31/03/14

Quando finisce un turno.

Il va e vieni è una specie di questo (prima che me lo chiediate).
Esco dal pronto soccorso che fuori è già buio.

Mi chiudo la giacca, respiro l'aria fresca e scendo con calma le scale che portano all'ingresso dell'ospedale.

Oggi c'era una vecchina con un'ulcera perforata.

A un certo punto ha vomitato sangue, ed è andata in arresto cardiaco. Oppure è andata in arresto e poi ha vomitato sangue: io non so bene in che ordine, che sono arrivato dopo.

Comunque insomma sono entrato lì, e ho visto lei tra le lenzuola, la barella, il materasso e tutto quanto che praticamente galleggiava in un fiume di sangue che manco la scena dell'ascensore di Shining.

In mezzo al casino degli infermieri e dei dottori che rianimavano mi sono fatto spazio, e ho dato il cambio al massaggio cardiaco.

«È stata fatta l'adrenalina?» ho chiesto. «Quant'è che è in arresto?»

E poi, parlando con la persona alla testa che ventilava.

«Facciamo 30 compressioni, e due insufflazioni» come se davvero servisse che glielo spiegassi io.

A un certo punto ho guardato in basso, e ho visto le mie mani sul torace di quella donna che stava immobile, la bocca aperta e gli occhi semichiusi. C'era sangue ovunque: avevo i guanti sporchi, le lenzuola erano nere per quanto erano impregnate, e ogni tanto qualcosa mi schizzava addosso e sul camice che più tardi - piuttosto che pensare di portarlo a casa e provare a lavarlo - ho direttamente buttato nel secchio, e tanti saluti.

Dopo un po', il cuore della vecchina è ripartito. E io l'ho lasciata lì con gli infermieri e i dottori più esperti, che andavano dati i farmaci, i liquidi e quello che serviva e poi - di corsa - in sala operatoria, che bisognava fermare l'emorragia.

L'ho lasciata pensando che in genere dopo un arresto cardiaco, e in quelle condizioni... ma insomma: io, la mia parte, l'avevo fatta.

Poco più tardi, parliamo di minuti, da quella donna piccola piccola siamo passati a un omone di cento e rotti kg.

Settant'anni, non ha mai avuto problemi di salute. È entrato in pronto soccorso che era blu cadaverico senza nemmeno passare dal triage: direttamente in codice rosso.

Non respirava. O quasi: non si capiva più di tanto. Gli ho messo il saturimetro su un dito, e ho visto che segnava 79%.

Per chi non lo sapesse, il valore massimo della saturazione di ossigeno nel sangue è 100%. 95-96% è normale. 90% ci puoi ancora sta', che chi s'accontenta gode... ma 79% è proprio una merda.

79% è la saturazione di ossigeno nel sangue dei pesci, o delle rane. O non lo so di che animale che non respira proprio, o dei batteri che vanno a metano. Ma insomma, per l'essere umano stiamo lì lì che più che l'anestesista fai quasi prima a chiamare il prete.

All'emogas aveva un Ph che sarà stato tipo 6,9. Che adesso non sto qui a spiegarvi pure questo, ma vi giuro che era quasi più brutto della saturazione.

Insomma abbiamo messo l'ossigeno, e l'anestesista stava lì a farlo respirare col va e vieni come nei film dei dottori fighi, e piano piano la saturazione è risalita: prima 80, 85, 90, poi lentamente 96, 97, 98...

All'elettrocardiogramma si è visto che aveva un nuovo infarto. È stata allertata l'emodinamica, e attorno al paziente è iniziata una corsa per prepare tutto e mandarlo il prima possibile a fare una coronarografia, quella cosa che ti infilano un tubo nel braccio o nella gamba e lo usano per sturarti le coronarie.

In tutto questo mi sono ritrovato a ventilare col va e vieni questo omone enorme grosso il doppio di me. Lo sguardo inchiodato su quel numeretto del saturimetro, che come scende un attimo pensi che stai facendo uno schifo mentre come sale di un punto ti senti il dottore più figo dell'universo... anche se poi scopri magari che potevi pure lasciar perdere, perché il paziente respirava da solo.

Far respirare qualcuno con il pallone e l'ossigeno è una cosa che ti stanca come se facessi i pesi, o come quando i miei amici fissati con la montagna mi raggirano e riescono a portarmi a fare trekking. Se fai l'anestesista è capace che capita qualche intervento dove devi farlo per ore e ore e ore di fila... e già questo da solo mi pare un ottimo motivo per scegliere una specializzazione diversa.

Alla fine l'omone è partito per la coronarografia, e ha lasciato il pronto soccorso. E anche per lui ero tutt'altro che ottimista: un infarto del genere, che arriva coi parametri vitali degli anfibi... insomma: non era una situazione facile.

Il resto della giornata non è stato meno impegnativo: ho visto pazienti, letto cartelle, fatto cose... ma - sinceramente - ora come ora, non me ne ricordo nemmeno mezza.

E rieccomi qua, sulle scale dell'ospedale, che avevo iniziato a scrivere che stavo uscendo.

Mi piace quando finisce un turno. La sensazione di aver fatto qualcosa che mi piaceva. Di aver provato a imparare, e di aver fatto il possibile per metterci del mio.

Della vecchina ho saputo che ha superato l'intervento, e che adesso stava ancora in sala operatoria con l'antidolorifico, le trasfusioni di sangue e il cuore che batteva ancora.

L'omone gigante ha fatto la coronarografia, ed è stato trasferito in terapia intensiva. E insomma: anche qui pare che il mio pessimismo totale sia stato fortunatamente malposto.

Dopo il racconto dell'altra volta con la gente che mi scriveva i commenti mentre piangeva (scusate!) o per mandarmi affanculo, avevo promesso un qualcosa con toni un po' diversi e un finale più allegro... ed ecco: non è sempre così, e anzi forse non succede quasi mai. Ma oggi - invece - per qualche caso miracoloso e fortuito, esco dall'ospedale che è tutto andato alla grande.

Faccio quel po' di strada che mi separa dalla macchina. Fuori dal pronto soccorso, quando è buio, c'è un silenzio che è totalmente l'opposto del casino che invece ci trovi all'interno. E io cammino in quel silenzio. Ho la mente libera, e mi sento bene.

Monto nell'auto. Metto in moto, accendo la radio, e vado via.

Simone

25/03/14

Ancora sulle alternative alla specializzazione.

Strumento utile per mettersi in privato.
Oggi ri-parliamo (ancora) delle alternative al percorso standard da medico neo laureato che si abilita, vince il concorso in specializzazione (magari), si specializza, lo chiamano subito ovunque a lavorare (col piffero) e diventa un super luminare della medicina nel proprio campo e tutti lo cercano e lo pagano e scrive libri e fa i convegni... e poi si scopre che invece era tutto un sogno e non ha passato manco il test di ammissione. Ah, ah!

Insomma un elenco di mie idee alternative da - eventualmente - studiarsi meglio e approfondire da qui fino ai prossimi mesi:

ALTERNATIVE ALLA SPECIALIZZAZIONE DOPO LA LAUREA IN MEDICINA (titolone altisonante per raggirare i motori di ricerca):

1) Andare all'estero.

La soluzione più ovvia (si fa per dire!) almeno dal punto di vista delle idee che a uno gli vengono in mente quando sta nel paese proprio e scopre che nel paese proprio non funziona una minchia.

A me piacerebbe un posto col mare e col sole e vicino alla spiaggia e dove si mangia bene e ci sta un sacco di gente simpatica, belle ragazze e cose così... insomma se andassi all'estero me ne fregherebbe poco davvero degli aspetti legati alla medicina e mi concentrerei più sullo scegliere il posto in sé.

Prime idee: Costa Azzurra, la Spagna, i Caraibi, Fregene (quest'ultima era una battuta).

Punto a sfavore: vai all'estero, ricominci da capo, non conosci nessuno, stai da solo: tristessssssssss...

2) Fare dei corsi che diano qualifiche da utilizzare nel privato.

Una prima idea sarebbe un corso da ecografista della SIUMB.

Impari a usare l'ecografo (che già so usare in effetti... diciamo che impari meglio e hai un pezzo di carta). Poi vai in qualche posto a fare le ecografie e ti pagano. La vedo bene anche come una cosa da fare in privato, nel proprio studio.

Punto a sfavore: fai le ecografie. 10, 200, 4000 ecografie. Finisci a guadagnare tanti soldi a fare ecografie di routine e controllo, quello che chiamo sempre la medicina inutile per pazienti sani. E ti fai 2 palle così...

Altri corsi interessanti non ne ho ancora trovati, ma di sicuro ci saranno cose che puoi imparare da te e poi rivenderti. Comunque ammetto qui sono un po' troppo sul vago.

3) Fare un master.

Tra master e corsi, la differenza alla fine non è che sia molta. Ci sono master in endoscopia, in cura del paziente diabetico, in cardiologia, in ecografia (basta!!!!!!) e chi più ne ha più ne metta.

Io farei il master in medicina d'urgenza. Non perché tutto sommato mi attragga in maniera particolarmente travolgente il master in sé e per sé, ma perché essendo già interno a un pronto soccorso e avendo iniziato un certo percorso sarebbe un po' una sorta di "prolungamento" della laurea e della preparazione prima di farmi mandare definitivamente affancuore.

Interessanti anche master di argomento internistico (diabete, cardiologia ecc) sempre nell'ottica di rivendersi poi determinate competenze nel privato.

Punto a sfavore: il master è tipo una specializzazione dove però paghi per seguire, e poi dopo 1 anno ti appendi il diploma alla parete e non ha alcun valore se non il poter dire: "aho, io de 'ste cose ce capisco na cifra: c'ho pure il mastere!"

4) Lavorare in ambulanza.

Con un'esperienza in pronto soccorso e - prima - nel volontariato, fare il medico di ambulanza sarebbe quasi un'evoluzione "naturale". Lo stipendio è buono, le possibilità ci sono... insomma, non è una cattiva idea.

Punti a sfavore: io l'ambulanza l'ho vista sempre come volontariato. Farlo per lavoro un po' mi sembrerebbe di tornare a prima della laurea, solo con tante responsabilità in più. E poi non so quanto si possa "crescere" professionalmente in questo settore, e poi ancora a fare il medico del 118 ti ritrovi da solo, per strada, unico dottore di fronte a qualsiasi cosa: non è che io insomma ambisca eccessivamente a un lavoro del genere, ecco.

4) Lavorare in pronto soccorso.

Lavorare nei pronto soccorso (pronti soccorsi?) da semplice laureato in medicina è impossibile nei grossi ospedali, dove prendono solo specialisti.

Nelle realtà di provincia più piccole però so che lavorano anche medici di base, non specialisti. Per cui con un po' di buona volonta ci si potrebbe spostare un po' e trovare un posto dove farsi qualche periodo da precario in attesa di "meglio" o sperando nei periodici rinnovi dei contratti di collaborazione senza ferie, malattie, permessi e anzianità: evviva!

Punti a sfavore: andare in un piccolo paese non è tanto diverso rispetto ad andare all'estero, visto che lasci comunque tutto e ti ritrovi da solo. Solo che all'estero magari puoi sceglierti una città grande con più "vita", un piccolo paese è un paese piccolo e magari non è così facile costruirsi una vita privata, dei contatti e delle amicizie. Di nuovo, insomma: tristess...

5) Aprire uno studio privato.

Aprirsi lo studio è facile: dici "apro lo studio", e hai fatto. Almeno finché non si inventano che per aprire lo studio occorrono 20 mila ottemperanze burocratiche, una prova a crocette e le fotocopie delle pagelle delle elementari che dimostrino che eri bravo in condotta e in educazione fisica... ma per adesso, no: puoi aprirtelo come ti pare, e basta.

Più difficile trovare i pazienti che vengano da te a pagare cose che magari nella sanità pubblica hanno gratis.

La mia idea è quella di una medicina di base un po' più "approfondita", dove faccio ECG, ecografie e insomma cose che nel pubblico richiederebbero un sacco di tempo e tanti giri tra diversi dottori e specialisti. Pagare un po' di più per un servizio migliore, ecco: l'idea sarebbe quella.

Nella pratica questa cosa dello studio richiede in qualche modo un contatto e una pratica continua in altri posti, magari reparti ospedalieri, dove diventare effettivamente capaci a fare le cose che pretendi di offrire, e dove tenersi comunque aggiornati e in "forma" per affrontare qualche paziente che magari non presenta richieste completamente banali.

Sarebbe insomma un progetto a lungo termine, da associare ai master e corsi vari di cui parlavo in precedenza.

Punti a sfavore: lo studio privato da solo senza alle spalle un modo per fare pratica e aggiornarsi non è destinato a grossi successi. E pure trovarsi i pazienti non è che sia una cosa che fai dall'oggi al domani. E sì: sono cose che avevo già detto. Vero.

In linea di massima, come "inizio" il master in medicina d'urgenza e il corso da ecografista restano le prospettive più "papabili", almeno per iniziare. Poi bisogna cercarsi un posto dove fare pratica, e iniziare a mettere mano allo studio e a tutti i casini che ne conseguono.

Ma insomma, le idee ci sono. E la specializzazione non è davvero l'unica possibilità, secondo me.

Simone

21/03/14

Ancora sulla specializzazione.

Potrei fare il concorso da appenditore di lastre!
Il discorso su cosa (e come) fare dopo 'sta benedetta laurea in medicina l'ho già fatto in passato con qualche post anche abbastanza corposo a riguardo.

Torno a parlarne di nuovo perché me lo hanno chiesto negli ultimi commenti, me lo hanno chiesto via mail, me lo hanno chiesto gli amici che incontro magari per una birretta la sera, me lo chiedono in ospedale... insomma: sarà che è normale visto che stiamo più o meno in dirittura di arrivo, ma me lo chiedono un po' tutti ed è ora forse di parlarne di nuovo.

Bene.

Dopo la laurea, a pensare a una continuazione di una carriera all'interno della sanità pubblica, la cosa più naturale e - credo - normale un po' per tutti sarebbe provare il concorso per la specializzazione.

La specializzazione che farei è forse medicina d'urgenza (dove sono interno) ma forse anche una chirurgia generale o d'urgenza e forse ancora - come mi avevano consigliato in molti - anestesia.

Mi piace lavorare in pronto soccorso. Credo che sia l'unica medicina che mi piace davvvero. Intervenire sulle persone che stanno male, nella fase acuta della malattia: niente attese infinite per esami e analisi, niente malattie croniche dove non si capisce bene cosa fare o non fare, niente vedere e rivedere sempre gli stessi pazienti per mesi e poi anni...

C'è tutta una medicina che si occupa di cure inutili per pazienti sani, secondo me. E non dico che non serva (anche se l'ho appena chiamata inutile) o che non sia forse più importante impedire che qualcuno si ammali davvero piuttosto che aiutarlo dopo, quando è un casino... ma insomma, a me non mi ha ancora preso particolarmente.

Credo che la mia personale "indole" sia proprio compatibile con alcune cose e totalmente incompatibile con altre: mi annoio di tutto, mi scoccia la ripetitività, mi sono rotto di fare l'ingegnere, di fare lo scrittore e di mille altri interessi che alla fine diventavano la solita noia.

La medicina del pronto soccorso presenta invece sempre una componente di novità, scoperta, curiosità... anche solo per capire quali tra le 10 patologie che ormai conosci a memoria ha il nuovo paziente appena arrivato.

Ancora: vedere tanti pazienti e tante cose diverse, utilizzando strumenti e procedure differenti, ti dà anche la possibilità di crescere e imparare sempre qualcosa di nuovo. Ci sono dottori che si "fermano" e praticano sempre lo stesso intervento sugli stessi pazienti per 10, 100, 10 mila volte, fino alla pensione. Sono i più bravi nel lavoro che fanno, e la gente li cerca e se dovessi farmi curare da qualcuno anch'io non sceglierei nessun altro. Però, se dovessi essere io al posto loro... che palle.

Non ho finito. In pronto soccorso (ma forse questa cosa è in comune anche con altri medici) se stai attento alle pubblicazioni e alle ultime ricerche trovi sempre qualcosa che poco prima non c'era: procedure, strumenti, tecnologie... c'è sempre l'ultimo ritrovato o l'ultimo giocattolo da scartare. E se una volta impazzivo dietro a computer, digitale e robe elettroniche ora vedo le pubblicità dei nuovi ecografi o di qualche altra diavoleria medica e mi immagino quanto sarebbe fantastico metterci sopra le mani e poterla utilizzare.

E insomma: tutto bello, bellissimo, fantastico. Vai, avanti così e senza problemi.

Be', insomma:

Intanto, inizierei la specializzazione (nella migliore delle ipotesi) a 40 anni dovendo quasi sicuramente trasferirmi in un'altra città... e davvero ancora ricominciare da zero a fare qualcosa non mi pare - davvero - una prospettiva esaltante.

Poi diciamoci la verità: coi voti che ho (non arrivo a 27 di media) partirei già mezzo azzoppato in un concorso di per sé difficilissimo anche per chi non si troverà a gareggiare con dei punti di svantaggio. E io penso che bisogna guardare in faccia la realtà, e accettare che probabilmente i pochi posti in specializzazione andranno alle persone più brave a memorizzare l'Harrison (il manuale di medicina più famoso) e che tra quelle persone non ci sono io.

Provate a fare una gara con un vostro nipote di 15 anni di meno a chi corre più veloce o a chi si arrampica prima, e dategli pure un bel po' di vantaggio, e chiedetevi che possibilità avete di vincere. Per la memoria non è proprio la stessa cosa uguale identica, ma insomma... quasi.

Ora spero non si torni ai soliti 20 mila commenti sul concorso e sui posti in specializzazione, che tanto ormai i giochi sono fatti e ha pure poco senso parlarne. Ma capisco che è colpa mia che ho tirato di nuovo fuori l'argomento... per cui, non lo so: fate voi :)

Io aggiungo infine che le scuole di specializzazione non sono poi necessariamente tutte così esaltanti: dipende da dove capiti e cosa ti mettono a fare. Potresti stare 5 anni a scrivere lettere di dimissione, copiare terapie e reggere ferri in sala operatoria. O in un ambulatorio noioso o in una scuola dove chissà perché si occupano di 2 patologie e mezza e le altre non te le fanno manco vedere.

Non è che ti specializzi in chirurgia e sai fare il chirurgo, o ti specializzi in una clinica e il giorno dopo ti assumono in ospedale. C'è la forte e concreta possibilità che il post specializzazione sia tale e quale al post laurea senza sicurezze o altro.

Insomma, mi pare del tutto sensato e soprattutto razionale pensare a un percorso non specialistico, con prospettive sicuramente ridotte ma senza il rischio di perdere ancora altro tempo e ritrovarmi senza niente in mano, a ricominciare da zero ancora e ancora a un'età più prossima a quella della pensione che a quella in cui qualuno inizia a cercarsi finalmente un lavoro "vero".

Anche di altri percorsi e alternative ho già parlato nei vecchi post, ed evidentemente mi toccherà farlo ancora. Per adesso vi lascio con queste riflessioni, che ho già scritto troppo e vi ho anche temo fin troppo annoiato.

Per chiudere con una nota positiva, comunque, la tesi è quasi terminata e tra un po' potrei anche potermi permettere di lasciarla da una parte, bella e impacchettata, per concentrarmi sugli ultimi esami.

Tutto sommato, per adesso la priorità è comunque quella.

Simone

15/03/14

La solita roba...

Se non avete idee per il mio regalo di laurea... e no: non è un telefono.
Le lezioni sono ricominciate da una settimana circa, e siamo già a "regime" di quello che sarà il nuovo e - si spera - ultimo semestre.

Le nuove materie sono:

Medicina Legale. Credo la materia più amata dal pubblico dei serial TV, e tra le più attese dagli studenti fin dal primo anno di medicina.

A me invece personalmente la medicina legale come tutte le medicine che non hanno a che fare con i pazienti (intendendo come pazienti esseri umani ancora in vita) mi fa schifo e non mi interessa. Il corso è noioso, i casi clinici vertono sempre su qualcuno che è ingiustamente crepato in maniera brutale e li trovo deprimenti, non c'ho voglia manco di preparare l'esame e non ho manco il coraggio di andare a comprare il libro, perché dicono che è grosso.

L'altra materia è medicina e chirurgia 3. Uguale a medicina e chirurgia 2, nel senso che loro a lezione parlano di cose che potreste trovare aprendo un manuale di medicina a caso, e l'esame si basa più o meno allo stesso modo sul sapere cose che escono fuori aprendo un manuale di medicina a caso.

Il fatto che io abbia sostenuto il medesimo esame 2 mesi fa non scoraggia comunque i professori a proporcelo di nuovo, per cui si dovrà (nuovamente) capire i singoli docenti di quali argomenti sono particolarmente innamorati, ristudiare quelle cose nel dettaglio dai libri del quarto e andare a fare l'esame dopo lunghe e propiziatorie preghiere.

Ultima materia della mia vita è medicina d'urgenza. Che dovrebbe almeno sulla carta rivelarsi il mio esame favorito, se non fosse che invece di parlare di cose che succedono in pronto soccorso è uguale a medicina e chirurgia 3 che è uguale alla 2 che è uguale insomma a studiare argomenti a caso su testi a caso nella speranza che all'esame - sempre in linea casuale - te li chiedano.

Vi aggiorno anche sui tirocini: i tirocini al sesto anno consistono per lo più di casi clinici in aula, dove un docente legge il caso clinico e gli studenti annuiscono per tot ore consecutive.

Per non essere eccessivamente ingiusto, può anche capitare che si vada in reparto a visitare un paziente in 5 persone... cosa amata immagino alla follia dai pazienti stessi ma che vi assicuro non è particolarmente esaltante nemmeno per noi.

Ricordo che al terzo anno andavi a fare il tirocinio a medicina interna, e visitavi (per modo di dire) i primi pazienti e c'era tutta quell'aria di emozione, di paura e di mistero che ti portavi dentro per mesi. Al sesto anno sembra di fare ancora meno cose, e per di più dopo un anno e mezzo di pronto soccorso è tutto veramente una grande noia.

Sembra quasi che durante i primi anni i professori abbiano esagerato con esami giganteschi (mi viene da pensare alle migliaia di pagine per le patologie integrate) e troppe materie tutte insieme e tutte in una volta, al punto da esaurire in un certo senso anche quello che poteva essere fatto anni dopo.

La solita roba, insomma, e francamente sembra davvero arrivata l'ora di laurearsi e occuparsi di cose più reali dei soliti e noiosi esami, fotocopie e trafile universitarie.


E ora mi rendo conto che così sembro un po' negativo e forse deluso dalla parte conclusiva di questo percorso di studi. In realtà tutto sommato è un pochino davvero così... ma non ci si può nemmeno troppo lamentare: un semestre meno pesante con poche cose che tolgano tempo alla tesi, agli eventuali esami arretrati (che io non ho) e a qualche tirocinio finale che potrei scegliere di organizzarmi da solo in un reparto magari interessante.

Chiudo inoltre con una nota positiva, molto positiva. Spero:


Ho quasi finito la tesi: al correlatore piace, bisogna sistemarla un po' e poi passare dal relatore e sperare che dia il "nulla osta", e pure questa è andata... a meno che non sopraggiunga qualche intoppo catastrofico, che così imparo a lamentarmi che è tutta lo solita roba e mi annoio.

Ma speriamo - sinceramente - di no.

Simone

07/03/14

L'ultimo semestre di medicina.

A. Schweitzer: è un botto che non aggiorna il blog.
Medicina è un corso di studi che dura - almeno - 6 anni. E questo mi sa che già lo sapevate.

Sono 6 anni divisi in 13 semestri, che al quarto anno riescono magicamente a tirare fuori un semestre in più. E ieri - per spiegare il motivo di questa introduzione - è iniziato il primo giorno dell'ultimo semestre dell'ultimo anno.

E ora sarebbe bello (?) dire che mi sembra di aver iniziato appena ieri, e che il tempo è volato. E un po' è anche così: 6 anni sembravano un percorso interminabile, ma per qualche motivo sono già qui verso la fine, e pare per certi versi irreale che il tempo sia passato così in fretta.

Però invece ci sono tanti periodi di questi sei anni che ricordo pesanti, lunghi, noiosi, faticosi... o ancora appunto non me li ricordo per niente. Diciamo che la cosa è andata a periodi. Alti e bassi, lenti e veloci. Un mix di tante cose, a volte difficili e da dimenticare (appunto) altre volte belle e cariche anche di emozioni.

Riguardo al primo giorno di università, ho scritto qualcosa a suo tempo sul blog che avevo all'epoca (ma sto trasferendo tutto anche qui, sotto il tag "I ANNO"), ma a rileggerlo viene fuori solo la confusione del momento e le grosse incertezze con cui ho iniziato: sarei arrivato alla fine? Avrei dato esami così diversi da quelli ai quali ero abituato, dopo così tanto tempo?

Insomma, tanti dubbi e domande che dovevo tenermi per me, in attesa di scoprirne la risposta.

E oggi, 6 anni dopo (ma a fare il pignolo sono 5 e mezzo) mi avvio verso l'ultimo spezzone di questo film infinito con forse altrettanti dubbi e incertezze su quello che mi aspetta dopo, una volta messi nel sacco pure gli ultimi 3 esami e raffazzonato qualche altro capitolo per la tesi.

Ricevo di continuo lettere che mi chiedono consigli, chiarimenti, spiegazioni. Persone che hanno tanti dubbi come quelli che all'inizio avevo io. E io ci provo a rispondere sempre e a dire qualcosa di per lo meno sensato... ma la verità è che non so niente di come andranno a finire le cose per me stesso medesimo, per cui pretendere di dare delle certezze a qualcun altro sarebbe francamente un po' fuori da ogni ragionevole aspettativa.

Quello che so di sicuro, è che era una cosa - questa seconda laurea, dico - era una cosa che volevo fortemente fare. C'era 'sto grillo per la testa che suonava e rompeva le palle da anni, e alla fine l'unico modo per azzittirlo davvero è stato dargli retta.

Io mi sono iscritto a medicina a 33 anni per diventare la persona che volevo diventare. Non è per i soldi o per il lavoro, o per salvare la gente o per che cazzo ne so curare i deboli e sacrificarsi per i bambini o per passare le giornate ad affettare cadaveri... insomma tutti i motivi di appeal che potrebbe avere questa professione, su di me sicuramente fanno anche un po' presa (a parte la cosa di affettare i cadaveri) ma non era quello l'obiettivo.

Quando scrivevo romanzi, una vita fa, leggevo Conan Doyle e pensavo "cazzo io sono solo scrittore (per modo di dire) e lui invece era anche medico". Vedevo mio zio dottore e mi dicevo che era l'unico della famiglia a fare un lavoro che poteva appassionarmi. Andavo sull'ambulanza e pensavo che avrei voluto fare di più ma non avevo fatto il percorso di studi giusto. Volevo un lavoro utile e significativo: un impiego che inizi la mattina, finisci la sera e - nel mezzo - hai combinato qualcosa di concreto.

Ricordo che non so se prima o dopo l'inizio ho cercato "medicina a 30 anni" su google, e invece di questo blog (che ancora non c'era, e spero che sia superfluo averlo spiegato) ho trovato Albert Schweitzer, e dopo aver letto anche la sua autobiografia mi sono detto che il dott. Schweitzer doveva essere un musone sempre incazzato e che con me non c'entrava proprio niente... ma per troppi altri versi era comunque quello il tipo di persona che volevo diventare.

Insomma: bo'?! In questi sei anni mi sono reso conto di non aver mai spiegato chiaramente perché ho lasciato la professione da ingegnere per passare a questo. Credo che - più volte - qualche lettore me l'abbia chiesto, e sempre più volte ho provato a rispondere, ma mai in maniera troppo esaustiva.

Ora ho scritto questa cosa, e mi rendo conto che non ho pienamente risposto - di nuovo - a una domanda che tra l'altro questa volta non mi era stata neanche posta, ma penso di essermici avvicinato un po' più del solito.

«Perché hai scelto medicina come seconda laurea, dopo ingegneria?»

«Perché mi ero rotto di fare l'ingegnere, e pensavo che fare il medico potesse piacermi di più».

Quest'ultima, per tagliare la testa al toro - e se la preferite - era la versione semplificata. Che forse suona anche meglio dell'altra...

Se non altro, richiede discussioni molto, molto meno logorroiche :)

Simone

03/03/14

Dodici codici rossi.

Capito perché vogliono iscriversi tutti a medicina?!
In genere, quando ho il turno di pomeriggio arrivo un pochino dopo le 2. Così si trova parcheggio davanti all'ospedale, e non mi tocca girare mezz'ora e farmi 2 km a piedi.

Alle 2 e 30 circa sono comunque al mio posto in pronto soccorso. Entro, saluto il mio professore, mentre il medico del turno smontante mi guarda e mi fa:

«Meno male che ci stai pure tu».

Che tradotto potrebbe voler dire: "meno male che c'è uno bravo che ci dà una mano". Ma che tradotto un po' più pignolamente potrebbe anche significare: "meno male che c'è uno che ci dà una mano. Uno qualunque. Pure te".

Questo non lo sapremo mai. Comunque sia guardo lo scaffale dove tengono le cartelle dei pazienti, e mi prende un colpo: abbiamo ricoverato 12 codici rossi. Roba che già quando di codici rossi ce ne hai 5-6 sembra di stare in guerra sotto alle bombe all'uranio impoverito e al plasma termitico... ma 12 davvero è una roba che si avvicina più all'Apocalisse che a un giorno di tirocinio.

E nell'incomprensibile organizzazione dell'ospedale, se arrivano 12 codici rossi e ai codici rossi ci stai tu, te li devi seguire tutti da solo... mentre gli altri 10 mila dottori di tutti gli altri 10 mila reparti dell'ospedale possono pure giocare a farmville su facebook o andarsi a intimeggiare nei locali appositamente adibiti, come da comunicazione allegata.

Insomma ci sta il prof, ci stanno gli infermieri, e - per fortuna insomma meno male - ci sto pure io. E poi, basta.

«Iniziamo a prendere i parametri» mi fa il professore.

Iniziamo.

Misuro la pressione a questo, prendo la temperatura a quello.

«Fai l'emogas a uno» mi chiedono. «Porta l'ecografo per l'altro».

E io lì tra un paziente e l'altro, con l'ecografo e le siringhe e il cerotto adesivo e le garze e l'ovatta e il fonendoscopio e lo sfigmomanometro e tutto il resto, che paro il profugo della medicina d'urgenza.

«Bisogna rifare l'elettrocardiogramma. A lui i bicarbonati, a l'altro c'è da accompagnarlo alla TAC».

Avanti così, dietro a una serie infinita di patologie e complicazioni. Una, due, tre ore: vedi un paziente, e fai appena in tempo ad aggiornare la terapia o a mandarlo in reparto, che magari ti chiamano dal triage:

«Dispnea ingravescente in paziente cardiopatico: codice rosso!»

A quanto siamo arrivati? 13, 15, 20?! Comunque sia molli tutto, e corri dal paziente nuovo.

«Crepitii basali bilaterali» dico, ascoltando il torace. «Edemi declivi... ha uno scompenso cardiaco».

Il prof. annuisce, che ci ho preso, ma vabbe': questo era facile. Cardiopatico con la dispnea, che altro poteva avere? E infatti vi dirò un segreto: se andate in sala rossa e dite "scompenso cardiaco", non vi sbagliate mai. Ce l'hanno tutti, e fate sempre bella figura. Altro che quella minchiata del Lupus!

Comunque sia: diagnosi fatta. E ora di corsa i prelievi. Fai l'emogas. Metti il monitor. Chiedi l'RX, fai l'ecografia. Elettrocardiogramma. Temperatura corporea... e subito dopo già ne arriva un altro, mentre quelli che dovevi rivedere stanno ancora lì e non fai in tempo manco a guardarli.

In tutto questo, ogni - in media - trenta secondi - ti chiama qualcuno.

«I parenti del paziente X possono entrare?» chiedono dalla sala d'attesa.

Io mi stringo nelle spalle, che qui su queste cose non decido io.

«Chiedo al professore» dico. E lo vado a cercare.

«Mio padre può mangiare?» domanda una signora che accudisce un vecchietto. «Può alzarsi per andare in bagno? Può controllare la flebo che è finita? E quando va in reparto?»

E io «non lo so, non lo so, la flebo gliela chiudo io, in reparto ci va quando ci chiamano loro». Non ho le risposte a tutto... e anzi più che altro ho sempre un sacco paura di dire stronzate, per cui ci vado proprio coi piedi di piombo e la bocca serrata col rischio magari che qualcuno non capisce e si offende pure, del tipo che crede che lo sto ignorando.

Per dire, l'altra volta ho visto l'elettrocardiogramma e le analisi di uno che c'aveva un infarto, e quello:

«Ma che, dottore, ho l'infarto»?

E ora sì - io ero abbastanza convinto che l'infarto insomma ce l'avesse - ma vaglielo a dire se poi dopo invece ti sei sbagliato? E ho capito che la medicina difensiva fa schifo e tutto il resto. Però, prima di farmi denunciare, alla laurea vorrei per lo meno arrivarci.

In tutto questo, altre infinite domande e richieste di pazienti che - poracci - stanno lì da tutto il giorno, o da due giorni, o da una settimana, e alla fine insomma qualcosa ogni tanto la vorranno pure loro. Mangiare, spostarsi sulla barella, essere cambiati... o anche solo una voce cordiale per scambiare due chiacchiere con qualcuno.

Oppure - semplicemente - vogliono insultarti, spingerti, strapparsi tutti gli aghi e le flebo e cateteri, fuggire dall'ospedale, darti dell'idiota coglione incompetente o - più candidamente - picchiarti.

Io quando ho a che fare con quelli più aggressivi mi tolgo il cartellino e lo nascondo, che ho paura che ricordandosi il nome mi vengano a cercare per pugnalarmi o cose del genere. E detto da uno col nome scritto in alto su un blog... ma ora non venite a pugnalarmi pure voi: per favore.

Pure oggi, insomma, arriva uno che gli rode di stare in pronto soccorso e sfascia mezzo ospedale. Minaccia di malmenare tutti. Fa il gesto di dare una testata a un infermiere (nel senso che gli dà una testata, ma non lo prende) e quello - l'infermiere - dice tipo: "ah cavolo porca paletta!" tirandosi indietro appena in tempo.

Ed ecco che sbuca un paziente dal gruppo delle persone in attesa.

«Voi non dovete permettervi di insultare le persone!» grida, sdegnato dal comportamento del personale dell'ospedale inadatto a subire in silenzio violenti traumi facciali. «Guardate la sanità in che mani è finita!»

Capito? I pazienti ti picchiano e altri pazienti li difendono. Il che - tutto sommato - mi pare che abbia un suo certo senso logico.

La confusione sembra toccare i livelli massimi, e non pare possibile che le cose peggiorino ulteriormente. Ma - purtroppo - lo fanno. Altra emergenza, questa volta grave: una donna anziana in arresto cardiaco.

Corsa generale. Io massaggio, l'anestesista fa l'adrenalina, il prof tiene i tempi, uno specializzando ventila. Il monitor suona, gente che ci chiama perché non ha capito che - insomma - non è proprio la sua la situazione più urgente. Sento il paziente di prima - in un altro punto del reparto - che litiga di nuovo col personale gridando che vuole uccidere tutti... e io c'ho il terrore che irrompa dalla nostra parte e provi a farlo davvero.

Quando vedo E.R. o merdanatomy o quelle robe lì vedo certe scene e penso "ammazza che boiata, pare che capitano tutte a loro!". E invece, insomma, non c'è limite al peggio: la porta si apre, e il figlio della donna che stiamo rianimando si affaccia nella stanza.

«Non può stare qui!» gli grida un infermiere. «Aspetti fuori!»

 Ma lui resta lì, fermo. Scuote la testa.

«Voglio restare a vedere» dice, asciugandosi le lacrime col dorso della mano.

Una specie di gelo, misto a imbarazzo e senso di "adesso che cazzo famo?" si spande tra il personale sanitario attorno a me. Anche se loro sono più abituati a certe cose, è chiaro che la situazione è complicata per tutti.

Il professore si avvicina all'uomo accanto alla porta. Inizia a spiegargli cosa stiamo facendo, cerca di rincuorarlo un po'... se mai fosse possibile

«L'ho accudita da solo per anni» spiega il figlio, sempre in lacrime. «Ci devo essere anche ora, capite?»

Io non so davvero se capisco, ma insomma: sto lì che ancora comprimo il torace, alzo la testa per guardarlo meglio. Avrà praticamente la mia età, giusto qualcosa di più.

«Ok» gli faccio, prendendo un'iniziativa che tutto sommato non dovrei avere. «Se vuoi restare, resta. Per me va bene».

Lui fa il giro della sala, e si ferma alle mie spalle. E noi continuiamo la rianimazione seguendo la procedura con una tensione che crepa i muri della stanza. La donna in arresto cardiaco sotto di me. Il figlio alle mie spalle che sta lì, che piange, ma non ha paura di guardare.

Vorrei dirvi che è finita bene. Che è andata alla grande. Che il cuore è ripartito e siamo tornati a casa contenti e coi complimenti e gli applausi di tutti e che il giorno dopo mi ha chiamato il proprietario dell'ospedale dicendomi: "bravo, 30 e lode a medicina d'urgenza, domani entri subito in specializzazione!"

La verità è che le cose che scrivo qui, un pochino le cambio sempre, e che quello che leggete non è proprio quasi mai uguale uguale al 100% alla storia vera. Ma cose completamente inventate, sul blog, non ne ho scritte mai: di 30 e lode non ne ho mai presi. In un ospedale pubblico non lavorerò mai, e tutte le esperienze belle o brutte prima o poi finiscono come la laurea, come il pronto soccorso... e come la vita. E scusate questa retorica da fucilazione alle spalle, ma stavolta - davvero - mi è venuta così.

Arrivano le 8 di sera, e arriva il nostro cambio.

Esco dal pronto soccorso per andarmi a cambiare, e lungo il corridoio che separa i reparti incontro il ragazzo di poco prima, il figlio della donna che abbiamo provato a rianimare. Sta parlando con una dottoressa, e il suo aspetto... be': immaginatevelo da voi.

«Condoglianze» gli dico, avvicinandomi per salutarlo. «Mi dispiace»,

Lui mi guarda negli occhi.

«Grazie».

Detto questo mi prende la mano, e la stringe.

Forte.

Simone