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| ...ma poi ti ricordi che devi passare in segreteria. |
O come il quinto. O il decimo... o il sessantatreesimo, che sommando tutte le materie di Ingegneria e Medicina, era quello che ho dato 3 giorni fa.
Mi hanno chiamato per primo a fare l'orale della parte di medicina. Poi il mio foglio è finito sotto a tutti gli altri, e mi hanno chiamato quasi tra gli ultimi a fare l'orale della parte chirurgica.
Un'attesa interminabile mentre chiamavano a mano a mano tutti gli altri, pensando che se andava male toccava rifarlo, se toccava rifarlo non era finita, se non era finita passavo tutto il mese di giugno ancora sui libri a studiare. Un incubo.
Poi, alla fine, è stato anche più facile del previsto. Ed è andata.
Ultimo verbale, ultima ricevuta col voto scritto sopra, e ultima firma del professore sul libretto. E quella sensazione fantastica di esserti scaricato giù dalla schiena e in un colpo solo tutto il peso della Terra, che ti portavi dietro da chissà quanto.
Per un paio di minuti sono stato in una sorta di Nirvana studentesco, in cui tutti i problemi del cosmo si erano improvvisamente dissolti, lasciandomi immerso in un'aura di beatitudine. Finiti gli esami: basta notti sui libri. Basta interrogazioni che non sai mai cosa ti chiedono. Basta tutto, e adesso: aria.
Poi dopo un po' pensi che manca ancora da discutere la tesi, e che ti aspettano quelle 5000 domande dell'esame di stato da imparare a memoria... e un pochino diciamo che l'entusiasmo ti passa. Ma - per l'appunto - davvero solo un pochino.
Poi pensi che è quasi finito anche questo percorso. E che se da un lato questa storia della seconda laurea mi ha mezzo devastato la vita per 6 anni pieni, dall'altro lato me l'ha anche decisamente riempita. L'università è un periodo bello, e viverla due volte è una fortuna che tocca davvero a pochi.
E poi ti guardi intorno. Vedi i compagni di corso con cui hai passato tutto quel tempo, tutto quello stress, gli esami, le litigate con la segreteria, i casini coi professori... e pensi che qualcosa - di tutto questo, e di tutte queste persone - davvero, ti mancherà.
Finita la verbalizzazione, organizziamo una mezza serata per festeggiare. Saluto tutti, e andando via faccio il giro "lungo". Quello che non va direttamente all'uscita, ma che passa per il corridoione grande, in mezzo a tutti i reparti.
Mi piace attraversare l'ospedale prima di uscire, ed è un percorso che ho fatto decine di volte. Cammino con calma incrociando pazienti, barellieri, dottori, famiglie al completo... un po' una cartolina di tutta l'umanità che passa le giornate tra queste pareti, vecchie più di cent'anni.
Lungo la strada sorpasso un gruppetto di specializzandi. Poi passo in mezzo a qualche medico in camice, e ancora accanto a qualcuno con la casacca verde da sala operatoria.
Incrocio tutti quei dottori che ho sempre visto molto da lontano, e che ai primi anni di università guardavo con soggezione: io lo studente anzianotto che ha iniziato tardissimo, loro i medici e i professori già arrivati, nel mezzo della professione.
Oggi quel muro di esami, materie e libri interminabili che ci separava non esiste più, e per la prima volta sento che sono un po' come loro, e che anche loro - sperando che nessuno si offenda - sono diventati un po' come me.
C'è chi si iscrive a medicina sperando nel successo. Chi per i soldi. Chi per aiutare il prossimo. Qualcuno si iscrive a medicina per accontentare i genitori. O perché non ha mai trovato qualcosa che lo appassioni davvero, oppure perché sogna il giorno in cui potrebbe salvare la vita a qualcuno.
C'è chi si iscrive a medicina perché è innamorato delle serie televisive. Chi per sentirsi migliore degli altri. Perché ha provato il test tanto per provare, o perché non ha mai avuto nessun altra aspirazione, nella vita, che non fosse quella di diventare un dottore.
Io mi sono iscritto a medicina per diventare la persona che volevo essere. Solo e soltanto questo. E a questo punto, quello che cercavo, credo davvero di averlo trovato.
Simone







