26/07/12

Smettere di massimizzare il profitto.

Profitti dei banner sul mio blog (in 10 mila anni).
Un mio amico - all'età di 41 anni - si è finalmente sistemato: casa comprata col mutuo insieme alla compagna, un lavoro che pareva stabile, e un bimbo bellissimo di appena pochi mesi.

Poi però nella società in cui lavora decidono di massimizzare il profitto, e trasferiscono il mio amico e 150 suoi colleghi da Roma a Milano. Così, perché poi magari qualcuno a vivere a Milano non vuole andarci e si licenzia, con sommo gaudio degli investitori stranieri che non devono più mantenere tutti questi morti di fame di dipendenti italiani che pretendono di avere casa e famiglia.

E così, in questa vita appena messa a lucido, ecco che escono fuori sei ore di macchina per andare a lavoro e sei per tornare a Roma, due volte a settimana. Il treno costa troppo, ma dividendo la benzina con i colleghi diventa tutto più fattibile.

Per stare a Milano ci vuole una casa, e a 40 anni suonati uno si ritrova a vivere in appartamenti condivisi, come quando era studente di 20.

Le ferie se ne vanno per tornare a casa e stare un po' più col bambino, e in mezzo alla settimana la mamma - dopo il suo, di lavoro - se il ragazzino piange la notte si alza e se lo culla da sola, che il papà sta lontano.

L'altro giorno invece vado in banca, a pagare delle tasse. C'è una fila della Madonna: un solo sportello funzionante su due filiali aperte nel mio quartiere. Hanno licenziato tutti gli interinali e i lavoratori a tempo, e al posto loro hanno messo delle macchinette dove puoi versare contanti e assegni, ma ogni tanto si inceppano e quelli che lavorano lì se vai a chiedergli aiuto ti trattano pure male.

Poi il pomeriggio è proprio chiusa, nel senso che puoi entrare a usare il bancomat ma nessuno ti si fila. Una volta avevo un assegno urgente da versare e ho chiesto al direttore se per favore poteva fare un'eccezione e aiutarmi, e lui ha detto: no. Dei tuoi soldi non ci interessa, e dei tuoi problemi non ce ne frega un cazzo.

E adesso insomma alla cassa è rimasto solo un impiegato, e i clienti se li fa tutti lui: dalle 8 alle 13, e se non finisce in tempo lavora fino alle 14 ma lo straordinario non glielo pagano. L'ultima volta l'ho visto che era stanco. Dimagrito. Dice che quando va in pensione della sua banca non vuole più sentirne parlare, e metterà i soldi da qualche altra parte... anche se a detta sua sono tutte uguali.

Ok, devo continuare? Perché posso parlarvi del mio amico che lavorava 4 ore in più al giorno, mai retribuite, per poi farsi spedire in mezzo al deserto senza che lo rivedesse mai più nessuno. Ma quanti ne volete? E quanti ne conoscerete anche voi?

E parliamo allora delle cose in grande, quelle che vediamo tutti i giorni: chiudiamo lo stabilimento qui per aprirlo lì. Così voi che abitate "qui" ve la prendete nel culo, e invece quelli che stanno "lì" possiamo sfruttarli fino alla morte, che tanto dove vivono loro non ci sono leggi che li proteggono.

Alle volte mi sembra di vivere in una variazione della classica storia di fantascienza trita e ritrita: qualcosa di costruito dall'uomo gli si rivolta contro, e l'umanità sta per estinguersi. Ma i nemici che ci hanno sconfitto non sono i robot, non sono i virus mortali e nemmeno gli zombi o i mostri mutanti creati in laboratorio. Il nemico più grande è dentro di noi, dicono sempre le storie più banali e scontate che vi vengono in mente, ma pure qui - quasi quasi - ci siamo.

Il mostro che ci sta annientando non è che una nostra macchina, un nostro costrutto, una cosa che pensavamo di controllare ma che a un certo punto ci si è rivoltata contro, e ci sta facendo a pezzi. La rete che abbiamo costruito, le strutture sociali per mezzo delle quali interagiamo, ci stanno mangiando vivi.

Le multinazionali, le catene di supermercati, i centri commerciali. I videogiochi, Internet, il cinema, i libri, l'intrattenimento in generale. Lo sport, la musica, le automobili, la benzina... anche l'atteggiamento stesso che abbiamo quando affrontiamo ogni minimo aspetto della nostra esistenza funziona nella stessa identica maniera, sulla base di un unico concetto ripetuto all'infinito:

"Dare di meno, per ottenere di più. Dimostrare un continuo miglioramento. Crescere, evolversi. E - più di ogni altra cosa - massimizzare il profitto". 

Che poi il liberismo sta bene pure a me. Fino a un certo punto funziona: dà libertà di ricercare e investire verso progetti utili. Consente uno sfruttamento sensato delle risorse. Non è poi così sbagliato, come concetto.

Solo che questa cosa di portarlo all'estremo, di distruggere ogni paese, sacrificare ogni dipendente e spremere fino all'osso ogni compratore è evidentemente sbagliata. È ovvio, è palese, è sotto gli occhi di tutti.

Io non posso comprarmi tutto nuovo ogni 1 o due anni, è una cazzata. Un accessorio per cellulari dal valore di 1 Euro non può costarne 70. Ogni singolo abitante del globo non può possedere una macchina, e cambiarla ogni 5 anni.

Questa cosa del comprare e buttare, dell'intrattenersi, del mangiare porcate mentre guardi un film su un televisore che costa come il PIL di un paese africano è una grandissima figata... ma c'è qualcosa con un sapore assolutamente sgradevole quando ogni anno esce una nuova tecnologia e quella vecchia non era compatibile e allora ricompriamo tutto da capo mentre dei nostri soldi - a chi quelle cose le ha effettivamente costruite - non arriva che l'infinitesima parte.

Una società non deve massimizzare il profitto, è una stronzata.

Una qualsiasi attvità di impresa deve piuttosto massimizzare il benessere delle persone che partecipano all'impresa suddetta. Che tracciando tutto in larga scala vuol dire che gli esseri umani devono lavorare per far star bene l'umanità intera, non per rincoglionirsi di stronzate e mandare mezzo mondo a chiedere l'elemosina sotto ai ponti... nei posti fortunati dove i ponti ci stanno.

Massimizzare il benessere delle persone.

Io la vedo così: facciamo una legge, un cavillo, un filtro, un altro di quegli indici di borsa coi nomi del cazzo che tanto non capisce nessuno, un articolo della costituzione, un referendum, un codice deontologico, una licenza Creative Commons, un editto, un opuscolo, una pubblicazione, un comandamento religioso... un accidenti di qualcosa insomma - chiamatelo come vi pare - che cambi quella stupida regoletta del liberismo scritta dentro il DNA delle nostre creazioni da "massimizza il profitto" a "massimizza il benessere".

Io non lo so come si fa. Mi dispiace. Io di politica, legge, economia, statistica e rapporti internazionali non ho mai capito un cazzo. Io sono solo un mezzo medico mezzo ingegnere, o una cosa del genere, e di tutto il resto del mondo non so nulla.

Ma - davvero - voi che sapete le cose e ne siete capaci. Vi prego: fatelo.

Costringeteci a smettere di massimizzare il profitto.

Simone

21/07/12

Studiare d'Estate.

Sono tornato orora da un po' di giorni di vacanza al mare, e già mi sono rimesso a studiare Farmacologia.

Il 24 (tra 3 giorni) ho un esonero su antistaminici, fans ei farmaci usati in reumatologia, e anche se sinceramente mi sembra difficile riuscire a prepararlo in tempo ho deciso di provarci comunque: male che vada, ce l'avrò mezzo pronto per Settembre.

Ma, insomma, direi che per questa sessione posso essere comunque molto soddisfatto: tre esami superati (pure con voti oltre le mie ragionevoli ambizioni :) e un solo esame da dare a Settembre per concludere - se Dio vuole - questo interminabile quarto anno.

Iniziato in maniera drammatica con quel cavolo di esame che non riuscivo a togliermi, questo anno di Medicina alla fine si è quasi risolto e sono quasi riuscito a lasciarmelo alle spalle. Il bello degli esami è che una volta che li hai dati li hai dati, e non li vedi più, e non dover più vedere le Patologie Integrate è una bella sensazione.

Resta da fare Medicina di Laboratorio: è un esame difficile, uno di quelli con gli scritti assurdi con le crocette che sai mettere soltanto se impari il libro a memoria. Solo che un libro nemmeno c'è perché su 10 professori che abbiamo ce ne avranno consigliati 8 diversi, e allora tocca cercare per ogni dove tra slide, libri, testi di vecchi esami, wikipedia e il semplice Google, sperando inoltre di imparare a memoria proprio le nozioni che interessano ai docenti e non altre.

Insomma è un po' un guaio, ma ci sono 2 appelli a Settembre e ho discrete possibilità di iniziare il quinto anno senza esami arretrati.

Quinto anno di medicina, zero esami indietro, dieci (cacchio, sono 10!!!) da fare nei successivi 12 mesi. Più gli esoneri di farmacologia, più i tirocini, più inoltre l'internato per la tesi che a questo punto è arrivato il momento di chiedere.

Non suona tanto male, però: certo è ancora un bel mazzo prima del sesto anno e prima della tesi e della laurea, ma non suona male comunque.

L'unica rottura è studiare adesso, poi un po' di vacanze e di nuovo studiare ad Agosto. Da metà, o forse prima o dopo: non lo so, devo farmi bene i conti. Però insomma studiare d'Estate è sempre una bella rogna:

Perché magari i miei amici si vedono spesso e io no.

Perché magari la gente va al mare e io no.

Perchè magari vorresti partire e andare da qualche parte, ma invece no.

Perché fa caldo e non c'hai voglia per niente, eppure ti tocca studiare lo stesso, perché se no gli esami non li passi.

Meno male che - prima o poi - gli esami finiranno. Anche se non saprei bene dirvi quando.

Simone

12/07/12

Dalle ONG alla Croce Rossa... passando per l'esame dove mi bocciano domani.

La Croce Rossa Italiana. Comunque c'era scritto anche sotto.
Domani mattina devo dare Igiene e Sanità pubblica.

Che non è proprio il massimo della difficoltà e della mole di pagine da studiare - come esame - ma è tutto un bla bla bla su robe politiche di cui non mi frega niente e discorsi socio-sanitari di cui non me ne potrebbe fregare niente ancora di meno.

Come da copione, più un esame è semplice e meno uno ci si impegna. E poi insomma, lo posso dire? In 9 anni di università (5 a ingegneria e 4 a medicina) è il primo esame della mia vita per il quale posso dire che non ci ho capito veramente un cazzo.

No: forse a teoria delle strutture ero messo ancora peggio, ma lì non avevo davvero studiato niente e c'ero solo andato a provare. Ma insomma: stiamo più o meno lì, da quelle parti.

E pensare che, dopo ingegneria, finito il militare (l'ho fatto nei pompieri) volevo andare in Africa a fare le cose scritte in politichese sulle dispense di Igiene.

Volevo andare nel deserto a fare le buche per tirare fuori l'acqua e farla bere ai ragazzini, con loro che poi magari crescevano pure e nemmeno morivano di malattie terribili. Magari non proprio tutti quanti, ecco.

Viviamo in un mondo un po' di merda, ecco. Ma io insomma il mondo lo volevo cambiare. C'avevo 'sta fissazione, 20 anni, una laurea figa (credevo) ed ero totalmente rincoglionito da credere ancora che al mondo - a sua volta - fregasse qualcosa di me.

E allora ho mandato curriculum a tipo tutte le ONG della Terra, e a tutte le istituzioni del caso e a tutti gli enti e i nomi strambi che lavorano nel sociale con i loro acronimi impronunciabili.

ONU, UNICEF, FAO... poi CESVI, FOCSIV, MSF. Forse a Emergency no, non mi ricordo. In ogni caso tutta roba coi nomi fatti a sigle, che c'è la miseria cazzo non possiamo stampare il nome tutto per intero... e poi uno risparmia pure un sacco di tempo per scrivere le buste.

Ho fatto domanda per Internship, partnership, fellowship, tutorship e tutti gli ship programs di sto mondo. Dove trovavi un form online, lì ci cliccavo io e mettevo nome e dati e tutto quanto.

E mi rendo conto di non essere stato questo gran che, come candidato: sapevo l'inglese, ero un ingegnere laureato giovanissimo, ma con una valutazione bassa. Poi ho fatto il pompiere, sapevo usare PC e programmi vari e Internet e tutto quanto.

Però non avevo esperienze nei paesi in via di sviluppo, non conoscevo le leggi e le cose burocratiche internazionali che magari cercavano... ma che ci potevo fare? Alla fine mica potevo saper fare tutto io, e se ti laurei a 23 anni per forza di cose alcuni aspetti dello scibile umano potresti averli trascurati.

Eppure c'era anche un'età massima entro la quale fare certe domande, almeno per le istituzioni internazionali, e piano piano sono finito oltre e allora ciao. Fine dei giochi. Sei troppo vecchio, e nessuno ti vuole più. Hai 27 anni: muori.

Ho fatto un colloquio solo una volta - gli unici che mi abbiano mai richiamato - con un tizio di una ONG con sede qui a Roma.

Abbiamo parlato un po' e alla fine mi ha detto che non avevo abbastanza esperienza, e di ripassare più avanti. Magari studiando prima un po' di francese, un corso di primo soccorso... come si effettua la costruzione di un ospedale nel deserto. Insomma, quella roba lì.

Alla fine - insomma - non mi ha voluto nessuno. Qualcuno mi direbbe: riprovaci. Ora hai studiato medicina e tutto il resto, magari cambieranno le cose.

Però, davvero, se me lo chiedete adesso, mi viene da rispondere: ma in Africa, che minchia ci vado a fare? È venuta tutta qui, l'Africa. Siamo noi l'Africa, e il paese da sviluppare è l'Italia.

Questo gli direi, oggi, ai tizi delle ONG e acronimi uniti: ma dove cacchio vuoi andare a salvare la gente nei posti in culo alla Luna, se esco di casa e per strada trovo l'Apocalisse?

E vi confesso anche che non c'ho più 25 anni, e non mi sento più troppo immortale: come parte un mezzo fischiabbotto, sono il primo che fa una brutta fine. Non me la sento semplicemente più.

Che poi in realtà un posto l'ho trovato dove non mi hanno sfanculato subito. L'avrete letto nel titolo e magari pensavate: ma quand'è che ci arriviamo? E finalmente eccoci.

Tra decine di lettere, mail, curriculum e colloqui mai arrivati, quelli della Croce Rossa sono gli unici che mi hanno fatto entrare. Che non volevano magari uno che già sapeva fare tutto da sé, con 20 anni di esperienza sulle ambulanze, 3 laure e il giubbotto antiproiettili incorporato, che loro non c'hanno i soldi e se non c'hai il tuo e ti sparano amen: potevi prenderlo in leasing.

I Volontari, della Croce Rossa. I Volontari del Soccorso, o i vudiesse, o chiamateli come vi pare. Con loro, stranamente, ho firmato un foglio e dopo mi hanno chiamato a fare il corso ed è finità così: ero uno del gruppo.

Che poi se pensi che i volontari non li pagano, sembra improvvisamente tutto così lapalissiano e ovvio ed evidente che ero un coglione a non esserci arrivato già prima, 12 anni fa.

E un po' mi dispiace che ultimamente lo trascuro tanto, il volontariato, e faccio un turno ogni morte di papa. Solo che devo studiare per sti benedetti esami che non mi lasciano un cavolo di tempo libero.

Esami come quello che c'ho domani, con tanti bei discorsi sui diritti dell'Uomo, sulla sanità, sulla prevenzione e protezione e promozione della salute. Su quanto è brutto che la gente muore tipo a gratis ogni microsecondo, mentre i nostri politici in triplo petto propongono soluzioni fantasmagoriche senza combinare mai realmente un cazzo.

Ma meno male che sono entrato alla Croce Rossa. E meno male che ci stanno i volontari. Almeno alcuni di loro. Che magari non sanno mettere insieme tante parolone difficili, ma hanno almeno un paio di mani per incollarsi le barelle e quando c'è qualcosa da sistemare muvono il culo e la sistemano loro, senza giri di parole retorici per appioppare il lavoro agli altri.

Sono contento, nel mio piccolo, di aver passato un po' di tempo accanto a loro.

Simone

03/07/12

Il tirocinio a Ginecologia, in sala operatoria.

Dopo che diventerò medico, credo che farò il modello.
In realtà quello a Ginecologia non è stato un vero e proprio tirocinio: abbiamo fatto delle lezioni con un ginecologo per il corso di Medicina della riproduzione. Gli abbiamo chiesto se qualche volta potevamo andare in reparto, lui ha detto di sì e dopo qualche settimana - il tempo di togliermi gli esami più impellenti - eccomi qua.

Mi sono pure comprato la casacca verde, coi pantaloni verdi e gli zoccoli verdi. Che poi volevo il tessuto super leggero fico e le crocs che sono più comode. Ma le crocs non ce l'avevano e col tessuto superfico c'erano le casacche blu, ma quelle verdi no: attaccati.

In tutto questo ho scoperto che il blu è per gli infermieri, il verde per i medici e il bianco per il professore. O forse è capitata così in quel giorno particolare, visto che questa divisione tanto precisa mi pare un po' strana e in giro vedi spesso pure le casacche rosa e qualcosa tipo blu fuxia lilla che si mettono le donne oppure a scrubs quando devono prendere per il culo qualcuno.

La cosa che mi colpisce più di tutte è la situazione del reparto: per i corridoi, mentre cerchiamo la sala, io e la studentessa che è insieme a me troviamo un'infinità di scritte e disegni sui muri. Sembra una stazione della metro più che un ospedale, e non è che faccia tutta questa meravigliosa impressione. Passo lì in mezzo a quel casino e mi chiedo: bo'?!

All'interno del reparto, invece, quello che mi lascia esterrefatto è la tranquillità dei chirurghi: noi studenti stiamo mediamente in ansia, che a vedere tagliare e aprire la gente ancora non siamo troppo abituati. Va già meglio delle prime volte a urologia, ma insomma stare lì a cuor leggero è francamente impossibile.

Le mamme sono ovviamente quelle più in tensione, che tempo 10 minuti e succederà di tutto. I papà sono un po' tra il sognante e il rintronato spinto, mentre i medici invece sono di una serenità inespugnabile.

Vanno in sala, aprono, chiudono, poi tornano nella saletta loro e stanno lì a guardare il telefono o a chiacchierare o a leggere le cartelle in attesa che li chiamino di nuovo. Cioè, mi dicessero a me "domani devi fare un cesareo" mi verrebbe il panico e mi sentirei male solo al pensiero di fare mente locale all'idea di prendere in mano il bisturi.

Poi però fai pratica per anni, e alla fine quella diventa la tua normalità: eventi che terrorizzano le persone normali non sono più niente, tagli e ricuci le persone e stai tranquillo come quello che impasta la pizza o che ti serve il caffé al bar.

Alla fine credo che tutto il succo della questione sia semplicemente quello: restare lucidi in situazioni dove per il 99% delle persone stare calmi è impossibile. Una volta che ci riesci, sei un chirurgo.

E insomma io invece sono quello ai piedi del letto operatorio che si sente più simile a uno mascherato per carnevale che a un dottore vero. Vedo il taglio all'altezza dell'inguine, si apre il sottocutaneo, si scansano i muscoli e il peritoneo. Un'altra incisione sull'utero, poi metti la mano dentro e tiri fuori un accidenti di essere umano tutto sporco di Dio solo sa cosa e incazzato nero.

Il neonato passa a subito in mano ai pediatri che controllano come respira, mentre il papà fa 8000 foto come da manuale. Un saluto alla mamma e poi via, verso non so quale reparto. 2 o 3 giorni dopo si va a casa, e poi l'asilo, la scuola, gli amici, il lavoro, la seconda laurea, l'IMU e insomma quelle cose lì che ti toccano quando sei nato per davvero e mo' non scappi più e sono cavoli tuoi.

Lasciando il reparto, passo di nuovo per i corridoi tutti scarabocchiati di prima. Questa volta li osservo un po' meglio, e finalmente realizzo che ci sono scritte cose tipo: come ti ho visto eri già nella mia anima. Dopo tanta fatica ce l'abbiamo fatta. Benvenuto. Alle 3 e 15 di notte (mortacci sua, questo lo aggiungo io) è nato Marco.Ci hai fatto piangere. Oggi è il giorno più bello della nostra vita.

Per me, insomma, non esageriamo: diciamo che - nell'arco della mia, di vita - questo è stato un giorno positivo. Medio-buono, diciamo. Gli darei un 7.

7+ va', per il bel ricordo che mi ha lasciato.

Simone