29/11/12

Cambiare o riprendere gli studi universitari: quello che dico un po' a tutti.

Platone convince Aristotele a cambiare facoltà.
Parlando di seconde lauree o semplicemente dell'idea di iscriversi a una determinata facoltà universitaria, mi capita spesso che mi si chieda qualche consiglio, una semplice opinione, o anche quale sia la mia esperienza (essendoci passato) e il mio punto di vista.

Confesso che alle volte mi pare di non essere troppo convinto nemmeno io delle risposte che do alle singole persone: in fondo ognuno di noi è molto diverso, e i consigli che mi sembrano buoni per qualcuno potrebbero tranquillamente rivelarsi pessimi per qualcun altro.

Vorrei però mettere giù qualche punto fisso. Qualcosa che in sostanza si ripete spesso nelle esperienze di chi mi scrive o che mi conosce, e che mi trovo spesso a sottolineare e a ripetere.

Non che questo post voglia essere una risposta generica e universale a tutti, ci mancherebbe... ma insomma, mi piace l'idea di provare a metter giù qualche "paletto", qualche consiglio di base per chi vuole riprendere o modificare i propri studi, che poi magari potrei semplicemente cambiare o rivedere in futuro.

Insomma non prendete niente come oro colato, ma è solo così: per riflettere un po'.

Ha senso iniziare un percorso di studi a X anni?

Secondo me, in linea di principio, mettersi a studiare è sempre una cosa buona e positiva. Poi ci sono modi e modi per studiare, e non tutti - sempre ovviamente nella mia personale opinione - sono analoghi e altrettanto costruttivi.

Se X è un numero piccolo (tipo 20-25) e il percorso di studi porta a possibilità lavorative o di realizzazione personale nuove, non vedo sinceramente che problema ci sia. Più l'età sale e più le cose si fanno complicate, ma alla fine studiare materie utili o che ci realizzano non porta aspetti di per sé negativi, a nessuna età.

Quando però si inizia a studiare, si devono fare comunque dei sacrifici: economici (perché comunque il tempo di studio è tempo non passato a lavorare) di impegno, di libertà, di possibilità di fare altro come per esempio occuparsi della propria famiglia e della vita privata.

Insomma se X inizia a crescere oltre i 30 anni e avete tutta una serie di problemi, difficoltà, bisogni o semplici altri interessi che vengono prima, magari dello studio potreste anche fare a meno. Dovete - ovviamete - deciderlo voi.

Serve prendere una seconda laurea?

A parte che io non posso saperlo (ne ho ancora una soltanto) ci sono 2 tipi di seconde lauree, secondo me:

- La laurea che completa un percorso di studi già fatto o determinate competenze (da un tipo di ingegneria a un'altro, o da un diploma a una laurea attinente, per fare un paio di esempi): qui sicuramente saprete già come sfruttare il nuovo titolo, ed essendo inseriti in un ambiente già favorevole non avrete credo difficoltà a sapere voi per primi come comportarvi. Insomma, un vantaggio molto probabile.

- La laurea "diversa", su argomenti che non avete mai affrontato. Tipo da ingegneria a medicina, tanto per dire la prima cosa che mi è venuta in mente: qui unire le due professioni è molto più difficile, e la seconda laurea ha senso se la vostra idea è quella di abbandonare una strada per percorrerne una differente oppure se avete le idee chiarissime su cosa vorreste fare dopo. Il vantaggio dovete deciderlo voi: quanto vi interessa cambiare, e occuparvi di cose nuove? La scelta è tutta vostra.

Voglio iniziare una seconda laurea dopo questa che sto ancora prendendo. Faccio bene?

Ecco, questa posizione molto ma molto diffusa (forse la percentuale maggiore di lettere che ricevo parla di situazioni come questa) è anche quella che mi mette più in difficoltà.

Io vi direi che "non lo so" se intanto la prima laurea non volete sfruttarla. Cioè va bene finire quello che si è iniziato, ma fare progetti così a lungo termine e studiare tanti anni per cose che non ci interessano davvero... ma a che serve? Ok potreste aver bisogno della prima laurea per lavorare, ma qui le cose si complicano all'infnito: quanto vi serve quel lavoro? No, perché se vi serve davvero davvero tanto, forse la seconda laurea non potreste proprio nemmeno permettervela.

Io vi direi di "non mi pare una buona idea" se per la prima laurea state già arrancando. Se ci mettete 10 anni a fare Ingegneria, che ne durerebbe 5, forse altri 10 anni subito dopo per una laurea in chissà cos'altro andrebbero valutati attentamente. Cioè, magari lo studio non vi piace nemmeno e vi state solo distruggendo la vita sui libri quando ci sono troppe altre cose che vi piacerebbe maggiormente fare al mondo... ci avete pensato?

Io vi direi infine "vai alla grande!" se i due percorsi di studi vi prendono entrambi allo stesso modo e hanno una parvenza di possibilità di poter essere "uniti" in un lavoro futuro che li sfrutti entrambi. Ma certo seguire due passioni e portarle a termine entrambe non è da tutti... per cui in bocca al lupo!

Io vorrei provarci... ma se poi le cose vanno male?

Quando si comincia un percorso lungo come una laurea, ci sono da considerare un'infinità di fattori: prima di tutti quello economico. Poi il tempo. Poi l'età. Poi la difficoltà degli esami. Poi se la nostra determinazione ci porterà fino alla fine, o se si esaurirà a metà strada.

Ma - c'è un ma che vi renderà tutti felici - cosa cazzo ve ne frega?

Se è solo provarci il problema, a provarci non succede niente. Come dico un po' a tutti quelli che mi sembrano un po' troppo preoccupati, non è che se non passi il test muori. Non è che se non diventi medico/ingegnere/marmista è come se ti investissero con la macchina e la tua vita finisce lì.

Provarci e fare una scelta e vedere dove questa ci porta è la cosa più naturale del mondo. Basta ovviamente non fare passi troppo grandi (tipo vendervi la casa per pagare le tasse universitarie :) ma se questo non è il vostro caso, dove sta il problema?

Cioè la paura non è davvero di non passare il test, di non riuscire, di fare una brutta impressione con quei deficienti dei professori o di doversi rassegnare a dire "vabbe', almeno c'ho provato". Io ho spesso l'impressione che la vera paura - tante volte - sia più quella di riuscirci davvero. Di trovarsi in un posto nuovo, con persone nuove e una routine di vita completamente sovvertita.

La paura che avete - secondo me - potrebbe essere proprio quella di avere successo, e di cambiare la vostra vita o per lo meno di provarci per poi rendervi conto che era meglio prima o che è meglio dopo e che le vostre certezze sono comunque da mettere in discussione.

E io credo che la paura del cambiamento sia normale, nonché assolutamente condivisibile. Ma se mi dite "voglio davvero fare questa cosa, ma ho paura di non riuscirci... per cui non ci provo nemmeno" che senso ha? Secondo me non è il non riuscire che vi spaventa, ma è proprio il cambiamento a tenervi ancorati al vostro passato. Nel mio caso, per lo meno, era proprio così.

Simone

23/11/12

I colleghi antipatici.

Studente saccente con l'Harrison incorporato.



Su Facebook, capita che alcuni compagni di corso si lamentino - in modo generico - di come certi studenti siano un branco di palloni gonfiati che si danno un sacco di arie, e che non sono disposti ad aiutare nessuno: né i loro pazienti, né tanto meno i colleghi, che sono visti più come futuri concorrenti che altro.

C'è da stupirsi? Direi di no: il giorno che entri a Medicina lo fai dopo aver passato un test considerato la concezione più elevata dell'umano ingegno dopo lo sbarco sulla luna e la serie TV del Trono di spade. E nonostante il significato prognostico nullo di tale test è già plausibile che un adolescente - magari già un po' montato di suo - solo per averlo superato inizi a credersi il nuovo luminare della scienza moderna.

Poi Medicina è un po' strana. Cioè a Ingegneria per fare un esempio ti insegnavano che dovevi stare zitto e fare bene il tuo lavoro, che chi stava sopra di te (professori, committente, geometri e periti industriali, il lattaio, l'omino che controlla il contatore del gas... insomma chiunque) poteva cazziarti e insultarti quanto gli pareva e tu dovevi fare pippa.

Cioè una buona parte del lavoro dell'ingegnere consiste nel fare la cosa necessaria in mezzo a un branco di coglioni che ti gridano contro e cercano di sabotarti e che poi a lavoro ultimato ti tratteranno anche male, mentre a Medicina invece impari a restare sempre un tantino distaccato: i pazienti li prendi, li spogli, gli metti le mani addosso, decidi cosa li affligge, decidi la terapia e se poco poco hanno qualcosa da ridire significa che sono dei gran rompicoglioni, mentre tra te e loro c'è sempre un camice bianco che - in un certo senso - vi separa.

Che poi la realtà non è questa: ci sono tanti dottori bravissimi e umilissimi che con i pazienti sono degli angeli scesi sulla terra. Ho visto professori fare da cavie per i propri alunni, o specialisti con gli occhi lucidi per una brutta notizia da dare a un paziente. Però da studenti - e per certi studenti direi - l'idea che sei un po' stocazzo può piano piano prendere piede, e a quel punto ritornare sui propri passi è davvero difficile.

Capita poi che questo atteggiamento sia un po' orizzontale, all'interno dell'ospedale, e che non coinvolga cioè solo i dottori e gli studenti di medicina:

Per dire: ho conosciuto iscritti a varie professioni sanitarie che - dopo due mesi di reparto - non ti fanno un favore manco morti perché una volta un dottore gli ha risposto male e adesso ce l'hanno con tutti, oppure perché magari c'è qualche documento che spiega cosa devono o non devono fare e loro si rifiutano di muovere un dito più del dovuto.

Cioè cazzo io a 37 anni mi prendo le pressioni di tutti i malati, provo (sigh) a fare i prelievi, vado nell'altro reparto a sviluppare gli emogas (da noi non c'è la maccina) faccio gli ECG, sistemo le cartelle se c'è da farlo, seguo i professori da tutte le parti in caso gli serva qualcosa... ma che cavolo sto lì da 1 mese e quelli mi insegnano cose che da altre parti semplicemente mi sognavo. Ci sta che provo almeno un po' a prendermi anche qualche rottura di palle e rendermi utile, no?

Invece arrivano questi ragazzini di 12 anni col camicetto appena comprato, il professore più bravo dell'ospedale con 2 pazienti instabili da seguire gli chiede se per favore gli fanno una cosa e quelli "no, non è compito nostro".

Oppure vai nell'altro reparto, trovi una cosa tutta sporca di sangue (!!!) invece di farti gli affari tuoi che tanto le malattie se le prendono loro dici a uno "scusa, qua è tutto sporco di sangue non so magari gli diamo una passata col disinfettante?" con tutta la cortese sottomissione che ho appreso nel rapporto con i geometri del Comune.

E quello "chi sporca pulisce, io non faccio il cameriere, il disinfettante sta lì e puoi usarlo da solo".

Che se andiamo a vedere io lì sono solo uno studente, per cui tutto sommato non c'è nulla che sia veramente compito mio e se lo faccio lo faccio altrimenti amen: ci sarà qualcun altro che deve effettivamente occuparsene lui.

Solo che il non fare è l'anticamera della mediocrità. Prima non fai perché non vuoi, poi dopo un po' perché non sei proprio capace, e alla fine nemmeno te lo chiedono più perché nessuno si aspetta una risposta positiva. E lo stesso penso che valga per i futuri medici arroganti, che finché non escono dal tunnel mentale di sapere tutto loro è difficile che arrivino poi sul serio a fare chissà che cosa.

Che se sei scostante e antipatico e nessuno è felice di lavorare con te ci mettono poco a farti da parte. Hai le tue mansioni, entri e esci dai tuoi turni e dopo 30 anni stai ancora lì da solo in una sorta di reazione granulomatosa della società nei confronti degli stronzi.

La verità per fortuna è che di persone davvero antipatiche e scostanti, all'università come nella vita in generale, ne trovi giusto un 10-20%. Io con i miei colleghi mi sono trovato sempre benissimo, magari perché vendendo "da fuori" certe cose mi sembrano già più normali e me la prendo di meno... chi lo sa? Comunque insomma questa critica vale solo per una minoranza dei dottori o futuri tali, mentre il grosso generalmente si comporta in maniera per lo meno accettabile.

E poi trovi gente come questo signore sulla sessantina: lo vedo ogni tanto che porta le barelle, pulisce i malati, rifà i letti, chiacchiera coi parenti degli ammalati, porta i prelievi in laboratorio... fa un po' quello che serve al momento, insomma.

Sulla targhetta attaccata al camice c'è scritto che è un volontario di non so quale associazione che non mi ricordo, che c'ha un nome strano.

L'altro giorno c'era un paziente che stava malissimo: respirava male, acidosi, cirrotico, edemi da tutte le parti. Non si poteva muovere, non ce la faceva manco a stendere le gambe per quanto gli faceva troppo male tutto, e se ne stava accucciato nel letto tra tubi e fili di ogni genere, solo e dolorante.

Arrivata l'ora di cena il signore di cui parlavo si è messo lì, e con una pazienza che io non potrei avere lo ha aiutato a mangiare quello che poteva essere il suo ultimo pasto a questo mondo.

Credo che nel farlo non si sentisse 'sto grande dottore incompreso, e nemmeno il primo della classe o il salvatore dell'umanità. Sono anzi sinceramente convinto che - di certi discorsi - non gliene fregasse davvero un cazzo.

Simone

20/11/12

Vorrei raccontarvi...

Mio possibile aspetto in attesa di entrare al dottorato di ricerca.
Di come ho finalmente iniziato a studiare medicina e chirurgia 1. Non tanto, giusto un po' questo fine settimana, ma meglio di niente e un po' alla volta mi rimetterò in moto.

Di come in reparto inizio a fare sempre più cose: ECG, pressione, ossigeno... e finalmente ho fatto pure un paio di emogas. Sarebbe il prelievo di sangue dal polso, che ora è lunga spiegarvi come e perché comunque è un po' un casino e ci vorrà un bel po' di pratica prima di saperli fare davvero.

Dalla prossima volta credo farò pure qualche prelievo di quelli "normali", che le infermiere già mi hanno spiegato come si fa e tutto quanto.

Di come i professori non hanno messo appelli a Dicembre per cui mi tocca fare tutto appiccicato a gennaio/febbraio... ma forse l'ho già detto.

Di come ormai seguo i turni del mio professore (sempre in reparto) per cui ci vado pure la sera quando lui ha la notte (ma non mi fermo a dormire) e ogni volta vedo di tutto tra TAC raggi-x ecografie esami o pazienti da visitare e mi pare che in meno di 2 mesi ho imparato più cose che in 4 anni.

Di come l'altro giorno la signora in reparto mi ha detto "lei è il futuro prossimo professore"... ignorando poverina che da qui a una cattedra ci stanno 10 concorsi tutti quanti con 2 posti per 200 candidati, e che quando mi hanno riconosciuto il 20 che avevo all'esame di Fisica fatto a Ingegneria mi sono passati avanti tutti quanti.

Ma si può sempre sognare e pensare diventare il più bravo di tutti e spiegare agli altri le cose lo stesso. Di questo volevo raccontarvi insomma...

Ma è tardi e devo uscire e sono già in ritardo, per cui ora vi saluto e ve lo racconto meglio magari tra qualche giorno.

Simone

16/11/12

Prendere due lauree: c'è anche chi ha le idee molto chiare... fin dall'inizio!

Percorso di destra: 5 anni. A sinistra 6. Dritti per il ricovero.
Caro Simone,

girovagando per internet mi sono imbattuta nel tuo blog, e ne sono molto felice. :)

Primo, perchè mi hai dato nuova determinazione per proseguire i miei studi, secondo perchè mi hai dato nuova determinazione per cominciarne altri.

La mia storia è molto diversa dalla tua: non sono ancora laureata in niente, non ho passato 10 anni a lavorare facendo qualcosa che non mi rendeva felice, e non ho ricominciato a studiare passati i 30 anni. In realtà sono molto giovane, ho 19 anni e studio economia.

Il mio più grande difetto, è che al liceo sono sempre stata troppo brava in tutto, e non ho mai avuto una totale passione per qualcosa di preciso. Per anni ho voluto fare architettura e poi medicina. L'ultimo anno è stata una battaglia tra fisica ed economia.

Alla fine economia ha avuto la meglio e sono al secondo anno, ma quest ultimo periodo sono stata in una totale crisi, perchè mi sono resa conto che - per quanto possa essere interessante l'economia - studiare fisica mi avrebbe reso più felice.

Eppure quando ho scelto economia, se l'ho scelta, era perchè volevo realmente farla, nessuno mi ha costretto, e la cosa brutta è che mi sono pure piaciute certe cose che ho studiato! In una totale confusione e smarrimento, ho passato intere notti a piangere, sognando una volta di essere uno scienziato, e la volta dopo di essere il manager di una qualche azienda famosa, e non riuscivo a capirci niente.

Ora, dopo averne parlato anche con i miei ed aver letto la tua storia, ho deciso che se tutto va bene mi laureo in economia a 23 anni (ho fatto la primina, fiuuu :) ) e voglio farmi almeno una triennale in ingegneria fisica, a discapito di tutti quelli che mi dicono che sono pazza.

Finirò a 26, forse 28 anni, ma almeno avrò fatto ciò che più mi piace. So che economia non c'entra proprio niente con fisica, però che ci posso fare se mi piacciono entrambe? :)

Noi siamo sognatori, ed il mondo appartiene a noi. So che ce la possiamo fare, in bocca al lupo per tutto (da quello che ho capito ti manca poco) e grazie per avermi fatto capire che se si vuole qualcosa veramente, basta imboccarsi le maniche e darsi da fare!

Marcelina.

13/11/12

Seconda laurea a 30 anni: punto della situazione a Novembre 2012.

Non sarà ora di studiare?! Naaaaaa.... :)
Rapido aggiornamento che non facevo da un po', su tutte le varie ed eventuali.

Croce Rossa: oggi comincio con questa! Ho fatto l'aggiornamento (loro la chiamano riqualificazione) per andare in ambulanza. Adesso sono pronto e preparato - o così dicono - per riprendere il servizio col 118, e potrei insomma ricominciare a fare qualche turno.

L'ambulanza dei volontari è una cosiddetta BLS, che ha un infermiere e non un medico. Questo per assurdo vuol dire che nel momento in cui dovessi laurearmi non potrei neanche più salirci sopra, perché per motivi legali su quel tipo di ambulanza un dottore non può in nessun caso svolgere servizio.

Sarebbe da trovare qualche altro posto di Croce Rossa come ambulatori o qualcosa del genere dove imparare a fare un po' più il dottore... ma che io sappia ora come ora non ce ne sono. O forse sono solo informato male? Vedremo.

Medicina d'urgenza: l'internato prosegue a gonfie vele. Sono assegnato a un professore, e quando lui è di turno e io posso andarci (tipo la Domenica mattina!) mi faccio le mie 3-4 ore in reparto.

In poco tempo ho visto un sacco di cose e imparato (o ri-studiato) veramente molto. È che il reparto mal si sposa con gli esami universitari: se devo studiare 2000 pagine di anatomia patologica secondo me sono un pazzo a rileggermi tutto il libro di ematologia. E se hai turni, lezioni, tirocini, seminari eccetera non andarci per seguire il reparto finisce che ti danneggia quando poi devi fare gli esami. Vabbe', è la vita degli studenti di medicina. Credo.

Il blog: il blog riceve ultimamente circa 200 accessi (lettori unici) al giorno. Il vecchio blog sulla scrittura - nei momenti di maggiore successo - arrivava più o meno a 300.

Questo vuol dire che parlando di tutt'altro sono riuscito bene o male ad attirare un numero simile di persone. Per come la vedo io, sono molto più scrittore adesso di quanto non lo fossi prima... se ovviamente pensiamo agli scrittori come persone che scrivono cose degne di essere lette e non di gente (io) che passa la vita a parlare di libri sui gatti o a informare la comunità sulle buffe contraddizioni del meraviglioso mondo dell'editoria.

Penso anche che sia un po' una sorta di meccanismo intrinseco ai blog: dopo un po' arrivi a una certa saturazione che sta sui 300-500 lettori, qualsiasi cosa tu dica o faccia. Cioè è che google alla fine i lettori te li manda per forza a causa delle innumerevoli parole chiave che hai sparpagliato per la rete, e tutto sommato quello che scrivi o racconti in realtà ha un valore davvero bassino.

Penso anche che questa forma di espressione sia molto limitata e abbia già fatto il suo tempo. I blog sono spazi molto personali dove chiunque arriva può giudicarti o mandarti a quel paese e prenderti per il culo da dietro un soprannome inventato, mentre se scrivi una cosa davvero buona molto facilmente affonda giù tra i vecchi post e si perde rapidamente.

Avere un blog col proprio nome e cognome è un po' come mettersi in balcone con le braghe calate e pensare che sia una cosa da artisti, ecco. Credo però che sia importante portare le cose fino alla loro naturale conclusione, e che tanta gente arrivi qui con delle esigenze reali. Penso insomma di chiudere questo blog il giorno della laurea, e tra l'altro questo è un buon motivo per spingermi a finire il prima possibile :)

Esami: i prossimi esami iniziano a gennaio. Sono tutti appiccicati in pochi appelli, i prof non hanno messo sessioni straordinarie o anticipate e alla fine fare 3 materie in un mese e mezzo (sarebbero 5 ma inglese e gli esoneri di farmacologia non li conto nemmeno) sarà un bel casino. Sembra che la burocrazia conti di più delle capacità personali e dell'interesse nel consentire a un futuro dottore di imparare le cose con la dovuta tranquillità. Siamo schiacciati da lezioni obbligatorie, tirocini, prove pratiche, scritti, controscritti e orali vari, e come si chiede un po' di elasticità ci viene risposto che non è possibile e dobbiamo attaccarci al piffero.

La cosa buona è che tutto sommato questi esami non sembrano troppo difficili. La cosa cattiva è che in questo attuale momento non so ancora niente di niente e non ho toccato libro, per cui potrei anche semplicemente aver sottovalutato qualcosa :)

Simone

10/11/12

Il dottore inadeguato.

Il medico televisivo più verosimile.
Reparto di Medicina d'Urgenza.

Hanno da poco ricoverato un paziente nuovo, e io seguo il professore che va a visitarlo.

Il paziente si chiama Stefano, e lo troviamo sul letto che cerca di dormire. Quando ci vede apre gli occhi ma non dice nulla: ha un tubo in gola che gli impedisce di parlare, ed è quasi completamente paralizzato.

«Hai fatto Neurologia?» mi chiede il professore. «Conosci la sindrome di Guillain-Barré?»

Le mie risposte sono «No, e assolutamente no». Iniziamo malissimo.

La Guillain-Barré l'ho già sentita nominare probabilmente in qualche esame del terzo anno, ma non mi ricordo assolutamente nulla. Studiando nel pomeriggio (ri)scoprirò che è una malattia nella quale il sistema immunitario si mangia le guaine che ricoprono i nervi, e sono cavoli amari: piano piano non ti muovi più, e se non si sbrigano a intubarti è capace che muori anche soffocato.

Grazie al cielo in genere si guarisce e si può tornare a una vita normale, ma il nostro paziente stava così da un sacco di tempo e di sicuro non ho cambiato la situazione io... che non sapevo manco che malattia aveva, con tutto che me l'avevano detto.

Altro paziente, altra corsa: questa volta a lezione, un docente ci presenta dei casi clinici da commentare.

«Una signore ha fatto un controllo dove risultava tutto bene tutto a posto e tutto in ordine. Pochissimo tempo dopo però si ritrova un noduletto che gli fa male, e allora torna dal dottore. Che cosa fareste voi, nel caso si trattasse di un vostro paziente?»

«Visto che i controlli così ravvicinati erano buoni» commento io, «si tratterà di un processo infettivo. Per cui rassicuro il paziente e per il momento non richiedo analisi o accertamenti particolari».

Quanto sono figo? Ho capito la situazione, ho preso una decisione e ho anche messo in pratica la cosa aprendo bocca e spiegando a tutti il mio illuminante punto di vista. Fantastico.

Solo che dopo un po' viene fuori che il noduletto infettivo era invece una cosa di quelle proprio cattive che se quando chiami il dottore trovi anche solo il telefono occupato ti ha già fatto fuori, e io ho fatto secco il mio primo paziente.

E meno male che era solo virtuale - come li chiamano loro - che così saranno virtuali pure gli anni di galera. Almeno una ventina da scontare nel Matrix, ma con la buona condotta magari mi passano nel blog, o se mi dice bene addirittura su Facebook. Vabbe' a dire boiate invece resto sempre bravissimo.

E insomma, di casi ce ne starebbero tanti, ma non posso stare qui a raccontarveli uno per uno. Il concetto è che a impararsi i libri a memoria sono capaci tutti (chi più o chi meno, visto che io mi dimentico tutto) e fare gli esami tutto sommato è solo questione di testardaggine e voglia di arrivare alla fine.

A ripetere terapie e linee guida, che cosa ci vuole? Ti compri un bel manuale e all'occorrenza te le rileggi da lì, se proprio non te le ricordi. Anche prelievi, iniezioni e procedure varie possono fare paura, ma nella pratica chi è così impedito da non imparare mai, nemmeno dopo anni?

C'è però quest'altro aspetto della realtà, e del rapporto con le patologie e con i pazienti, che più ci si avvicina al traguardo e più diventa preponderante: il difficile, il difficile vero, è prendere le decisioni.

È mettersi davanti al paziente e sentirsi al posto giusto, sapere le cose e saperle anche mettere in pratica quando servono. Uscire dalla sicurezza del guardare e non toccare, dell'ascoltare e restare zitti. Sbilanciarsi di fronte a qualcuno che potrebbe anche incazzarsi se non facciamo le cose nel modo migliore: ok, guarda. Ho capito la tua situazione, e la soluzione che propongo è questa.

Il senso di inadeguatezza che provo di fronte ai professori e ai pazienti quando non ricordo qualcosa, quando non saprei dove mettere le mani e quando - semplicemente - non so cosa cazzo fare, è forse il gradino più alto alla fine di tutto il percorso.

La differenza credo tra essere uno studente, anche con 30 e lode di media e tutti i baci accademici dalle specializzande fighe, e diventare invece a tutti gli effetti un dottore. Piccolo, non importante, con un campo di azione limitato magari... ma che il suo lavoro lo sa fare bene e sul quale si può fare affidamento.

Spero tanto, col tempo, di superare anche questo.

Simone

08/11/12

Medicina dopo una laurea in lettere: ma poi, quale specializzazione?

Al medico non specialista è consentito GUARDARE i pazienti
(sotto la supervisione di un tutor).
Sarà che questo quinto anno iniziato con la scelta del reparto per la futura tesi ha iniziato a smuovere le acque in tal senso, perché torno ancora sull'argomento post-laurea e specializzazione e lavoro e carriera (o disoccupazione e tragedie varie... ma speriamo di no!)

Lo faccio prendendo spunto dalla lettera di Andrea, che mi scrive questo:

Ciao, sono capitato sul tuo blog per caso e sto vivendo una storia simile alla tua.
Mi sono laureato in lettere, indirizzo cinema, e ho lavorato per 2 anni come tecnico video per una tv privata. 

Quest'anno - a 26 anni - ho superato il test di medicina e ho cominciato a seguire i corsi. Puoi immaginare quali siano state le reazioni dei miei conoscenti, amici ecc. 

Ora mi ritrovo nuovamente sui banchi, in mezzo a ragazzi molto più giovani e a volte anche più preparati di me. Tuttavia sono molto felice della mia scelta.

Ho visto che hai affrontato l'argomento: secondo te quali sono le specializzazioni meno affollate, dove il fattore età potrebbe passare in secondo piano?

Andrea
Ok: niente di trascendentalmente nuovo (ne parlavamo proprio pochi giorni fa) ma vale la pena di dire 2 cose prima di lasciare la parola a qualcuno (si spera) più informato di noi.
1) A 26 anni per me non è che uno ha iniziato tardi: uno ha semplicemente iniziato un po' dopo. Manco tanto. Che se tutto va bene ti laurei a 32 anni e sei specializzato a 37... facciamo 40. E sei ancora perfettamente in un range di tempo tutto sommato normale.
 
Aggiungerei che se uno inizia a 26 anni i suoi professori tante volte manco se ne accorgono che è più grande, visto che di anni ce ne hanno più di 60 e gli studenti gli sembrano tutti dei ragazzini. Certe volte non se ne accorgono nemmeno con me!

Insomma 18-28 anni è un'età normale per iscriversi, dopo i 30 è tutto un po' diverso ma prima tutto sommato non cambia niente... a meno che uno è già sposato con figli e persone varie a carico, mi pare ovvio.

2) Io quali sono le specializzazioni dove "si entra" non lo so. Non l'ho capito, nessuno te lo spiega, da qualche parte dovrebbe esserci una sorta di elenco con i risultati dei vari concorsi per entrare (dai quali ovviamente vedere quante domande ci sono - in media - rispetto ai posti disponibili) ma io in rete non trovo niente.

Io so solo quali sono i posti dove tutto sommato è molto difficile entrare anche per studenti davvero supersecchioni (parlo oltre il 28-29 di media) e che magari capiscono anche qualcosa di medicina. Le specializzazioni blindate, almeno per quanto ne so, sarebbero:

- Pediatria (una studentessa su 2 vuole fare il pediatra).
- Ginecologia (l'altra studentessa su 2 vuole fare il ginecologo).

- Neurologia a seconda dei momenti (un anno volevano fare tutti il neurochirurgo, l'anno dopo nessuno!)

- Cardiologia.

- Dermatologia.

In generale, tutte quelle specializzazioni che ti consentono di avere un tuo studio privato sono mediamente più "piene" di quelle che ti costringono a lavorare principalmente in ospedale. Le cliniche più richieste delle chirurgiche, perché tanti medici del sangue s'impressionano e aprirti la sala operatoria privata tua tutto sommato è complicato.

Le specializzazioni dove invece si entrerebbe come meno difficoltà sono difficili da individuare: un po' perché ogni università ha un diverso numero di posti a disposizione, un po' perché le regole e la situazione cambiano da ateneo ad ateneo e di anno in anno.

Tanto per dire qualcosa, ho sempre sentito parlare "bene" di.

- Anestesia e rianimazione.
- Medicina del lavoro.
- Medicina legale.
- Biochimica clinica.
- Chirurgia generale.
Tra tutte queste, credo che il Medico del lavoro non abbia difficoltà nemmeno a trovare un impiego al di fuori dell'università... ma è un lavoro talmente simile a quello che facevo da ingegnere che non mi attira manco minimamente per niente. Per altri - ovviamente - potrebbe essere diverso.

Aggiungo che almeno a Roma pare che nessuna specializzazione rimanga con posti vacanti. Nel senso che finiti i concorsi tutti i posti sono presi, e chi non è entrato non è entrato e per un anno rimane fuori. Auguri e figli maschi.

Credo anche però che ci sia un po' di terrorismo: è vero che certi indirizzi sono troppo affollati, ma non sempre la situazione è così drammatica e magari non è così difficile trovare un posto in un reparto che ci piace, magari avendo un po' di pazienza e determinazione.

E voi, che ne dite? Si accettano consigli, precisazioni e suggerimenti :)

Simone

05/11/12

Il problema con Anonimo.

Cosa succede quando scarico la posta.
Io in realtà con Anonimo non ho mai avuto nessun problema.

A dire il vero tengo un blog (con alti e bassi) da almeno 5 anni, e se devo essere sincero l'idiota di turno che passa a insultarmi senza particolari motivi l'ho sempre trovato divertente. Cioè a un certo punto avevo iniziato a collezionare gli insulti di tutti quei poveracci che - spinti da chissà quale inganno a leggere i miei libri - cercavano consolazione venendo a "casa mia" e riempiendomi di parolacce.

Alcuni erano fantasiosi, originali, bellissimi addirittura! E poi anche l'insultatore anonimo è sempre meglio del nulla e del silenzio che opprimono tanti blog e tanti articoli online: se stiamo sul cazzo a qualcuno abbiamo pur sempre ottenuto qualcosa. Siamo pur sempre vivi.

Però, a volte, ci sono dei momenti in cui anche le meraviglie dell'anonimato iniziano a pesare un po' a noi ingegneri ex scrittori blogger studenti di medicina: ci siamo riuniti in una sorta di comitato, e abbiamo deciso che la pioggia di email di spam alla quale veniamo sottoposti regolarmente inizia a diventare una vera rottura di coglioni.

Perché voi magari non lo sapete, ma blogger ha un filtro suo: se qualche rompipalle di spammer robot cinese vuole vendermi le pasticche contro l'impotenza o l'unguento magico per lenirsi il deretano, i meravigliosi geni di blogger lo sgamano e cancellano immediatementissimamente il suo commento spammoso, che voi sul blog nemmeno lo vedete.

Solo che a blogger però sono un po' stupidi, perché pure se il commento lo cancellano mi inviano lo stesso la notifica via email: "Anonimo@rompicazzo.com ti scrive che c'hai il pisello piccolo e in Estonia lo sanno tutti, ma noi l'abbiamo scancellato coi poteri dell'antispam". Tante notifiche via mail. 10, 20, anche 50 al giorno. E non se ne può più che c'ho sempre la mail piena di monnezza.

E poi c'è quest'altra cosa, che cioè un sacco di lettori del blog chissà perché non si firmano e non c'hanno voglia manco d'inventarsi un nome inventato, tanto per non farsi riconoscere pur rendendosi tutto sommato riconoscibili.

Che a me sai che mi frega se uno non si firma? Io sono contento dei commenti colle parolacce, già ve l'ho detto! Però tra 200 mail col mittente Anonimo che cancelli rischi che in mezzo ci finisce pure l'Anonimo che non spammava ma era anonimo e basta, e insomma qualche commento te lo perdi.

E un po' me lo chiedo: che sul mio blog non si parla tanto di medicina e ingegneria. Cioè, si parla di quello ovvio. Però l'idea è più di prendere una cosa che ti fa cagare, buttarla via e ricominciare da capo. Un po' un discorso su io che cambio vita e allora, bo', scriviamolo a tutti su Internet.

Per cui l'idea che uno pensi la stessa cosa ma non si firmi, e ci tenga tanto ma tanto a non essere riconoscibile, un po' ci fa capire in che posto di merda viviamo, no? Cioè la tua vita fa schifo ma che vuoi cambiarla è meglio che non lo sappia nessuno, che poi ti criticano, ti rompono un sacco i cosiddetti e semplicemente magari ti pigliano pure per il culo.

È che qui a cambiare il mondo a parole so' boni tutti, ma nella pratica è meglio che non lo dici e ti fai i cazzi tuoi, che sono tutti dei belli ipocriti pronti a tirartela e - soprattutto - a rosicare. Oppure ti spammano il blog coi messaggi porno che poi quando li clikki ti prendono i virus e gli hacker ti rubano tutti i soldi, mortacci loro.

Visto in che mondo viviamo? E a me insomma basterebbe poter rimuovere queste notifiche dello spam che diventano a loro volta uno spam insopportabile, ma non si può.

Di mettere i Captcha non se ne parla perché li odio. Moderare i commenti sarebbe comunque una rottura, e richiedere una registrazione tipo OpenID temo azzererebbe i già pochi commenti che ricevo.

L'unica insomma è dire a blogger di non avvisarmi più dei commenti sul blog, né quelli buoni né quelli cattivi. Così non arrivano più mail e amen, e per vedere se qualcuno mi ha scritto mi collego al blog e vedo direttamente se qualcosa è arrivata.

Il rischio così è perdermi qualche commento sui post vecchi... ma che altro posso fare? È questo - vi dicevo - l'unico problema che ho con Anonimo, o con la gente che scrive stronzate in generale. Che in mezzo a tanto casino e a tante cose senza senso che si dicono, c'è il rischio che si perda pure qualcosa di importante.

Ma come vedete - purtroppo - non c'è rimedio.

Simone

01/11/12

L'internato a Medicina d'Urgenza.

Strumento per riprendersi da un turno di notte.
Grandi notizie. Notizione. Notizie fantastiche, rivoluzionarie. Quasi epocali: ho chiesto l'internato per la tesi nel reparto di Medicina d'Urgenza.

E ok, 'sta cosa già si sapeva (visto che l'avrò detto 48 volte nelle ultime 2 settimane) e come notizia forse non è poi così "voluminosa" come ho fatto credere.

Però insomma adesso ci siamo arrivati davvero: dopo il primo mese di prova in reparto, ho parlato coi professori ed è venuto fuori che mi sono trovato bene io, non hanno curiosamente nulla in contrario loro, e dunque sono ormai ufficialmente interno a Medicina d'Urgenza.

Questo vuol dire che per i prossimi due anni (sperando ovviamente di non intopparmi con gli esami) oltre ai diecimila impegni universitari frequenterò anche questo reparto nell'idea di farci una tesi e - diciamo che l'idea sarebbe quella - laurearmi.

E ok, due parole - due - su come funziona l'internato.

Mi hanno affidato a un professore di quelli davvero disponibili, e qui è già una bella fortuna e probabilmente anche il principale punto a favore.

Ogni mese stampano un calendario con i turni di tutti i professori. Io vedo quando c'è il mio, e se non ho lezione o altri impegni vado in reparto in quegli orari.

Insomma mettiamo che il turno è la mattina: io la mattina alle 8 (facciamo 8 e 15, che sono ritardatario per vocazione) sono già lì e inizio a seguire il giro visite col professore e gli altri studenti.

Durante il giro prendiamo i parametri vitali, sentiamo il cuore, ascoltiamo il torace, eccetera. Poi magari guardiamo TAC, lastre, ecografie, e se non capisco qualcosa - cioè sempre - il professore me le spiega.

Poi se necessario facciamo gli elettrocardiogrammi, provando anche a interpretarli (qui diciamo che sto migliorando) e se serve un emogas o altro si fa insomma tutto quello che serve.

La cosa buona è che - di tutti quelli che ho frequentato - è il reparto dove gli studenti fanno probabilmente più cose. Resta sempre una sorta di vuoto su alcuni argomenti (dermatologia? Pediatria? Per dirne solo un paio) ma l'ospedale è basato su una moltitudine di specialisti e non sul singolo dottore, e questo purtroppo è un problema di tutte le specializzazioni.

Però tutto sommato Medicina d'Urgenza come Medicina Interna o Chirurgia Generale affrontano casistiche abbastanza variegate, e potrei colmare qualche lacuna andandomi a cercare qualche ambulatorio utile allo scopo. L'idea, in effetti, sarebbe quella.

La cosa cattiva è che i turni possono capitare in qualsiasi giorno e in qualsiasi orario. E non è che nessuno ti obblighi ad andare (credo anzi che, almeno per i primi mesi, non vorranno che vada la notte) ma se fai la domanda in un reparto del genere secondo me o ci vai, oppure tanto valeva chiedere da un'altra parte.

Il lavoro per chi si inserisce in questo settore è fatto di turni festivi e di notte, responsabilità, poca possibilità di lavorare nel privato. È evidente insomma perché siano altri i settori più ricercati, dove gli studenti si affollano maggiormente.

Però io non saprei tanto dirvi perché, ma a me piace proprio per questo. Mi piace fare tante cose, mi piace vedere tanti pazienti in un solo turno. Mi piace anche andare in ospedale in orari strani così come facevo quando andavo in ambulanza la Domenica o sotto le feste, vivendola insomma come una strana forma di libertà.

Mi piace perché io ho fatto medicina per imparare a fare il dottore. Per diventare "bravo", con le dovute virgolette e con tutti i limiti e le difficoltà che può avere uno che ha iniziato così tardi. E correre dietro a chissà quale posto ambitissimo solo per avere un determinato titolo non mi interessa... anche perché - tutto sommato - potevo benissimo accontentarmi di quello che avevo già.

Che poi è vero che la specializzazione è importante, e che certi percorsi sono migliori di altri. Non mi faccio illusioni. Ma credo anche che sapere e saper fare le cose sia la base minima su cui costruire una qualsiasi carriera in qualunque ambito, mentre pezzi di carta e titoli vari - quando stiamo di fronte ai fatti concreti - contino solo fino a un certo punto.

Simone