il giornalaio pure e mi è toccato studiare i primi capitoli di dermatologia coi mozziconi di matita che a tenerli mi veniva quasi un crampo alla mano, eppure... no! Non mi potevo arrendere: dovevo andare avanti.

Perché il primo appello della sessione è il 2 Settembre, capite? Il 2 settembre li mortacci loro. E allora la vita del tipico studente 38enne è anche questa: tutti al mare e in vacanza e a divertirsi, e tu solo a Roma col libro aperto e intorno a te il vuoto e le fiamme, che questo Agosto ha fatto e fa ancora quasi 40 gradi.

C'è da dire che non è tanto lo studio in sé, a pesarmi, quanto la sensazione che le vacanze d'estate sono (o sarebbero, se non fossero finite) più belle di vacanze fatte in altri periodi. Mi manca il fatto di buttarmi in acqua e stare spaparanzato al sole, mettere le foto dei piedi su Facebook e aspettare i commenti estasiati degli amici. Passeggiare sul bagnasciuga e - soprattutto - non stare sotto esami e non studiare.

Ho realizzato che mi piacerebbe anche solo 1 ora al giorno al mare, magari prima di cena, per sentirmi contento e soddisfatto come se le vacanze non fossero mai finite. Ma per passare 1 ora a Ostia o Fregene tra andata e ritorno ce ne vogliono tre, tempo che parti prima di cena quando arrivi è buio e il sole manco lo prendi... e allora, niente.

Dovrei trasferirmi in un paese tropicale con il mare sotto casa e l'università a due passi. Ecco, quella sarebbe una bella idea. Tropici e mare tutto sommato potrebbero anche bastare, facendo a meno dell'università nel caso che non ce ne fosse una come talvolta accade in certi posti. Però senza università non avrei più necessità di studiare, e allora tanto varrebbe andare a Fregene senza trasferirmi... vedete? I grandi problemi irrisolti della mia vita.

Tropici a parte, dopo lo studio della dermatologia penso che si difficile per un essere umano schifarsi ancora di qualsivoglia altra cosa. Se cercate dermatologia con google uscirà fuori un avviso tipo parental advisory che va da kids, a teen, ad adult, a blog di Navarra, a VM18 XXX explicit e infine, solo se proprio togliete ogni filtro e certate il peggio del peggio, vi apre pure le pagine con le malattie dermatologiche.

E questa è la cosa positiva, perché insomma almeno con le immagini disgustevoli tutto sommato non ti annoi più di tanto, anche se ti annoi comunque. La cosa negativa della materia è che queste cacchio di malattie dermatologiche sono praticamente tutte identiche: viene la pelle rossa, poi ci si fanno le bolle, poi le croste e poi bo' - non lo so - altre robe del genere che non sto troppo a descrivere perché non sono proprio bellissime e poi il parental advisory mi filtra pure a me.

Solo che nel libro ogni lesione identica alla precedente è descritta con parole leggermente diverse che vogliono dire più o meno la stessa cosa di prima, ma che per l'esame scommetto varranno come se si trattasse di una differenza clamorosamente inconfondibile e se non te le ricordi perfettamente tutte a memoria tutti si scandalizzano, la gente sviene come all'esame scorso, i professori s'incazzano e - soprattutto - mi bocciano.

Io giurerei anche che tra un capitolo e l'altro anche le foto sono le stesse, per quanto sembrano sempre tutte uguali. Che poi nella pratica voglio proprio vedere chi le distingue tutte senza fare istologici, colture, test, e tutto il repertorio diagnostico del caso.

Ma insomma gli esami sono esami e proverò a ricordarmi più cose possibile, da qui al 2 settembre, mentre fuori c'è il sole che spacca le pietre e il rumore delle pagine del libro mi ricorda lo sciabordio delle onde che mi chiama come per dirmi: ma a quasi 40 anni passi Agosto a studià?! Certo che sei proprio coglione!

Scusa, Mare: hai - effettivamente - ragione tu.

Simone

19/08/13

Esami di Settembre a babordo!

Tipica situazione d'esame a Settembre.
Due settimane piene completamente fuori dallo studio, dall'università e dai libri con appena una singola passata in reparto tra una partenza e l'altra, visto che sono stato in vari posti con diverse tappe.

Soltanto che - più che sentirmi riposato - quello che provo ora è come se avessi appena iniziato, a riposarmi. E che cioè di giornate lontane dagli esami e dalla facoltà di medicina in generale, invece che 10-15, me ne servirebbero 20 o 30. In modo tale da disintossicarmi completamente anche solo dall'idea di avere nozioni da memorizzare e professori dai quali essere interrogato.

Ma bisogna ammettere che mi è andata più che bene anche così: tra amici, parenti e bei posti che ho visitato non posso davvero lamentarmi. Sono state delle belle vacanze.

Ora sto qui a rimettere mano al blog (praticamente chiuso per ferie anche questo, se non lo aveste notato) e a ricominciare a fare una sorta di progetto di studio per l'ormai più che imminentissima sessione autunnale.

Se ricorderete (ma tanto ve lo ricordo io) devo ridare Psichiatria. Devo anche dare - per la prima volta - Dermatologia, e qui è un po' un guaio perché il primo appello è il 2 settembre e io la dermatologia non so manco di che parla. E tra l'altro nemmeno ci capisco niente che tra papule, rash, eritemi, brufoli e puntini arrossati mi pare davvero che siano sempre tutti uguali.

Immagino poi che i miei colleghi di corso siano tutti più o meno in condizioni analoghe (per amore e fiducia nell'essere umano e nei giovani in generale, voglio credere che nessuno abbia studiato prima di Ferragosto e dei giorni subito successivi) per cui si parla del solito primo appello stile arrembaggio dei pirati sperando che l'esame faccia meno morti possibile... e che soprattutto durante la dura battaglia muoia qualcun altro, e non me.

Dopo di questo come dicevo tocca rifare Psichiatria, che in queste due settimane ho ovviamente completamente dimenticato e rimosso. Visto quanto ci avevo capito, sarà un problema o un vantaggio? Bo'?!

In tutto questo il primum movens o anche il motore principale oppure ancora semplicemente lo stimolo e l'incoraggiamento maggiore a fare il possibile per superare questi due benedetti esami, è che se riesco a togliermeli subito poi ho qualche giorno di buco per andarmene al mare prima dell'inizio delle lezioni.

Qualcuno direbbe: ma non sei contento se fai gli esami, e puoi iniziare il sesto anno di medicina in pari?

E io risponderei: sì. Pure quello.

Però, davvero, io voglio andare al mare adesso: gli esami - alle brutte - li posso ridare pure più avanti e durante l'inverno... mentre il mare, d'inverno, fa generalmente un po' schifo.

Simone

06/08/13

Un tirocinio d'estate.

La giornata perfetta da passare... in reparto.
Visto che almeno sulla carta sarei in vacanza, decido di fare un gesto di forte anarchia presentandomi in ospedale verso le 9 e mezza.

Non che qualcuno stia lì a controllare i miei orari o che gliene freghi qualcosa se ci vado oppure no, questo sia chiaro. Però in genere arrivo comunque più presto.

Insomma alle 9 e 30 apro l'armadietto, prendo il camice che ho lasciato appeso il giorno prima con tutta la roba tipo fonendoscopio, saturimetro, penna, spillatrice e compagnia bella in tasca già pronta, e alle 9 e 30 e 20 secondi - istante più o istante meno - entro in pronto soccorso.

C'è la tipica aria infuocata di quando c'è il sole ad Agosto a Roma. Immaginatevi poi di mettervi pure il camice sopra ai vestiti, e vi farete un'idea ancora migliore di quanto faccia caldo.

Altre volte invece che col camice mi presento con la casacca quella verde da ospedale, solo che 1) mi prendono tutti per un cardiochirurgo che si è smarrito e provano ad accompagnarmi fuori dal reparto 2) anche se stai a maniche corte quel tessuto ispido e pizzicoso ti fa sentire ancora più caldo. Non ci crederete, ma è così.

Ma insomma, comunque sia, arrivo e saluto il professore, gli specializzandi, l'altro studente mio collega e non so quanti pazienti già ricoverati. E con tutto il caldo e le fiamme e il casino che c'è sembra davvero di entrare in quel posto in cui - nelle mie letture adolescenziali - erano ambientate le avventure di Virgilio e tutta un'intera serie dei Cavalieri dello Zodiaco.

E non so se è perché oggi c'era un infermiere con cui vado d'accordo (ma vado d'accordo con tutti, in genere) se è perché c'era un casino di lavoro da fare o se è perché mi sto semplicemente iniziando a muovere un po' meglio, ma comunque sia prendo e inizio a fare un po' di tutto.

Comincio col mettere una cannula. Solo che ci riesco e non ci riesco con l'infermiere che mi aiuta e col sangue che prima non esce per niente e poi esce troppo tutto insieme... e insomma, un macello.

Poi faccio un emogas di quelli che dicono che parlo sempre degli emogas e allora non ne ho parlato più (tengo un blog a parte specificatamente dedicato, adesso) ma non mi viene e alla fine lo fa un altro, e lo fa del tipo che ci riesce istantaneamente come se fosse la cosa più semplice del mondo, e io lì accanto che mi vorrei sotterrare.

Poi metto un catetere, e tutti lì a dirmi di quanto lo sto mettendo male anche se poi invece l'ho messo bene ed era evidentemente una specie di prova emotiva per decidere se ne ero degno, oppure no.

Poi faccio un ECG e dico "ah ma qui c'è un sottoslivellamento" e il professore invece risponde che "no".

Poi mi guardo una TAC, ma toppo che tipo non c'avevo capito niente e la neurologa mi fa lo spiegone con cazziatone incorporato. E volevo dirglielo che "ma guardi che un suo collega all'esame mi ha dato 30!" ma credo che alla fine ho fatto meglio a starmene zitto.

Più tardi c'è una coronarografia. Vado in emodinamica perché vorrei vederla, ma c'è un intoppo e si fa tardi e devo tornare da me e allora niente coronarografia: me la sono persa.

La mattinata finisce a sorpresa con l'ultimo prelievo arterioso a un signore, che invece mi viene - tac - al primo colpo.

«Mi ha fatto molto meno male del prelievo che mi hanno fatto prima» mi dice il paziente, ridendo. E questa cosa devo dire che mi ritira un gran bel po' su.

Torno al mio armadietto e raduno le mie cose, che per qualche giorno non ho altri turni e voglio dare una sistemata e una lavata a tutto. Esco dall'ospedale e raggiungo la macchina: sono rimasto più del preventivato, e il parcometro è scaduto da un po', ma per fortuna non mi hanno fatto la multa.

Tutto sommato, direi che oggi è andata alla grande

Simone

04/08/13

Studiare dopo i 30 anni: da dentro a fuori.

Proprio uguale al mare dove vado io...
L'esperienza più difficile in ospedale l'ho avuta - credo - l'altro giorno.

In reparto arriva Stefano, un vecchietto di 80 e rotti anni che respira male, coi reni fuori uso, il cuore anche peggio e un'infezione di quelle che studi sul libro e pensi non si verificherà mai e invece, guarda un po', lui ce l'ha. Con lui la figlia che l'accudisce durante il giorno e che - prima di andarsene - viene da me.

«Io lo lascio in ospedale massimo una settimana» mi dice. «Non voglio che gli fate troppi prelievi, iniezioni e tutti quegli esami dell'ultima volta che è stato ricoverato».

Sua figlia ha le idee chiarissime, insomma: non si fida tanto dei dottori (e a maggior ragione non si fiderà di me) e non vuole interventi inutili e fastidiosi su suo papà e se le cose non si risolvono in fretta se lo riporta comunque a casa.

E però quando lei se ne va, nel momento che il vecchietto rimane da solo, succede che c'è da rivedere e aggiustare la terapia, come del resto è normale. E qua vi avevo messo tutta una descrizione di fisiologia, clinica, farmacologia e non so quanti altri esami di medicina condensati in un solo post, ma ho concluso che non ce ne frega niente a nessuno e passo semplicemente al fatto concreto: aiuto a dare la terapia a Stefano, e tra tutte le cose che deve prendere c'è una roba che quando te la iniettano fa un male cane e la storia finisce con Stefano poverino che si lamenta mentre io faccio quello che mi hanno detto di fare sentendomi - intensamente - una totale merda.

Che non fosse colpa mia e che era una cosa che andava fatta mi pare evidente. Però c'è questo terrore di fare più male del dovuto a qualcuno perché magari sbagli oppure hai capito male o perché semplicemente era meglio se lo faceva qualcun altro meno impedito di te. E probabilmente è necessario che uno si senta così, perché altrimenti farebbe solo casini. Però, ecco: la figlia che mi fa quel discorso, io che ce la metto tutta, ma alla fine... vabbe'. Suppongo che sia andata come doveva andare.

Il giorno dopo vado al mare, passeggio sul bagnasciuga e ci penso ancora, a Stefano. Mi chiedo se è migliorato. Mi chiedo se invece è morto, o se non è cambiato nulla e sta sempre come ieri, in quel letto d'ospedale. Mi domando se avrà detto qualcosa su di me a sua figlia, e mi chiedo quale sarà adesso la loro opinione sui medici, e su di me.

Le onde mi accarezzano i piedi, e in lontananza qualche barca che segue il litorale mi dà l'idea per un'ardita metafora, e per dire cioè che forse ho passato l'ennesimo giro di boa: ai primi tempi, durante i primissimi tirocini, quando vedevo la gente che stava male, avevo paura per me. Paura - che so - di svenire, di non reggere la tensione o di non ricevere un buon giudizio dai miei professori.

Adesso sto pensando a un paziente, e mi preoccupo di quello che sente lui e di quello che potrebbe accadergli. Il mio ruolo alla fine invece resta sempre lo stesso, e quello che devo fare è anche piuttosto scontato: le terapie del resto non lasciano molto all'inventiva personale, ci sono le linee guida da seguire e le cose da fare sono più o meno sempre le stesse. Ma il risultato sui pazienti, no: quello può variare. E quando varia in peggio, allora è lì che sta tutta la fregatura.

Riflettevo, proprio pochi giorni fa, su cosa fosse cambiato davvero in questi anni. Be', tante cose. Ma più di tutte quell'ansia, quella sensazione di incompletezza, di qualcosa di assolutamente fuori posto che avevo dentro di me e che mi ha spinto ha rimettermi in gioco, adesso è come se l'avessi proiettata al di fuori.

E lo so che suona più come il secondo stadio di una grave malattia mentale. Ma quell'idea di avere io qualcosa che non va, di aver sbagliato delle scelte nella mia vita, si è trasformata nel tempo nella sensazione che è il mondo in cui viviamo ad avere qualcosa che non va, a volte. E che insomma non sono io l'unica causa dei miei problemi, fallimenti e frustrazioni, ma che sono cose che fanno parte del gioco, della vita, dell'interagire semplicemente con le altre persone.

Un me stesso un po' più sereno, in un mondo un po' più cupo. Questo ho barattato con 5 anni di studio, più il prossimo che deve ancora arrivare. Non era questione di fare l'ingegnere e fare il dottore e decidere quale delle due fosse meglio, ma questo almeno per me era chiaro già da un bel pezzo.

Il sole mi scotta la fronte mentre guardo l'orizzonte con l'acqua che fa su e giù e il vento tra i capelli e i gabbiani e tutta la più scontata immagine del tizio che passeggia sulla spiaggia che potete farvi venire in mente. Raccolgo una conchiglia per sentire il rumore del mare, e così vi ci ho messo anche questa, che mancava.

Continuo la mia passeggiata, sentendomi per l'ennesima volta una persona diversa. Inizio a pensare al futuro, e a quello che mi aspetta dopo quest'ultimo anno di università. E mi rendo conto di non averne la minima idea.

Simone