25/06/14

Da ingegnere a medico.

Strumento magico costruito da ingegneri NON civili.
Nel 2007, come ingegnere, mi occupavo di prevenzione incendi e di pratiche relative all'isolamento termico di appartamenti e villini.

Detto in soldoni prendevo delle fotocopie, compilavo tabulati standard al PC, realizzavo disegni così come da normativa, firmavo moduli prestampati e rilasciavo "documentazioni richieste" all'ufficio competente del caso.

Come ingegnere avevo provato un paio di volte il concorso per i Vigili del Fuoco, non riuscendo però a entrare.

Una delle prove classiche del concorso prevedeva il progetto di un edificio in cemento armato, e ricordo benissimo un momento particolare mentre scartabellavo come un forsennato sul prontuario dell'ingegnere in cerca del giusto quantitativo di ferri da inserire in una trave:

La scena che si allarga, centinaia di candidati tra fogli, libri, calcolatrici e documenti. Io che sono 8 ore che faccio calcoli astratti per il progetto irreale di una struttura inesistente e che d'improvviso, mi chiedo: ma che cazzo ci faccio, qui?!

Il colpo finale l'ho avuto dopo aver preso la qualifica di tecnico antincendi: 5 anni di università, 2 anni di iscrizione all'albo, 120 ore di corso post laurea con tanto di esame dato due volte perché mi avevano pure segato visto che - diciamo la verità - non avevo studiato un accidenti.

Convintissimo che il mio percorso di studi mi avesse dato accesso a chissà quali elitarie vette professionali, vado al mio primo convegno e mi ritrovo circondato da scolaresche degli istituti tecnici - presto abilitati a svolgere il mio stesso e identico lavoro di scartabellatore di pratiche - e giusto qualche collega anziano che si litigava con i ragazzini i gadget che regalavano agli stand.

Fare l'ingegnere civile, nel 2007, per me era semplicemente questo: tanta frustrazione, e la sensazione che quello non fosse il mio posto.

Nel 2007 facevo anche il volontario della Croce Rossa. Andavo un po' con il 118, ero istruttore di rianimazione cardiopolmonare, ho tenuto qualche lezione di primo soccorso e insegnavo - nei limiti delle mie capacità - agli altri volontari come si va in ambulanza.

Che poi non voglio passare per quello con chissà quale spirito altruista, e non è neppure che avessi tutta questa passione per il mondo della sanità e del soccorso: quando sono entrato in Croce Rossa, l'ho fatto solo perché avevo un sacco di tempo libero. Perché cercavo qualcosa che mi gratificasse più del mio normale lavoro, e anche perché non ero entrato nei pompieri, ma mi piaceva troppo quella sensazione di quando succede qualche casino, ti chiamano, e tu arrivi di corsa a sirene spiegate e pregando che non sia proprio quella la volta buona che ti fai male.

Per cui, insomma, potremmo suddividere il mio percorso pseudopatologico in una serie di tappe fondamentali:

1) Laurea in ingegneria con relative esperienze professionali generalmente deludenti.

2) Servizio militare nei vigili del fuoco, dove scopro che un lavoro un pochettino più movimentato dell'ingegnere seduto davanti al PC - tutto sommato - mi piace.

3) Ingresso in Croce Rossa dopo la fine del militare.

E fin qua, e in tutto questo, sottolineerei come non fossi contento per niente. Non stavo bene, non ero sereno, stavo sempre incazzato, ero scontroso e - diciamolo - con quel caratteraccio, iniziavo pure a stare sui coglioni un po' a tutti.

A 27 anni non avevo fatto altro che farmi un mazzo così appresso a cose che non mi avevano realizzato minimamente per niente, e stavo - lentamente - iniziando a capire che avevo assolutamente toppato tutto e su tutta la linea.

A parte, dicevamo, la Croce Rossa.

Entrato - credo - nel 2003, tanto per e tanto per fare qualcosa, alla fine ho iniziato a ri-trovarmi. Facevo un turno in ambulanza, e tornavo a casa contento. Tenevo una lezione a un corso, e mi piaceva. Seguivo un aggiornamento e - per quanto stancante - mi trovavo interessato. Per la prima volta nella mia vita, scoprivo di avere un impegno che arrivavo addirittura a trovare divertente.

E così ho iniziato a trovarmi a contatto con i dottori. Vedevo quello che facevano, e tutto quel mondo fatto di scienza/non scienza, matematica senza numeri, fiale, alambicchi, tubi, marchingegni elettrici e strumenti pseudo-magici mi affascinava.

Mi affascinava, e col tempo ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto avere il loro stesso ruolo, trovarmi al loro posto. In fin dei conti, avrei potuto studiare anche io per fare le loro stesse cose: perché non lo avevo fatto? Ero un ingegnere che si ritrovava ad appassionarsi per la medicina, ma che non aveva le qualifiche e le conoscenze e i titoli per andare oltre il proprio ruolo.

Ma adesso spezziamo una lancia a nostro favore: gli ingegneri, una cosa - almeno una - la sanno fare meglio di tutti. Perché l'idea dell'ingegnere, tutto sommato, è solo quello: trovare delle soluzioni.

Volevo più qualifiche di tipo sanitario, e la soluzione - ai miei occhi - era la più semplice del mondo: acquisire altre qualifiche di tipo sanitario. Che pare una stronzata, ma prima di realizzare che l'unica soluzione era rimettersi a studiare, mi ci sono voluti degli anni.

È iniziato così un percorso in cui cercavo ovunque idee per master, corsi, certificazioni, abilitazioni e chi più ne ha più ne metta. L'idea era di imparare a fare qualcosa da applicare in campo sanitario, e allora c'era il master in Ingegneria Clinica di qui, la scuola di Ingegneria Biomedica dall'altra parte, l'idea di studiare elettronica da solo... insomma, un po' di tutto. Dubbi, incertezze, perplessità, intanto che il tempo passava.

C'è voluto l'unico parente medico della famiglia per puntualizzare e chiarire - finalmente - la questione: io ero andato lì a mostrargli i volantini di non so che corso noioso e inutile sulla gestione dei macchinari ospedalieri. E lui: "se vuoi fare il dottore", mi ha detto, "l'unico sistema al mondo, è quello di laurearti in medicina".

Né più, né meno. Dal problema, alla soluzione. Da una vita da persona disillusa, scontenta e sconfitta, al sogno - perché un sogno era, visto il terrore che avevo di fare questa scelta - al sogno dicevo di un nuovo percorso, gratificante e pieno di soddisfazioni.

Sono andato a parlare con un primario dell'università, e lui mi ha detto: "se lo vuoi fare, fallo. Ma pensa che i 6 anni saranno 6 anni completi, perché con la laurea in ingegneria non ti riconoscerano praticamente nulla".

Sono andato a parlare con un professore di Ingegneria Biomedica, e lui mi ha detto: "sei già ingegnere: ti iscrivi alla specialistica, per i crediti che ti mancano vieni da me e ti dico cosa studiare. Ci metterai un 3 anni in totale, ma scoprirari che ingegneria - adesso - è più facile di quando l'hai fatta tu".

Dopo tutti questi incontri e queste discussioni, ho passato intere nottate insonni a pensare a 6 anni di studio completamente da zero, contro solo 3. Un'intera - interminabile - laurea da medico, oppure solo mezza laurea da ingegnere, con tanto di professori/colleghi dalla mia parte.

Notti insonni al termine delle quali - grazie a Dio - ho realizzato quale immensa stronzata stavo facendo soltanto a voler pensare di potermi iscrivere a ingegneria di nuovo... e alla fine, insomma, ho deciso: avrei provato a diventare un dottore.

In questo presupposto, ero a dir poco oberato da una quantità incalcolabile di paure, dubbi, incertezze. C'erano 10000 incognite da affrontare, a partire dal riuscire in qualche modo a dirlo ai miei senza fargli venire un infarto, dal riuscire a entrare e dal trovare la forza di rimettersi sui libri.

E a quel punto ho affrontato la cosa - di nuovo - con un approccio ingegneristico, scindendo il problema in tanti piccoli sotto-problemi più semplici: prima di tutto avrei provato il test di ammissione. Poi avrei provato a seguire i primi corsi. Poi avrei tentato o primi esami. Poi avrei cercato di prendere in mano un ago senza svenire... e così via, un pezzo alla volta, per 6 anni, e possibilmente fino alla fine.

Di quei giorni, ricordo quel senso di anticipazione. Quel "chissà come andranno le cose". Quel brividino sopra lo stomaco e dietro la schiena che ti ricorda che domani non sai bene cosa ti aspetta, ma che sei comunque curioso e con la testa piena di possibilità, e non vedi l'ora che quel domani - finalmente - arrivi.

C'era tanta incertezza, quando sono andato sul sito dell'università a iscrivermi al test. Ma in quella incertezza ero già più sereno, e nel dubbio più tranquillo. E da quel punto in poi - piano piano e senza quasi rendermene conto conto - ho rimesso in moto la mia vita. E dopo di quello, è stato tutto già un po' in discesa.

Simone

20/06/14

Qualche dubbio pre-laurea.

Ecg portatile del secolo scorso. Non c'entra niente, ma è bello.
Ora che ho finito gli esami e sto con un po' più di calma... scopro che la calma in realtà non c'è per niente.

Diciamo che la tesi è praticamente finita, ho anche preparato le slide per la presentazione che devo soltanto rivedere, e ho fatto la domanda in segreteria con tanto di plico fantozziano di fogli e burocratume vario da consegnare.

Resta un po' di preoccupazione per tutti gli annessi e connessi: copie da stampare e rilegare, eventualità che in segreteria mi chiamino perché manca la fotocopia della tesina dell'esame di terza media, la prova della discussione da fare col professore una volta che saremo in prossimità della data... insomma tutto a quasi posto e in quasi ordine, ma tutto ancora da rivedere e risistemare fino al giorno fatidico.

Oltre a questo sto - ovviamente - continuando a frequentare il reparto. Credo che mi mancherà molto questo impegno para-universitario, e una volta che sarò laureato inizio a chiedermi come riuscirò a riempire le giornate senza il pronto soccorso e tutto il tempo che ci ho passato dentro.

Perché ovviamente non avrei problemi a continuare a frequentare anche dopo la laurea... ma, mi chiedo, dovrei farlo? Una volta finito tutto ma proprio tutto mi farò una bella vacanza e poi inizierò il tirocinio per l'esame di stato. Andare in reparto senza una reale giustificazione non so tanto che senso avrebbe: in fin dei conti dovrei fare anche altre esperienze e magari qualcosa da fare venendo (ho quasi paura a dirlo) perfino retribuito. Continuare invece ad andare - così - solo per fare pratica, avrebbe senso?

Non lo so. Ed è solo uno dei tanti "non lo so" che accompagnano la fine di questo percorso di studi.

Farò il master dopo la laurea? Oppure riuscirò a entrare in specializzazione? Lavorerò per conto mio, con qualche privato, o nel pubblico? Cosa mi aspetta di preciso?

Tanti interrogativi e tanti dubbi, che purtroppo non sono solo i miei ma accomunano moltissimi dei laureandi o medici appena laureati: se pensate che c'è gente che si è laureata già da un anno ma aspetta ancora il prossimo concorso di specialità, che ora dovrebbe essere a ottobbre... ci sono poche certezze nel percorso di un dottore che inizia a fare questo lavoro, questo è poco ma sicuro.

Ma alla fine penso anche che avevo tanti dubbi anche quando mi sono iscritto a medicina, ma che alla fine le cose sono andate alla grandissima. Per cui, sì, c'è un po' di quella sensazione di stare per precipitare nel vuoto verso morte certa, ma anche un certo ottimismo che mi fa pensare che se ho fatto tutta questa strada - alla fine - troverò qualcosa che mi piace anche dopo.

Per ora come già detto l'unica certezza è che dopo l'estate sarò un neo-laureato, e inizierò il tirocinio. Per il resto tanti dubbi e un po' di nostalgia già per le cose che dovranno necessariamente cambiare.

Prossimamente spero di scrivere qualche altro racconto - si spera - divertente sulle mie vicissitudini da tirocinante. Per il momento ho poco da dire: ora mi sa che riguardo un attimo le slide della presentazione, e poi domandi ho il turno in pronto soccorso. Uno degli ultimi da studente.

E poi, dopo, si vedrà.

Simone

13/06/14

L'ultimo esame.

...ma poi ti ricordi che devi passare in segreteria.
L'ultimo esame è stato stressante come il primo.

O come il quinto. O il decimo... o il sessantatreesimo, che sommando tutte le materie di Ingegneria e Medicina, era quello che ho dato 3 giorni fa.

Mi hanno chiamato per primo a fare l'orale della parte di medicina. Poi il mio foglio è finito sotto a tutti gli altri, e mi hanno chiamato quasi tra gli ultimi a fare l'orale della parte chirurgica.

Un'attesa interminabile mentre chiamavano a mano a mano tutti gli altri, pensando che se andava male toccava rifarlo, se toccava rifarlo non era finita, se non era finita passavo tutto il mese di giugno ancora sui libri a studiare. Un incubo.

Poi, alla fine, è stato anche più facile del previsto. Ed è andata.

Ultimo verbale, ultima ricevuta col voto scritto sopra, e ultima firma del professore sul libretto. E quella sensazione fantastica di esserti scaricato giù dalla schiena e in un colpo solo tutto il peso della Terra, che ti portavi dietro da chissà quanto.

Per un paio di minuti sono stato in una sorta di Nirvana studentesco, in cui tutti i problemi del cosmo si erano improvvisamente dissolti, lasciandomi immerso in un'aura di beatitudine. Finiti gli esami: basta notti sui libri. Basta interrogazioni che non sai mai cosa ti chiedono. Basta tutto, e adesso: aria.

Poi dopo un po' pensi che manca ancora da discutere la tesi, e che ti aspettano quelle 5000 domande dell'esame di stato da imparare a memoria... e un pochino diciamo che l'entusiasmo ti passa. Ma - per l'appunto - davvero solo un pochino.

Poi pensi che è quasi finito anche questo percorso. E che se da un lato questa storia della seconda laurea mi ha mezzo devastato la vita per 6 anni pieni, dall'altro lato me l'ha anche decisamente riempita. L'università è un periodo bello, e viverla due volte è una fortuna che tocca davvero a pochi.

E poi ti guardi intorno. Vedi i compagni di corso con cui hai passato tutto quel tempo, tutto quello stress, gli esami, le litigate con la segreteria, i casini coi professori... e pensi che qualcosa - di tutto questo, e di tutte queste persone - davvero, ti mancherà.

Finita la verbalizzazione, organizziamo una mezza serata per festeggiare. Saluto tutti, e andando via faccio il giro "lungo". Quello che non va direttamente all'uscita, ma che passa per il corridoione grande, in mezzo a tutti i reparti.

Mi piace attraversare l'ospedale prima di uscire, ed è un percorso che ho fatto decine di volte. Cammino con calma incrociando pazienti, barellieri, dottori, famiglie al completo... un po' una cartolina di tutta l'umanità che passa le giornate tra queste pareti, vecchie più di cent'anni.

Lungo la strada sorpasso un gruppetto di specializzandi. Poi passo in mezzo a qualche medico in camice, e ancora accanto a qualcuno con la casacca verde da sala operatoria.

Incrocio tutti quei dottori che ho sempre visto molto da lontano, e che ai primi anni di università guardavo con soggezione: io lo studente anzianotto che ha iniziato tardissimo, loro i medici e i professori già arrivati, nel mezzo della professione.

Oggi quel muro di esami, materie e libri interminabili che ci separava non esiste più, e per la prima volta sento che sono un po' come loro, e che anche loro - sperando che nessuno si offenda - sono diventati un po' come me.

C'è chi si iscrive a medicina sperando nel successo. Chi per i soldi. Chi per aiutare il prossimo. Qualcuno si iscrive a medicina per accontentare i genitori. O perché non ha mai trovato qualcosa che lo appassioni davvero, oppure perché sogna il giorno in cui potrebbe salvare la vita a qualcuno.

C'è chi si iscrive a medicina perché è innamorato delle serie televisive. Chi per sentirsi migliore degli altri. Perché ha provato il test tanto per provare, o perché non ha mai avuto nessun altra aspirazione, nella vita, che non fosse quella di diventare un dottore.

Io mi sono iscritto a medicina per diventare la persona che volevo essere. Solo e soltanto questo. E a questo punto, quello che cercavo, credo davvero di averlo trovato.

Simone

09/06/14

Tra 2 giorni ho l'ultimo esame.

Gli esami non finiscono mai... ma intanto finiamo questi.
Titolo alquanto esplicativo, al punto che - quasi quasi - chiudo il post e torno a studiare.

Volendo dirvi qualcosa di più, oggi ho fatto medicina d'urgenza ed è andato bene.

Che sembra strano che la notizia principale non sia quella dell'esame che ho superato ma piuttosto quella dell'esame che manca, eppure è così: mancavano due esami, uno è andato e ormai pare che - quasi quasi - ci siamo davvero.

Oltre a questo ho la domanda per la tesi pronta e firmata dal professore, che così rimane solo da stampare e compilare e ricopiare 18 mila moduli ed è fatta. Il libretto con le firme dei vari seminari, corsi, e crediti vari da riempire nei 6 anni è completo pure quello, e così anche dal punto di vista prettamente burocratico siamo sulla buona strada.

Insomma, resta quest'ultimo esame, medicina e chirurgia 3. Preparato un po' alla meno peggio durante lo studio di medicina d'urgenza, e che da quanto ho sentito dagli studenti degli anni passati è per tutti un po' un terno al lotto dove ti chiedono qualsiasi cosa possibile e immaginabile dello scibile medico mondiale.

Ce la farò? Riusciranno i nostri eroi a finire gli esami, consegnare la domanda per la Tesi e - finalmente - andare in vacanza e arrivare tutto abbronzato alla fatidica discussione?

Chi può dirlo?

Male che vada c'è l'appello di fine giugno. Poi quello di luglio, e la sessione di laurea di settembre.

Ma, dicamolo chiaramente: se va bene fin da subito è molto, davvero molto, davvero molto moltissimo meglio.

E ora, davvero, mi tocca tornare sui libri, e vi saluto.

Simone

03/06/14

Il punto sugli esami... e l'esame (tipo) sui punti.

Filo per suture prima che si annodi misteriosamente da solo.
Periodo mediamente terribile.

Il fatto è che sto preparando medicina d'urgenza. E poi - 2 giorni dopo - andrò a fare pure medicina e chirurgia 3 perché, nell'ordine:

1) Se uno dei due esami va male, è l'unico modo per avere un appello di recupero prima delle scadenze per la laurea.

2) A Medicina e Chirurgia 3 chiedono talmente qualsiasi cosa possibile e (in)immaginabile, che l'unica preparazione sensata è andarci a provare sperando nel sommo culo.

E insomma giorni e giorni sui libri a studiare, e pure in pronto soccorso questa settimana penso che non andrò, che mi toglie troppo tempo.

Mapperò, invece - in reparto - ci sono andato Domenica scorsa:

Non era richiesta una mia grande partecipazione all'interno dell'area medica (tradotto: "mi stavo facendo due palle così"). E come al solito quand'è così mi metto a girovagare per il pronto soccorso per importunare la gente che sta lavorando.

Nei box chirurgici ho trovato una dottoressa che conosco, con un infermiere che conosco pure lui.

«Mi annoio che non c'ho niente da fare» spiego all'infermiere.

«E qui che te faccio fa?» mi dice lui. «Vuoi mette un po' de punti?»

E vabbe', l'incredibile miracolo: dopo praticamente anni di pronto soccorso, nei pressi ormai della seconda laurea, dopo aver provato sul manichino, sulla zampa di maiale, sulle garze, sulla gente che passa sotto casa, sui gatti randagi e poi conseguentemente su me stesso, finalmente capita che mi fanno mettere i punti di sutura a un paziente vero.

Notevole (?) come negli anni scorsi adesso vi avrei fatto un racconto super-splatter di come questo poraccio c'aveva un taglio sulla testa che si vedeva il cervello con tutto il sangue che mi schizzava in faccia, e a ogni buco si sentivano le grida e mi tremavano le mani e girava la testa col sudore che colava sugli occhi dalla fronte e le grida nel pronto soccorso coperte dalle ambulanze che partivano a sirene spiegate.

Il fatto invece è che - dopo tutto questo tempo - mi ha effettivamente ancora un po' emozionato la cosa, e nei primi momenti le mani un pochettino mi tremavano pure ma, insomma: sono arrivato alla laurea che mi fa praticamente molto meno effetto fare qualcosa io in prima persona, rispetto a quando - ai primi anni - la vedevo fare dagli altri.

Qualcuno direbbe che mi sono de-sensibilizzato (lo dico io). Qualcun altro direbbe che una volta che conosci le cose sai anche meglio come comportarti (sempre io). Per cui insomma sia io che io siamo più o meno d'accordo di trovarci forse sulla buona strada, entrambedue. Ma forse - bisogna ammetterlo - siamo un po' di parte.

Quello che posso dire è che mettere i punti - dico metterli bene - è difficilissimo:

Rischi di far mare al paziente. Rischi che venga una schifezza. Rischi di sporcarti e di pungerti e di prenderti qualche malattia. Devi saper scegliere il filo giusto, bucare e cucire senza impicciarti, senza fare nodi che due secondi dopo si sciolgono, senza ritrovarti con una specie di gomitolo pure quando quel filo sintetico sembra un tubo per innaffiare che si muove per i cazzi suoi.

Devi preparare il campetto sterile e non contaminarlo. Usare forbici, pinze e quant'altro toccando solo altre cose sterili senza fare poi la scena alla Fantozzi che prendi e ti passi la mano nei capelli riempiendo di sangue te stesso e di batteri tutta la strumentazione.

Essere bravi non basta nemmeno. Perché magari fai un lavoro fatto bene ma comunque usi troppo filo e l'infermiere ti cazzia che: "ammazza quanto filo stai a sprecà pe' du' punti, ma guarda che quello costa!"

Insomma pure mettere 3 suture in croce in fronte a uno che ha preso una bottiglia a testate lo puoi saper fare o saper fare bene, e tra le due cose c'è un abisso di differenza e io ancora sto davvero, davvero lontano ma - almeno - ho iniziato a provare.

Pazzesco come l'unico modo sia stato frequentare il pronto soccorso per tanto tempo e per conto mio. Nessuno che ti dia un voto o un giudizio finale. Nessuna firma, libretti o verbalizzazione elettronica. Nessuno che ti dica "bravo" o "riprova, ancora non va: devi impegnarti di più".

Sì, ok: c'è l'esame dove metti i punti sul manichino ed è sempre meglio di niente... ma davvero dovrebbe essere come metterli su una persona vera? Se mi avessero fatto fare una cosa del genere al terzo anno di università, probabilmente mi sarei sentito male.

Forse sbaglio, ma io pensavo che non aver mai messo per davvero un punto durante questi sei anni fosse una sorta di sconfitta. Ma ormai ero convinto che - prima della laurea - non sarebbe mai capitato. Ed era anche per questo che ultimamente l'università mi aveva un po' deluso, ed ero abbastanza giù di morale.

Non che adesso io sappia fare chissà cosa in più rispetto a quando facevo l'ingegnere. Però per lo meno un po' di mio ce l'ho messo, e qualche risultato l'ho pure ottenuto se all'inizio come vedevo mezza goccia di sangue dovevo vomitare (vabbe', quasi) e adesso - come vi raccontavo tempo fa - capita più spesso che siano i pazienti a vomitare addosso a me.

Per una volta finisce il turno di pronto soccorso che non ho duemila pensieri sulla specializzazione o sul dover far più pratica o sull'età o sul perdere tempio. Una volta tanto me ne vado a casa - semplicemente - sereno.

Simone