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06/10/14

Ebook - Simone Maria Navarra - Da ingegnere a medico.

La copertina migliore... di uno che non le sa fare.
Da ingegnere a medico - come penso sia facile intuire - è una raccolta dei post che ho ritenuto più interessanti tra tutti quelli che ho scritto nel corso della mia seconda laurea in Medicina e Chirurgia.

È stato difficile riassumere 6 anni in poche pagine, ed è stato difficile tagliare cose che forse mi sarebbe piaciuto mantenere. Ho puntato però a realizzare un ebook - per quanto possibile - leggero e di veloce lettura, mettendo maggiormente in risalto i racconti dei tirocini e delle esperienze ospedaliere rispetto a quelli dello studio e degli esami veri e propri.

Ho pensato infatti che se trovando il libro qualcuno si scoprirà interessato, potrà sempre seguire il link al suo interno e continuare la lettura sul blog. Annoiare a morte invece dei nuovi lettori con centinaia di pagine di lamentele sullo studio della Biochimica o su quanto fosse stressante avere a che fare con la burocrazia universitaria, non mi pareva al contrario un'impostazione ideale.

Credo inoltre che le esperienze in reparto e - particolarmente - quelle in pronto soccorso siano semplicemente più interessanti di tante altre cose di cui potrei aver parlato nel corso di questi anni, e che valga la pena di sottolineare un pochino di più proprio quelle.

Insomma vi lascio questi due file: uno è il pdf in versione A4 (un normale foglio di carta) che potrà essere un po' più comodo per chi vorrà stamparlo.

Un altro file è lo stesso testo sempre in pdf, ma in un formato più ridotto. Che penso sia più comodo per chi preferirà invece leggere il tutto su un lettore portatile con uno schermo magari piuttosto piccolo.

In futuro magari potrei aggiungere una versione epub, ma per ora non ho troppo tempo per lavorarci e - a essere sincero - dopo tanti anni che non "pubblicavo" (gratuitamente e online) più nulla non mi ricordo nemmeno più tanto come si fa.

Ringrazio anticipatamente chiunque vorrà aiutarmi a diffondere questo piccolo lavoro a cui tengo però tanto, mettendo il link magari sul proprio blog, su facebook, su twitter e dove riterrete più o meno opportuno.

Grazie davvero ancora una volta a tutti per la presenza, i commenti, la collaborazione e tutto quanto il continuo appoggio in questi 6 anni... e - si spera - buona lettura! :)

Da ingegnere a medico - formato A4

Da ingegnere a medico - lettori portatili


Da ingegnere a medico - per dispositivi iOS

Da ingegnere a medico - per Kindle su Amazon

Simone

31/07/14

Grazie!

Prima della discussione: sorrido dal terrore.
Giorni un po' caotici tra lauree degli amici, festeggiamenti e tante piccole cose da sistemare.

Ho anche già ripreso ad andare in reparto. Più che altro tornava il correlatore, e fare un salto per portare almeno due pasticcini era il minimo obbligo sindacale.

Ora sento che ho proprio bisogno di un po' di vacanze. E questa estate speriamo di rilassarci un po'... sempre che la smetta di fare tempeste e maremoti un giorno sì e l'altro pure.

Cosa fare del blog - adesso - visto che me lo chiedono tutti?

Intanto penso di sistemare un pochino i vari post. Sistemare i link, i vari tag e cavolate varie. C'è ancora qualcosa del primo anno che non ho riportato dal blog vecchio e che dovrei trasferire.

Poi penso di rileggermi un pochino e nei limiti del possibile (sono 500 e passa post!) tutto quanto, con l'idea magari se è possibile fare una selezione sensata e razionale per "produrre" un ebook, una raccolta... insomma, un qualcosa di completo e a sé stante.

Più che altro poi l'andazzo generale dei post stava virando sull'un po' troppo serio, ma spero alla fine che i post un pochino più divertenti (quell'uno o due all'anno) siano abbastanza da farne insomma una raccolta che la gente leggerà senza rimpiangere di saper capire l'Italiano scritto.

Qui è quando ho presentato la tesi senza svenire!
Per il resto penso che il blog sia già abbastanza indipendente e completo da solo: il libro stampato oppure l'ebook fa molto figo. Molto "scrittore vero" ed è molto più vendibile, esportabile, prestabile e trasferibile.

Ma il senso reale di questa cosa che ho portato avanti per tanto tempo, ce l'ha solo il blog: con la suddivisione nei vari anni, con i post anche secondari che magari in un libro non avrebbero senso e - soprattutto - con tutti i vostri commenti.

Senza il continuo appoggio esterno di decine di milioni di persone (ho gonfiato i numeri un pochino, lo ammetto) che ho incrociato tra queste pagine, negli anni, sarebbe stato di certo tutto più complicato, difficile, e tutto anche un po' più solitario e triste.

Insomma il blog è più interessante - secondo me - di eventuali opere derivate, copincollature o quello che vi pare che se ne potrebbe trarre, e di certo lo lascerò online e leggibile a tutti.

Per cui, se la vostra paura era che qui sparisse tutto da un giorno all'altro, potete stare tranquilli: almeno finché Google non ci tira giù qualche scherzo, o mi censurano o mi denuncia qualcuno, il "Da ingegnere a medico" blog qui presente qui sta e qui resta, a imperitura memoria di questa cosa un po' folle e un po' autolesionista che mi è capitato di combinare dal 2008 al 2014.


Se invece continuerò a scrivere nel blog, in QUESTO blog, almeno... non lo so.

Da un lato penso che il percorso sia concluso. Che la laurea (mi pare) me la sono presa, e che stare ancora qui a parlare di tirocini, studio, esami e cose da studente sarebbe - semplicemente - poco interessante e forse anche un po' poco sensato.

Dall'altro lato, parlare di un percorso professionale da medico (o ingegnere che sia) in una "cosa" - questo blog - nata e cresciuta per parlare di tutt'altro, mi parrebbe anche questo fuori tema e a rischio di degenerare rapidamente verso la noia.

Cioè: un ingegnere si iscrive a medicina, e ok. Fa i turni in ospedale e gli esami e ok anche qui. Ma poi? Si mette a parlare del suo lavoro o continua a parlare degli affari suoi personali a vita. Ma perché? A chi interessa? Ci sono siti di medicina d'urgenza incredibilmente troppo scritti meglio del mio, tra l'altro.

I miei amici fanno photobombing.
Da un terzo lato (?) la scrittura è sempre stata un po' una parte della mia vita. Una volta scrivevo romanzi, poi ho cambiato e sono diventato un po' più autobiografico. Comunque sia non ricordo un periodo, negli ultimi 10 anni, in cui sia rimasto completamente senza scrivere.

Insomma: non lo so.

Mi serve un po' una pausa. Riposarmi, rifletterci un po' su e poi - a mente più calma - decidere come continuare a scrivere, e su cosa.

Intanto tutto questo testo lungo e inutile era per avere abastanza righe da infilarci dentro un po' di foto e il video della proclamazione.

Non c'è un'immagine che mi pare particolarmente indimenticabile, per cui ne ho messe più d'una così almeno - spero - potreste trovarne magari una che piace a voi :)

Quello che è importante, è che voglio ringraziare ancora una volta tutti voi per l'appoggio, l'affetto, l'amicizia e l'incoraggiamento che mi avete dato.

E se davvero come ha detto qualcuno questo blog vi è servito un po' da ispirazione e vi ha spinto in qualche modo a intraprendere un percorso che sognavate ma che - in qualche modo - vi sembrava troppo difficile o vi spaventava... be', grazie ancora: io sono solo uno che ha fatto un po' di esami all'università, e non penso di meritare tanta considerazione e tanta importanza. 

Grazie per l'ennesima volta, e in bocca al lupo a tutti. E vi auguro che tutto quello che state cercando si realizzi il prima possibile, e nel modo migliore che possiate immaginare.

Simone
Grazie!!!!!!!!

11/07/14

6 anni di Medicina, in 1 (post).

Moderno ospedale, di quando mi sono iscritto.
Estate 2008: ho già deciso che proverò il test, e sto studiando su quei libroni riepilogativi che si usano per preparare i concorsi.

In famiglia ci sono 2 o 3 parenti o amici cari che condividono la mia decisione e mi appoggiano. Altri invece cercano di farmi desistere prevedendo tragedie e sventure... o un più banale "perderai un sacco di tempo, e ti stancherai prima".

Mi iscrivo al corso estivo di una delle grosse case editrici che fanno i libri per il test, più per obbligarmi a rinchiudermi in un posto a studiare che per reali speranze che un corso possa davvero aiutarmi.

Al mio arrivo, mescolato in una fiumana di adolescenti neodiplomati, una delle insegnanti esordisce "ma tu che cavolo ci fai qui?"

Un ragazzo del gruppo mi vede e lo sento commentare con gli altri: "proprio tutti medici, eh?"

Il bello di quella estate, il bello forse di tutto il percorso, sono i più debosciati di tutti che al corso di preparazione al test prendono e passano la notte in discoteca.

"Vieni con noi?" mi chiedono. "Dormiamo in stazione, e torniamo domani mattina".

Loro sono i 18enni fighi che io sognavo di essere alla loro età, ma che non sono mai stato. Per un attimo - con 15 anni di ritardo - posso sentirmi come uno di loro. Poi però rifiuto, perché sto lì per studiare e se passo una notte intera in discoteca, come minimo, muoio. Avrei dovuto andarci, invece? Forse.

A Settembre faccio il test di ammissione con tanto di influenza intestinale. Ma questo ve l'ho già raccontato da qualche parte, per cui passiamo oltre.

Primo anno di università: a lezione siamo una dozzina di ultra venti-trentenni, e faccio un po' comunella con loro.

Dopo il primo semestre saremo la metà. Dopo il primo anno, un terzo. Al quinto ero rimasto solo io... ma so che c'è qualcun altro un po' indietro, ma che comunque è andato avanti.

Il primo esame è Anatomia 1, ed è un trauma: prendo l'abitudine di scrivermi le cose da memorizzare su dei foglietti che rileggo sempre in qualsiasi momento. Al semaforo, in banca, in fila al supermercato. Farò così per anatomia, biochimica, microbiologia, farmacologia... tutti esami che sono come poesie da ricordare a memoria, e tutti foglietti sempre perennemente in tasca per ripetere appena ho 5 minuti, con lo stress che me se porta.

Alla fine ad Anatomia 1 prendo 23. Un'amica organizza una festa a sorpresa con tanto di torta con 23 candeline, e quello è il momento più bello.

Secondo anno di medicina: neuroanatomia, e biochimica. E microbiologia. E fisiologia.

Un anno di medicina che è come una laurea a parte.

Ricordo il pranzo di Pasqua, e io che saluto tutti i parenti e vado a casa a ripetere la via spino-rubro-talamo-qualcosa-cerebellare con l'abbiocco che mi uccide e la consapevolezza che non riuscirò mai a ricordarmi come si deve quelle cose assurde.

Ricordo una parte da imparare a memoria che ricordava più una commedia di Ionesco: un testo surreale, senza manco mezza parola che avesse una parvensa di senso o significato. Ho cercato aiuto su Internet ma non c'era manco un disegno, e mi sarei messo a piangere.

Agosto del secondo anno l'ho passato a casa col libro di Biochimica e il portatile per cercare i composti su Wikipedia. Non ho mai studiato così tanto in vita mia. Troppo. Vorrei dirvi che poi è servito ed erano cose importanti e che uso tutti i giorni, ma non è così.

Al secondo anno di Medicina ho visto la prima autopsia, e se non c'era un collega "anziano" che mi teneva buono mi sa che svenivo pure. Sempre al secondo anno ho visto la seconda autopsia e non mi ha fatto più tutto 'sto grande effetto. Al quinto anno avrei dovuto vedere la terza, ma non ci sono andato e sono rimasto a dormire.

Anche i bei ricordi, sul secondo anno, sono esclusivamente legati agli esami: in particolare quando ho finito Anatomia. Sono uscito dall'aula: era una giornata bellissima, mi sentivo al settimo cielo e ho capito che potevo farcela.

Terzo anno di medicina: forse il meno impegnativo, da un punto di vista esclusivamente della mole di studio.

Per la prima volta ci portano in reparto. E a chirurgia stiamo tutti lì che ci caghiamo sotto che chissà cosa ci faranno vedere... e invece, poco e niente. Che resterà una costante da lì all'ultimo giorno, ma questo ancora non lo sapevamo e avevamo aspettative - diciamo - inverosimili.

Nel reparto di medicina interna vado per conto mio. I primi pazienti, uso per la prima volta il fonendoscopio. Leggo cartelle senza capire una mazza, guardo ECG chiedendomi che mistero racchiudano, vedo fare prelievi ed emogas e penso che non avrò mai il coraggio di provarci io.

Il terzo anno di medicina è stato, probabilmente, il più bello.

Quarto anno: le patologie integrate. Esami di clinica dei vari apparati, con dentro farmacologia e diagnostica per immagini e anatomia patologica fino a formare degli ammassi infiniti di roba da sapere.

Cardiologia - che poi in realtà l'ho fatto al secondo semestre del terzo - sono 2200 pagine su 7 diversi libri. Gastroenterologia pure lì circa 2000. Le altre sono un po' più corte, ma manco tanto.

E gastroenterologia mi boccia 3 volte allo scritto, e se seguivate il blog lo sapete: ogni volta solo a rileggerlo ci metto un mese. Poi vado lì, e mi bocciano di nuovo. Sto rimanendo indietro con gli esami e inizio a pensare di abbandonare. È stato un momento veramente, veramente nero.

A un certo punto mi chiudo in casa 3 settimane, e ripeto gastro e mi studio reumatologia da zero... e alla fine in 2 giorni faccio tutti e due gli esami e miracolosamente mi ritrovo di nuovo in carreggiata.

Il momento più brutto è stato pensare che, dopo tanta fatica, non sarei più diventato un dottore. Il più bello, realizzare che avevo superato anche quello.

Quinto anno: 10 esami in 10 appelli.

Medicina e Chirurgia 1 è tostarello. Un altro di quegli esami - grazie a Dio l'ultimo - dove ti chiedono le poesie a memoria, e dove mi ritrovo ad andare in giro coi foglietti in tasca per ripetizioni lampo nei momenti di buco.

Gli altri esami sono più semplici, ma sono talmente tanti che stai praticamente sempre sui libri e sempre con qualche scadenza da rispettare in una specie di tour de force accademico.

Al quinto anno, dopo aver frequentato urologia, gastroenterologia e due reparti di medicina interna,  ho iniziato a frequentare medicina d'urgenza. E dopo qualche mese mi hanno spostato in pronto soccorso.

A medicina d'urgenza ho fatto i miei primi benedetti prelievi, con le mani che mi tremavano e la paura che i pazienti mi picchiassero. Ho iniziato a leggere un ECG come si deve, e ho finalmente sfogliato qualche cartella clinica capendone - più o meno - tutto il contenuto.

Le cose che prima mi sembravano impossibili stavano piano piano entrando a far parte della routine quotidiana: per la prima volta, andavo in reparto e mi pareva di stare lì per imparare qualcosa.

Il quinto anno di medicina è quello dove tutto sommato da studente uno diventa mezzo dottore. O almeno così avevo sentito dire, e anche per me è stato così.

I ricordi più belli sono una ragazza che festeggia il compleanno fuori dall'università. Porta dei muffin come dolce, e io me ne mangio 4 di fila prima di andare in pronto soccorso a fare la notte. E poi il mio - di compleanno - passato coi compagni di corso: ho compiuto 38 anni, e non me ne sentivo nemmeno 19. Oppure una festa in un appartamento di studenti: io sto lì che bevo come se stessi ancora a ingegneria, e a un certo punto arriva uno e mi fa: "ma tu sei Simone Maria Navarra? Io leggo sempre il tuo blog!!!"

E notare che - quando facevo lo scrittore - non mi ha mai riconosciuto nessuno.

Sesto anno: l'ultimo. Questo. Eccoci qua, che non è ancora proprio finito.

Al sesto anno c'è lo stress che devi fare 18 mila rotture di palle burocratiche, oltre agli esami, la tesi, i tirocini e - generalmente - mangiare e dormire quando sei fuori dal reparto.

All'ultimo anno di medicina devi dare 7 esami, ma sono tutti più un rimiscugliamento di robe vecchie piuttosto che argomenti nuovi da studiare da zero. Durante i tirocini facciamo meno cose rispetto ai primi che si facevano tre anni prima. A lezione non controllano tanto le presenze, e alla fine non viene più a seguire quasi nessuno.

Penso che l'ultimo anno di medicina poteva essere tranquillamente il quinto, mentre al sesto non si fa davvero chissà cosa di imprescindibile, e l'intero corso di laurea si spegne lentamente con solo la tesi a dare una parvenza di "novità" rispetto agli anni precedenti.

Durante i turni in pronto soccorso - quelli che faccio da me senza alcun obbligo particolare - ho imparato a fare qualche ecografia. Ho messo i primi punti di sutura, e forse tutto sommato ho finito per saper fare anche qualche cosina in più rispetto agli obiettivi che mi ero prefissato all'inizio di questi 6 anni.

Il ricordo più bello è la festa organizzata in aula l'ultimo giorno di lezione. La foto tutti in camice sulla scalinata del policlinico, e poi la sera di nuovo in giro per festeggiare con gli - ormai ex - compagni di corso.

Da qui in poi manca solo la tesi, a fine mese ma sempre in data da definire. E poi?

Il settimo anno di medicina, cioè l'anno dopo la laurea, prevede 3 mesi di tirocinio e poi l'esame di iscrizione all'albo.

Dopo farò il corso da ecografista della SIUMB, e il master in medicina d'urgenza della mia università.

Ormai ho deciso: non penso che aspettare un anno per il concorso di specializzazione, e poi - se mi dice bene - 5 anni in giro per l'Italia a fare la vita dello specializzando, sia una scelta ragionevole per uno che ha quasi 40 anni.

Corsi e master mi danno qualifiche più in fretta, e inizio a pensare di essere abbastanza capace da riuscire a trovarmi uno spazio per quello che so fare, e non per i pezzi di carta che ho o non ho accumulato.

Adesso - intanto - ci sono da sistemare le ultime cose per la tesi, e la discussione. E poi, si vedrà.

Simone

03/07/14

In bianco e nero.

Farei qui la mia vacanza post-laurea... se solo sapessi dov'è.
Riccardo: 27 anni, sempre stato in ottima forma. Mai un intervento, mai una malattia, mai un cavolo di niente: una salute perfetta.

L'altra mattina esce di casa per andare a lavorare. Arriva alla macchina, prende le chiavi... e cade per terra con gli occhi girati che non respira e la gente intorno che s'impressiona e grida e svengono pure loro uno dietro l'altro, stile domino.

Veronica: 50 anni, professione sanitaria non meglio definita, che si occupa di non so che cosa. Pressione alta, qualche problema cardiaco, ma in sostanza niente di che.

Sta lavorando in sala operatoria: tutto tranquillo e secondo routine, quando a un certo punto prende e crolla per terra pure lei in mezzo a ferri, dottori, paziente intubato e tutto il resto.

Sembra quasi l'inizio di una puntata di un qualche avvincente telefilm sui dottori, non trovate? E adesso per continuare a leggere vorrei farvi pagare l'iscrizione al blog... ma - purtroppo - non ho ancora capito come si fa, e mi tocca lasciarvi proseguire gratis.

Riccardo arriva in ospedale con l'ambulanza del 118. Si è già ripreso, e racconta - come già vi dicevo - di non avere mai avuto problemi di salute particolari.

Veronica, invece, è arrivata in pronto soccorso accompagnata dai colleghi: durante il tragitto hanno preso la bella iniziativa di riempirla di farmaci a caso, senza correlazione ai segni, ai sintomi, alla situazione o a una benché minima eventuale linea guida di qualcosa... dando effettivamente adito a pensare che Veronica non fosse poi realmente così tanto amata da tutti. O anche che se ti senti male e arriva subito un dottore - tutto sommato - non è necessariamente una cosa positiva.

In tutto questo, non v'ho ancora detto che in reparto c'era già anche Mario, un signore molto anziano: Mario ha la febbre. Le gambe gonfie. I polmoni arruffati. L'elettrocardiogramma fa quello che gli pare, e quando respira sembra una macchina del caffé.

Mario è un dottore anche lui. 60 anni di professione - o magari un po' meno, non sono stato a contare - sempre dall'altro lato della barricata. Adesso invece è lì, al posto del paziente, e si lascia visitare e curare senza lamentarsi o dire una parola. Un piacevole caso di paziente-dottore non rompipalle: vi assicuro che è - veramente - rarissimo.

Insomma, 3 pazienti: Riccardo che è svenuto che ancora non si sa perché. Veronica che ora vediamo, ma sta davvero davvero messa male, e Mario che avrà una polmonite e sta con noi già da un po', nel limbo dei pazienti in osservazione.

Riccardo non lo visito io, perché finisce in un'altra ala del pronto soccorso e insomma ci arrivano solo notizie indirette. Cos'ha e cosa non 'ha, pare comunque più una crisi epilettica che un problema cardiaco o altro. Magari ha battuto la testa e non si ricorda. Magari ha preso qualcosa che non ci ha detto... comunque sia lo spediscono alla TAC, nella speranza di chiarire l'arcano.

Veronica invece viene da noi. O meglio ce la portano: ha la metà destra del corpo completamente paralizzata. Pressione arteriosa a livello Goodyear. Oscilla tra una semi-incoscienza e uno stato di rincoglionimento più moderato.

«Mi può stringere le mani?» chiedo io, verificando che effettivamente un braccio e una gamba non accennano minimamente a muoversi.

«Io sto benissimo» risponde lei, biascicando le parole e ignorando completamente che metà dei suoi arti sono appena andati a puttane.

Questa cosa del perdere totalmente la cognizione di una parte del proprio corpo, in neurologia, ha anche un nome ben preciso: e se avete voglia di cercarlo su google - magari - ditelo anche a me.

Veronica pare di gran lunga il paziente più grave, e la TAC se la becca per prima. Torna su in reparto che già abbiamo le sue immagini, e queste risultano negative. E con "negativo" - in medichese - si intende in genere una cosa bella:

«Io ti amo perché sei sempre negativa» disse il dottore alla dottoressa. «Vuoi sposarmi?»

«Negativo!» rispose lei.

E vissero per sempre felici e contenti.

Per Veronica si pone una diagnosi di ischemia cerebrale. Siamo nei tempi giusti, e il neurologo decide per la cosiddetta "trombolisi": una specie di idraulico liquido in versione biochimica, che toglie i coaguli dalle arterie e - per lo meno nelle intenzioni di chi lo propone - rivascolarizza il tessuto cerebrale.

Per Riccardo, invece, la TAC dà una risposta che non si augurava proprio nessuno:

Gli hanno trovato un edema di 7 cm nel cranio. E sotto all'edema ci sta un tumore. E sotto al tumore ci sta il cervello sano. E togliere tutto il tumore lasciando lì quello che invece non devi toccare è una di quelle cose che i dottori ancora non riescono a fare bene per niente.

Il neurochirurgo parla di operare tra un paio di giorni: deve aprire, togliere tutto quello che riesce a togliere, fare la chemioterapia, e poi mettere il cronometro per vedere quanti minuti ci mette a recidivare un tumore aggressivo come quello.

Passa il tempo in reparto, e per Veronica c'è una processione di amici, colleghi, parenti e chi più ne ha più ne metta. Pare che in ospedale conosca mezzo mondo, e che mezzo mondo voglia venire a trovarla per sapere come sta... oltre che - incidentalmente - a rompere le palle a noi.

Attorno agli esami di Riccardo, invece, si forma un viavai un po' diverso: c'è chi è sconfortato dalla notizia. Chi guarda e riguarda la TAC, che un caso così non l'aveva mai visto. Qualcuno tira in ballo Dio e non so che discorsi sui preti e cose del genere.

Un parente del ragazzo che lavora con noi ci spiega che dovrà parlarne con la sua famiglia, ma non sa nemmeno da che parte cominciare.

Alla fine Riccardo viene ricoverato in neurochirurgia, mentre poco più tardi torno a vedere Veronica:

La trombolisi non ha funzionato. Che poi non è proprio esatto: adesso un pochino il braccio e la gamba li muove, mentre prima erano paralizzati. Solo che è totalmente rintronata: gli dici una cosa e ti risponde fischi per fiaschi, ed è convinta di stare bene e vuole alzarsi e andarsene non si sa dove e non si sa come. Che se solo prova a mettersi in piedi - di sicuro - casca.

Il neurologo spiega che il tappo che chiude l'arteria è talmente grosso che il farmaco non basta, e allora proveranno per via endovascolare: in sintesi prendono un tubo, lo infilano in un'arteria, arrivano - minchia - fino a dentro al cervello, e con quello provano ad aspirare via tutta la robaccia che non ci dovrebbe essere. E insomma parte pure Veronica, alla volta della neurochirurgia endovascolare, angiologia interventistica o vattelappesca come si chiama il posto dove la operano.

Il pronto soccorso però è sempre pieno, perché come va via un paziente ne arrivano altri due, e non c'è tempo di stare a pensare a molto più di quello di cui devi occuparti al momento. Così il tempo passa e la giornata, rapidamente, finisce.

Di Riccardo, so che l'intervento - almeno quello - è andato bene. Da lì in poi farà il suo percorso, e io gli auguro che arrivi di botto tutta quella fortuna che finora gli è mancata. Vorrei dirvi che siamo ottimisti, che ci sono ottime possibilità e che abbiamo molte speranze. Vi giuro che vorrei potervelo dire davvero.

Io credo in Dio un po' a mio modo, in una maniera che non è semplice spiegare in poche parole. Ma credo anche che se abbiamo abbastanza missili da bruciare mille volte ogni essere vivente della Terra, però nemmeno un farmaco per fare secche 4 cellule del cazzo, tutto sommato tirare in ballo Dio come nei discorsi che faceva qualcuno ha poco senso. Mi sembra più il caso di guardare in faccia la realtà, ed ammettere che il male - il più delle volte - gli uomini se lo fanno da soli.

Veronica sono andato a trovarla in neurologia, dove era ricoverata.

«Ero in pronto soccorso ieri, quando è arrivata» le ho detto, dandole la mano.

Ho notato subito che adesso il braccio lo muoveva normalmente, e anche la gamba.

«Non mi rendevo conto di stare male» mi ha spiegato. «Mi hanno detto che ero paralizzata, ma non me ne sono mai accorta».

Per quel poco che riesco a vedere, mi pare che i danni dell'ictus siano regrediti del tutto. Un successo che capita di rado: metti in moto un percorso, e ogni cosa cade al suo posto in una successione di eventi perfettamente in sintonia e allineati.

Nel turno successivo, in pronto soccorso, trovo di nuovo Mario. Il dottore di cui parlavo prima.

Sudato, ansimante, praticamente in coma. Attaccato a delle macchine che mandano responsi bruttissimi, qualche farmaco per far pompare il cuore quel poco che ancora può.

Mario sta morendo. Come avrà visto morire tanti suoi pazienti, in tutti i suoi anni di professione. Né più, né meno: stesse cause, stessa malattia, stesso risultato. Ha accompagnato tante persone lungo il medesimo percorso, e forse tutto sommato la sua calma di pochi giorni prima dipendeva anche da quello: dalla consapevolezza di qualcosa che deve accadere.

E un po' mi rivedo in lui: lo stesso lavoro, le stesse scelte. Io il medico e lui il paziente, all'interno di ruoli che vengono continuamente ribaltati.

Un po' mi rivedo in Veronica, nella speranza che vada tutto esattamente alla perfezione, il giorno che ne avrò bisogno. E un po' mi rivedo anche in Riccardo, per la paura di tutte quelle cose che uno non vorrebbe mai nemmeno lontanamente pensare.

Siamo tutti sulla stessa barca. In mezzo alla stessa tempesta. In un mondo in bianco e nero che ogni tanto ci sospinge dolcemente, e ogni tanto ci spazza via.

Facciamoci coraggio, e andiamo avanti.

Simone

25/06/14

Da ingegnere a medico.

Strumento magico costruito da ingegneri NON civili.
Nel 2007, come ingegnere, mi occupavo di prevenzione incendi e di pratiche relative all'isolamento termico di appartamenti e villini.

Detto in soldoni prendevo delle fotocopie, compilavo tabulati standard al PC, realizzavo disegni così come da normativa, firmavo moduli prestampati e rilasciavo "documentazioni richieste" all'ufficio competente del caso.

Come ingegnere avevo provato un paio di volte il concorso per i Vigili del Fuoco, non riuscendo però a entrare.

Una delle prove classiche del concorso prevedeva il progetto di un edificio in cemento armato, e ricordo benissimo un momento particolare mentre scartabellavo come un forsennato sul prontuario dell'ingegnere in cerca del giusto quantitativo di ferri da inserire in una trave:

La scena che si allarga, centinaia di candidati tra fogli, libri, calcolatrici e documenti. Io che sono 8 ore che faccio calcoli astratti per il progetto irreale di una struttura inesistente e che d'improvviso, mi chiedo: ma che cazzo ci faccio, qui?!

Il colpo finale l'ho avuto dopo aver preso la qualifica di tecnico antincendi: 5 anni di università, 2 anni di iscrizione all'albo, 120 ore di corso post laurea con tanto di esame dato due volte perché mi avevano pure segato visto che - diciamo la verità - non avevo studiato un accidenti.

Convintissimo che il mio percorso di studi mi avesse dato accesso a chissà quali elitarie vette professionali, vado al mio primo convegno e mi ritrovo circondato da scolaresche degli istituti tecnici - presto abilitati a svolgere il mio stesso e identico lavoro di scartabellatore di pratiche - e giusto qualche collega anziano che si litigava con i ragazzini i gadget che regalavano agli stand.

Fare l'ingegnere civile, nel 2007, per me era semplicemente questo: tanta frustrazione, e la sensazione che quello non fosse il mio posto.

Nel 2007 facevo anche il volontario della Croce Rossa. Andavo un po' con il 118, ero istruttore di rianimazione cardiopolmonare, ho tenuto qualche lezione di primo soccorso e insegnavo - nei limiti delle mie capacità - agli altri volontari come si va in ambulanza.

Che poi non voglio passare per quello con chissà quale spirito altruista, e non è neppure che avessi tutta questa passione per il mondo della sanità e del soccorso: quando sono entrato in Croce Rossa, l'ho fatto solo perché avevo un sacco di tempo libero. Perché cercavo qualcosa che mi gratificasse più del mio normale lavoro, e anche perché non ero entrato nei pompieri, ma mi piaceva troppo quella sensazione di quando succede qualche casino, ti chiamano, e tu arrivi di corsa a sirene spiegate e pregando che non sia proprio quella la volta buona che ti fai male.

Per cui, insomma, potremmo suddividere il mio percorso pseudopatologico in una serie di tappe fondamentali:

1) Laurea in ingegneria con relative esperienze professionali generalmente deludenti.

2) Servizio militare nei vigili del fuoco, dove scopro che un lavoro un pochettino più movimentato dell'ingegnere seduto davanti al PC - tutto sommato - mi piace.

3) Ingresso in Croce Rossa dopo la fine del militare.

E fin qua, e in tutto questo, sottolineerei come non fossi contento per niente. Non stavo bene, non ero sereno, stavo sempre incazzato, ero scontroso e - diciamolo - con quel caratteraccio, iniziavo pure a stare sui coglioni un po' a tutti.

A 27 anni non avevo fatto altro che farmi un mazzo così appresso a cose che non mi avevano realizzato minimamente per niente, e stavo - lentamente - iniziando a capire che avevo assolutamente toppato tutto e su tutta la linea.

A parte, dicevamo, la Croce Rossa.

Entrato - credo - nel 2003, tanto per e tanto per fare qualcosa, alla fine ho iniziato a ri-trovarmi. Facevo un turno in ambulanza, e tornavo a casa contento. Tenevo una lezione a un corso, e mi piaceva. Seguivo un aggiornamento e - per quanto stancante - mi trovavo interessato. Per la prima volta nella mia vita, scoprivo di avere un impegno che arrivavo addirittura a trovare divertente.

E così ho iniziato a trovarmi a contatto con i dottori. Vedevo quello che facevano, e tutto quel mondo fatto di scienza/non scienza, matematica senza numeri, fiale, alambicchi, tubi, marchingegni elettrici e strumenti pseudo-magici mi affascinava.

Mi affascinava, e col tempo ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto avere il loro stesso ruolo, trovarmi al loro posto. In fin dei conti, avrei potuto studiare anche io per fare le loro stesse cose: perché non lo avevo fatto? Ero un ingegnere che si ritrovava ad appassionarsi per la medicina, ma che non aveva le qualifiche e le conoscenze e i titoli per andare oltre il proprio ruolo.

Ma adesso spezziamo una lancia a nostro favore: gli ingegneri, una cosa - almeno una - la sanno fare meglio di tutti. Perché l'idea dell'ingegnere, tutto sommato, è solo quello: trovare delle soluzioni.

Volevo più qualifiche di tipo sanitario, e la soluzione - ai miei occhi - era la più semplice del mondo: acquisire altre qualifiche di tipo sanitario. Che pare una stronzata, ma prima di realizzare che l'unica soluzione era rimettersi a studiare, mi ci sono voluti degli anni.

È iniziato così un percorso in cui cercavo ovunque idee per master, corsi, certificazioni, abilitazioni e chi più ne ha più ne metta. L'idea era di imparare a fare qualcosa da applicare in campo sanitario, e allora c'era il master in Ingegneria Clinica di qui, la scuola di Ingegneria Biomedica dall'altra parte, l'idea di studiare elettronica da solo... insomma, un po' di tutto. Dubbi, incertezze, perplessità, intanto che il tempo passava.

C'è voluto l'unico parente medico della famiglia per puntualizzare e chiarire - finalmente - la questione: io ero andato lì a mostrargli i volantini di non so che corso noioso e inutile sulla gestione dei macchinari ospedalieri. E lui: "se vuoi fare il dottore", mi ha detto, "l'unico sistema al mondo, è quello di laurearti in medicina".

Né più, né meno. Dal problema, alla soluzione. Da una vita da persona disillusa, scontenta e sconfitta, al sogno - perché un sogno era, visto il terrore che avevo di fare questa scelta - al sogno dicevo di un nuovo percorso, gratificante e pieno di soddisfazioni.

Sono andato a parlare con un primario dell'università, e lui mi ha detto: "se lo vuoi fare, fallo. Ma pensa che i 6 anni saranno 6 anni completi, perché con la laurea in ingegneria non ti riconoscerano praticamente nulla".

Sono andato a parlare con un professore di Ingegneria Biomedica, e lui mi ha detto: "sei già ingegnere: ti iscrivi alla specialistica, per i crediti che ti mancano vieni da me e ti dico cosa studiare. Ci metterai un 3 anni in totale, ma scoprirari che ingegneria - adesso - è più facile di quando l'hai fatta tu".

Dopo tutti questi incontri e queste discussioni, ho passato intere nottate insonni a pensare a 6 anni di studio completamente da zero, contro solo 3. Un'intera - interminabile - laurea da medico, oppure solo mezza laurea da ingegnere, con tanto di professori/colleghi dalla mia parte.

Notti insonni al termine delle quali - grazie a Dio - ho realizzato quale immensa stronzata stavo facendo soltanto a voler pensare di potermi iscrivere a ingegneria di nuovo... e alla fine, insomma, ho deciso: avrei provato a diventare un dottore.

In questo presupposto, ero a dir poco oberato da una quantità incalcolabile di paure, dubbi, incertezze. C'erano 10000 incognite da affrontare, a partire dal riuscire in qualche modo a dirlo ai miei senza fargli venire un infarto, dal riuscire a entrare e dal trovare la forza di rimettersi sui libri.

E a quel punto ho affrontato la cosa - di nuovo - con un approccio ingegneristico, scindendo il problema in tanti piccoli sotto-problemi più semplici: prima di tutto avrei provato il test di ammissione. Poi avrei provato a seguire i primi corsi. Poi avrei tentato o primi esami. Poi avrei cercato di prendere in mano un ago senza svenire... e così via, un pezzo alla volta, per 6 anni, e possibilmente fino alla fine.

Di quei giorni, ricordo quel senso di anticipazione. Quel "chissà come andranno le cose". Quel brividino sopra lo stomaco e dietro la schiena che ti ricorda che domani non sai bene cosa ti aspetta, ma che sei comunque curioso e con la testa piena di possibilità, e non vedi l'ora che quel domani - finalmente - arrivi.

C'era tanta incertezza, quando sono andato sul sito dell'università a iscrivermi al test. Ma in quella incertezza ero già più sereno, e nel dubbio più tranquillo. E da quel punto in poi - piano piano e senza quasi rendermene conto conto - ho rimesso in moto la mia vita. E dopo di quello, è stato tutto già un po' in discesa.

Simone

13/06/14

L'ultimo esame.

...ma poi ti ricordi che devi passare in segreteria.
L'ultimo esame è stato stressante come il primo.

O come il quinto. O il decimo... o il sessantatreesimo, che sommando tutte le materie di Ingegneria e Medicina, era quello che ho dato 3 giorni fa.

Mi hanno chiamato per primo a fare l'orale della parte di medicina. Poi il mio foglio è finito sotto a tutti gli altri, e mi hanno chiamato quasi tra gli ultimi a fare l'orale della parte chirurgica.

Un'attesa interminabile mentre chiamavano a mano a mano tutti gli altri, pensando che se andava male toccava rifarlo, se toccava rifarlo non era finita, se non era finita passavo tutto il mese di giugno ancora sui libri a studiare. Un incubo.

Poi, alla fine, è stato anche più facile del previsto. Ed è andata.

Ultimo verbale, ultima ricevuta col voto scritto sopra, e ultima firma del professore sul libretto. E quella sensazione fantastica di esserti scaricato giù dalla schiena e in un colpo solo tutto il peso della Terra, che ti portavi dietro da chissà quanto.

Per un paio di minuti sono stato in una sorta di Nirvana studentesco, in cui tutti i problemi del cosmo si erano improvvisamente dissolti, lasciandomi immerso in un'aura di beatitudine. Finiti gli esami: basta notti sui libri. Basta interrogazioni che non sai mai cosa ti chiedono. Basta tutto, e adesso: aria.

Poi dopo un po' pensi che manca ancora da discutere la tesi, e che ti aspettano quelle 5000 domande dell'esame di stato da imparare a memoria... e un pochino diciamo che l'entusiasmo ti passa. Ma - per l'appunto - davvero solo un pochino.

Poi pensi che è quasi finito anche questo percorso. E che se da un lato questa storia della seconda laurea mi ha mezzo devastato la vita per 6 anni pieni, dall'altro lato me l'ha anche decisamente riempita. L'università è un periodo bello, e viverla due volte è una fortuna che tocca davvero a pochi.

E poi ti guardi intorno. Vedi i compagni di corso con cui hai passato tutto quel tempo, tutto quello stress, gli esami, le litigate con la segreteria, i casini coi professori... e pensi che qualcosa - di tutto questo, e di tutte queste persone - davvero, ti mancherà.

Finita la verbalizzazione, organizziamo una mezza serata per festeggiare. Saluto tutti, e andando via faccio il giro "lungo". Quello che non va direttamente all'uscita, ma che passa per il corridoione grande, in mezzo a tutti i reparti.

Mi piace attraversare l'ospedale prima di uscire, ed è un percorso che ho fatto decine di volte. Cammino con calma incrociando pazienti, barellieri, dottori, famiglie al completo... un po' una cartolina di tutta l'umanità che passa le giornate tra queste pareti, vecchie più di cent'anni.

Lungo la strada sorpasso un gruppetto di specializzandi. Poi passo in mezzo a qualche medico in camice, e ancora accanto a qualcuno con la casacca verde da sala operatoria.

Incrocio tutti quei dottori che ho sempre visto molto da lontano, e che ai primi anni di università guardavo con soggezione: io lo studente anzianotto che ha iniziato tardissimo, loro i medici e i professori già arrivati, nel mezzo della professione.

Oggi quel muro di esami, materie e libri interminabili che ci separava non esiste più, e per la prima volta sento che sono un po' come loro, e che anche loro - sperando che nessuno si offenda - sono diventati un po' come me.

C'è chi si iscrive a medicina sperando nel successo. Chi per i soldi. Chi per aiutare il prossimo. Qualcuno si iscrive a medicina per accontentare i genitori. O perché non ha mai trovato qualcosa che lo appassioni davvero, oppure perché sogna il giorno in cui potrebbe salvare la vita a qualcuno.

C'è chi si iscrive a medicina perché è innamorato delle serie televisive. Chi per sentirsi migliore degli altri. Perché ha provato il test tanto per provare, o perché non ha mai avuto nessun altra aspirazione, nella vita, che non fosse quella di diventare un dottore.

Io mi sono iscritto a medicina per diventare la persona che volevo essere. Solo e soltanto questo. E a questo punto, quello che cercavo, credo davvero di averlo trovato.

Simone

06/05/14

Le idee un po' più (o meno) chiare.

È da aggiornare ma c'è pure il Glasgow, che non me lo ricordo mai.
Periodo universitario davvero moscio, che si riflette sull'altrettanta moscitudine del blog.

C'è che tra feste, ponti, primimaggi e quant'altro avremo fatto 2 lezioni e mezzo tirocinio in un mese.

Non che mi dispiaccia un periodo meno stancante in cui - sostanzialmente - alzarmi quando mi pare e studiacchiare con calma per tutta la giornata (se non si tratta di fare qualche grigliata o picnic all'aperto), ma diciamola tutta: tra un po' finisce il corso di laurea, e non è che questo semestre abbia portato chissà quale miglioramento teorico, pratico o professionale.

Sto studiando medicina legale, che tutto sommato sono argomenti nuovi e importanti che un medico deve conoscere. Ma - mi chiedo - un medico che sa cosa deve fare in caso di decesso di un suo assistito o che tipo di casini legali dovrà affrontare se qualcuno è insoddisfatto di lui (o se ha fatto qualche cazzata), è davvero un dottore più bravo?

Certo, sì, ammettiamolo. Un dottore deve sapere anche queste cose. Ma mi sembra di girare sempre intorno alla professione, più che affrontarla.

Stessa cosa per le altre materie e tirocini: l'altro giorno c'è stato un professore che ci ha fatto vedere un po' di elettrocardiogrammi in aula.

«Che cosa vedete qui?» chiedeva, di volta in volta.

Silenzio totale da parte di tutti. Non perché fossero elettrocardiogrammi particolarmente difficili da leggere (e sono convinto che tanti studenti sappiano farlo molto meglio di me) ma perché a pochi piace rispondere alle domande dei docenti.

A me invece chissà perché piace rispondere e mettermi al centro dell'attenzione. Forse è un mio problema o eccesso di ego o comunque una patologia che spiegherebbe anche l'esistenza di questo blog... ma insomma visto che non parla nessuno ci provo io:

«Blocco atrio-ventricolare» dico, e ci prendo.

Altro ECG, altra domanda:

«Cos'è?»

E io:

«Fibrillazione atriale» tipo, che non mi ricordo.

Terzo elettrocardiogramma, e ormai pare tipo la lezione privata di cardiologia tra me e il professore.

«Ci sono le T invertite, sottoslivella o sopraslivella o non lo so... è un infarto».

«Che tipo di infarto?»

Ecco. Per poterlo dire, devi ricordarti più o meno come stanno messi i numerini degli elettrodi dell'elettrocardiografo, così da risalire a quali coronarie e parti del cuore corrispondano. Solo che io a memoria non me le sono mai riuscite a imparare. Per cui, con tutta la tranquillità del mondo, prendo il cellulare e cerco lo schemino che mi sono fatto proprio su queste cose.

E il prof. mi s'incool@.

«Ma che fai? Guardi sul telefono?!»

Risate generali, figura di guano col mondo intero dei giovani neolaureandi futuri colleghi dottori, cazziatone di mezz'ora col prof che mi dice che le devo sapere a memoria e all'esame me le chiede e se tiro fuori il telefono mi cionca le mani. E io che ancora rispondo alle domande che fanno in alua: bravo coglione.


Il problema è che la mia visione forse ingegneristica o forse del tutto personale della cosa, è che finché arrivo al risultato voluto il sistema è comunque efficace. La visione medica è che non serve essere efficaci ma bisogna conformarsi a quello che fanno gli altri, così poi da essere facilmente selezionati sulla base di questionari standard e domande a risposta multipla oppure potersi facilmente giustificare in sede processuale.

Ecco, ma arriviamo al punto che se no non finisce più: questi corsi, questo episodio e tanti altri, mi hanno chiarito credo un po' le idee. Del tipo:

- Se sono fuori dagli schemi, non posso pretendere di rientrarci. Ergo se arrivo da una prima laurea, ho un modo di pensare diverso dagli altri dottori, ho un atteggiamento un po' - diciamolo - del cappero e insomma pretendo di fare le cose a modo mio, poi non posso pretendere di rientrare nei meccanismi che ho volutamente evitato... tipo il discorso specializzazione e assunzione nel sistema sanitario nazionale.

- Lezioni, corsi, master, esami eccetera non mi insegneranno mai un piffero.

L'unico modo per imparare - per me - è stare a contatto con la realtà lavorativa. Andare in pronto soccorso o in reparto, trovare persone disponibili che mi facciano fare cose nuove, e imparare così.

In tutto questo, credo che ci siano 2 strade possibili per il post laurea nel mio progetto di un miglioramento continuo come dottore:

1) Andare in un posto che mi piace, ma che mi piace davvero. Lavorarci anche GRATIS, e imparare dalle persone che sono lì cose che poi sfrutterò privatamente, perché nel pubblico non vedo grosse possibilità.

2) Entrare in specializzazione e passare 4-5 anni quanti sono in mezzo a un posto che mi piace dove posso imparare da qualcuno e - per di più - mi pagano.

Insomma, visto? Dopo anni di commenti, consigli, discussioni, link e quant'altro, mi avete finalmente convinto che la specializzazione potrebbe - al limite - forse essere la scelta un pochino migliore per un medico neolaureato.

Ritenendo pur tuttavia ancora e personalmente che per situazioni come l'aneddoto sopra citato io in specializzazione non enterò mai (dubito che mi faranno usare il cellulare durante il concorso) direi che ora che mi si stanno chiarendo le idee potrei o dovrei iniziare a cercare un posto di cui al punto 1, e vedere se e come potrei trovare il modo di frequentarlo.

Insomma, ma che ho scritto?! Alla fine è stata più una mia riflessione personale che un post, almeno mi pare. Spero che ci abbiate capito almeno qualcosa.

Nel qual caso che così fosse - ovviamente - siete invitati a dire la vostra opinione.

Simone

29/04/14

Un po' preoccupato.

E vabbe': non COSI' preoccupato!
È già da un po' che vado in giro dicendo che ho quasi finito gli esami.

Che la tesi è praticamente finita (a questo ho dedicato un post proprio 2-3 giorni fa), che sto in dirittura di arrivo, che manca poco... e che insomma questa specie di sogno o miraggio o delirio psicotico (a seconda di come lo volete vedere) della seconda laurea in medicina, sta incredibilmente per avverarsi.

E a questo punto credo - o immagino - che tutti pensino che io mi senta strafelice.

Realizzato, contento, euforico... quante ne volete dire? Avevo un obiettivo lungo, importante e difficile, e sono quasi arrivato a raggiungerlo: come altro dovrei sentirmi?

Be', il titolo la dice tutta, no?

Sono - un po' - preoccupato.

Preoccupato perché sì, ok, tutti i discorsi che abbiamo fatto sulle possibilità post laurea anche senza una specializzazione. Corsi, master, reparti da frequentare e tutta una serie di alternative. Ma se poi, nella pratica gira tutto storto?

Non è che pensi davvero di non trovare lavoro come medico. Anzi: come dirò tra un attimo, trovare lavoro sarà anche fin troppo facile. Ma il pensiero comunque di non trovare qualcosa che mi gratifichi appieno c'è sempre in un angolino del cervello, e - insomma - non è piacevolissimo.

Sono anche preoccupato perché ho passato tanto tempo in reparto. Ho studiato, mi sono appassionato di molte cose, e ce l'ho davvero messa tutta per imparare a essere un dottore per lo meno decente.

Però - in tutta sincerità - non mi sento davvero così pronto a mettermi lì e a fare le cose completamente da solo. Non mi sento così autonomo e preparato all'idea di dare una terapia, nell'eventualità dover seguire un paziente con tante patologie, o al pensiero di affrontare un'urgenza medica senza la supervisione di qualcuno più esperto.

Ci vorrebbe un lavoro o un'occupazione post-laurea che mi consentisse di fare pratica ed esperienza senza avere direttamente io tutte le responsabilità. Magari come assistente di qualcuno, o in un gruppo già affiatato, o non so che altro.

Invece la sensazione è che una volta laureato o entri in specialità (della quale penso abbiamo parlato anche troppo) oppure rischi di finire a lavorare in dei posti dove ti sparano praticamente da solo in mezzo alla guerra, e se sai fare le cose bene o se no: arrangiati.

Davvero penso che sarà facile trovare un lavoro qualsiasi. Molto meno facile trovare un lavoro che invece sia proprio quello che potremmo definire "giusto".

E sono un po' preoccupato anche perché - alla fine - tutta questa trafila di studiare per prendere una laurea, andare al tirocinio, fare gli esami e tutto il resto è anche una cosa che mi ha riempito la vita più di quanto potessi immaginare.

Certamente sarà faticoso e a molti potrà non piacere avere tanti impegni da seguire: le giornate buttate dietro alle lezioni, l'ospedale giorno e notte, e non avere mai un buco di tempo libero in cui rilassarsi con calma, senza il pensiero che - invece di stare lì a poltrire - forse faresti meglio a studiare.

Però poi penso che magari dopo la laurea non troverò subito da fare chissà cosa. Non ci sarà motivo di chiudersi sui libri per giornate intere, non avrò pomeriggi prenotati dalle lezioni o mattine in cui alzarmi di corsa perché sono già in ritardo per il tirocinio.

Ma io senza un obiettivo, senza un impegno e senza qualcosa a lungo termine di cui occuparmi non ci so stare. E se poi, dopo la laurea - semplicemente - mi annoio?

E insomma: qualcuno potrebbe dire che, ora che l'obiettivo si sta avvicinando, me la sto facendo sotto. E forse è davvero un po' così.

Che poi non è che non sia contento, anzi! Questa seconda laurea in medicina mi ha cambiato la vita a un punto tale che mi sentivo già realizzato uno o due anni fa. Voglio dire: c'è stato un periodo in cui non avevo neanche lontanamente finito, ma nel quale ho capito di aver fatto la scelta giusta. E in quel momento - probabilmente - avevo già raggiunto un qualche traguardo intangibile che stava nascosto tra l'iscrizione e la laurea.

Nel rileggere il blog, riesco anche quasi a identificarlo, questo periodo. Probabilmente un po' prima e un po' dopo di quando ho scritto questo post. O forse è arrivato più tardi, o ancora forse era così già da un po' di tempo, ma è più o meno in quell'epoca che me ne sono accorto.

Vabbe', forse ho fatto un po' troppi giri di parole un po' campati in aria. In ogni caso la laurea vera e propria, il voto che prenderò e la pergamena che mi daranno, sono solo formalità burocratiche che devo portare a termine. Ma quello che cercavo nell'iscrivermi a medicina, per tanti versi, credo di averlo trovato già da un bel pezzo.

Certo è che sarò contentissimo il giorno della discussione della tesi. E se ce la faccio davvero per Luglio, vuol dire che questa estate la passerò in una sorta di beatitudine mentale tra mare, viaggi, vacanze, feste e baccanali e che chi più ne ha più ne metta.

Però - insomma - un po' di preoccupazione per davvero c'è, e un po' di pensieri continuo a farmeli. E credo anche che questa riflessione fosse necessaria.

Simone

25/04/14

Seconda laurea in medicina: ho finito la tesi!

Non trovate esaltante l'ecografia polmonare? Lo immaginavo...
Aggiornamento breve e intra-festivo, solo per dirvi che l'altro giorno ho fatto l'ultima revisione del lavoro con il primario.

Il prof mi ha dato qualche piccola correzione che ho fatto al volo, e - insomma - ho finito.

Adesso metto tutto da parte per concentrarmi sugli ultimi esami. Poi, finiti quelli, bisognerà giusto preparare le diapositive per la presentazione... ed è fatta.

Perciò alla fine finita pure la tesi restano da fare Medicina Legale (a fine Maggio). Medicina d'urgenza a inizio Giugno, e Medicina e Chirurgia 3 a fine Giugno.

Se va tutto bene e se per questo riesco a laurearmi a Luglio posso prendermi l'estate - come già dicevo tempo addietro - per farmi una bella vacanza... e a Settembre/Ottobre riattaccare con la trafila per il tirocinio ed esame di stato da fare a Febbraio 2015.

Tutto sta allora togliermi ste ultime materie del cavolo. Ammetto che l'interesse per lo studio è ormai esaurito (ma da anni) e davvero l'unico stimolo a mettermi sui libri me lo dà il desiderio di prendermi 'sta laurea e non doverci pensare mai più.

Mancano tre esami, e tre esami in 2 mesi che si possono fare... o meglio si devono fare.

Non c'ho voglia, gli appelli sono tutti appiccicati, le materie non mi piacciono e tutto il resto, ma ce la farò.

E così poi sta cosa assurda della seconda laurea ce la siamo tolta... che - dopo 6 anni - iniziava ad andare per le lunghe.

Simone

10/04/14

Le abilità pratiche per fare il medico: aggiornamento.

Reperto di antico prelievo venoso venuto male.
Non so quanto tempo fa (non mi va di cercare il post) avevo parlato delle cose che stavo facendo in reparto, delle prime e banali abilità pratiche che stavo "assumendo" un po' per osmosi dalle persone più esperte che stavano attorno a me, e di quelle che - a parere mio - erano le cose che un laureato in medicina dovrebbe saper fare.

Ora dubito molto di aver raggiunto le capacità manuali anche minimamente necessarie per fare un qualsiasi lavoro sanitario (dal chirurgo a quello che pulisce i bagni) ma visto che il blog è più uno spazio di riflessione che altro riscriverei questa sorta di checklist, farei il punto della situazione e proverei a capire dove è possibile spingere un po' di più per migliorare.

Immagino di essere stato adeguatamente confuso, tuttavia andiamo avanti:

Elenco delle capacità pratiche che dovrebbe avere un medico neo-laureato... e delle mie:

1) Prelievi venosi, emogas, cannule e buchi vari.

Il prelievo è la cosa base che si pensa un dottore debba saper fare. A lezione/tirocinio in 6 anni ci hanno fatto fare un prelievo virtuale su un manichino senza nemmeno il sangue finto che usciva fuori (dovevi capire da solo se avevi preso la vena o no) e ora si vocifera che organizzeranno forse degli incontri aggiuntivi per andare in reparto a fare un prelievo sulla gente vera... ma tutto sommato spero di laurearmi prima.

Se pensiamo che il prelevatore (dottore che fa i prelievi alla gente nei laboratori) è un mestiere, potremmo facilmente fare 1 + 1 e pensare che forse anche se non te lo insegnano un prelievo conviene saperlo fare lo stesso... e insomma, io in reparto ho provato tanto a fare pratica coi seguenti risulati.

- Prelievo stupido (quello con l'ago e basta): infili l'ago e tiri via il sangue. Vabbe'. In reparto in realtà non si fa quasi mai. Ho provato una volta e ci sono riuscito, direi che non sia l'abilità medica più complessa del mondo.

- Prelievo con l'agocannula: infili la cannula nella vena, e da quella cacci fuori il sangue. In reparto si fa sempre così (perché poi la cannula rimane e puoi usarla per fare le terapie), ma è la cosa più difficile al mondo.

Cioè prima c'è la microchirugia dei vasi, poi c'è il trapianto combinato cuore polmoni e solo dopo - quando uno è bravo bravo bravo - puoi riuscire a mettere le agocannule.

Io un po' ne ho messe, e diciamo che se il paziente ha le venone giganti in genere ci riesco pure. L'ultima volta ho giusto scordato di togliere il laccio emostatico al momento giusto e ho allagato il pronto soccorso col sangue che spruzzava e pioveva lungo i muri... ma per fortuna il paziente era simpatico, e non s'è incazzato.

Con le vene difficili e che non si vedono invece chiamo gli infermieri, e la cannula la mettono loro. Che pure questa è una fantastica soluzione per saper lavorare benissimo... anche se poi all'infermiere lo pagano a lui.

Emogas: vi ho parlato per mesi dell'emogas, quando stavo imparando. Diciamo che lo so fare e lo so pure leggere e mi viene sempre. Quasi. E non ne parlo più. Quasi.

Accessi arteriosi: sarebbe l'emogas con l'agocannula, un mix delle 2 cose. Forse di interesse più specialistico che di un semplice medico laureato (anche pure questi li mettono gli infermieri), ho provato qualche volta e direi che è più facile delle cannule venose. Bisogna fare patica, ma insomma: se po' fa'.

2) ECG: l'elettrocardiogramma lo so fare e lo so all'incirca leggere. A parte quando ancora sbaglio a leggerlo e finirei in galere... ma sono sottigliezze.

3) EEG: l'elettroencefalogramma da noi lo fa un tecnico appositamente preparato. Io so riconoscere giusto se il paziente è deceduto... e insomma il vostro EEG - nel caso - fatelo leggere a un neurologo.

4) Visite mediche: in generale ho praticato un bel po' il fatto di vedere e valutare i pazienti. Credo di saper più o meno distinguere uno scompenso cardiaco da un ictus o da una crisi epilettica... so facicchiare un esame neurologico, inquadrare alla meno peggio un paziente e vedere insomma come sta.

La divisione netta tra pazienti medici e chirurgici fatta dall'ospedale comporta che la valutazione di patologie di interesse chirurgico non mi è toccata praticamente mai (per dire, se un ernia va operata o puoi mandare a casa il paziente. Vedere endoscopie, valutare la TC di un trauma eccetera). Penso sia un problema grave che l'università ignora totalmente, formando chirurghi che non sanno nulla di medicina (letteralmente) e medici che per metterti un cerotto devono chiamare l'ambulanza.

L'unica soluzione che ho trovato è risolvere la cosa da me, frequentando i box chirurgici del pronto soccorso, anche se non vale sempre la pena passare lì una giornata intera: magari vedi solo codici verdi che manco vanno visitati, oppure capita solo gente che va dritta in sala operatoria, e non vedi una mazza lo stesso. Probabilmente avrò più tempo per fare pratica in questo senso nel primo anno dopo la laurea, se continuerò a frequentare sempre gratis e sempre per conto mio in aggiunta a tutto il resto... ma insomma: è un po' deprimente, come cosa.

5) TAC, RX, Ecografia e immagini varie: penso che sull'ecografia - grazie alla tesi che sto facendo - sto iniziando a prenderci un pochettino. Anche questa non è una capacita medica di base e si potrebbe dire che poteva essere lasciata al post-laurea... anche se - per come la vedo io - non saper usare l'ecografo, oggi come oggi, inizia a essere una lacuna abbastanza letale.

RX e TAC ne ho viste tante, e diciamo che me la cavicchio. Il problema è che magari se stai in un dato reparto vedi sempre immagini relativi a certe patologie... mentre per le altre dovresti 1) girarti altri reparti 2) trovare il medico che si guarda EFFETTIVAMENTE le immagini invece che leggere solo il referto. Insomma: il solito mega-lavoro da fare per conto proprio... ma più o meno sono quasi parzialmente soddisfatto.

6) Punti, suture, medicazioni: come al punto 4. Ogni tanto vado dai chirurghi e vedo qualcosina. Tempo 35-40 anni e sarò diventato bravissimo...

7) Il punto sette? Bo'?! Che altro deve saper fare - di base - un medico appena laureato, secondo voi? Io penso di aver detto sutto.

Ma se avete qualche idea, fatemi sapere: che da qui alla laurea c'è ancora tempo per fare qualche altro tirocinio.

Simone

25/03/14

Ancora sulle alternative alla specializzazione.

Strumento utile per mettersi in privato.
Oggi ri-parliamo (ancora) delle alternative al percorso standard da medico neo laureato che si abilita, vince il concorso in specializzazione (magari), si specializza, lo chiamano subito ovunque a lavorare (col piffero) e diventa un super luminare della medicina nel proprio campo e tutti lo cercano e lo pagano e scrive libri e fa i convegni... e poi si scopre che invece era tutto un sogno e non ha passato manco il test di ammissione. Ah, ah!

Insomma un elenco di mie idee alternative da - eventualmente - studiarsi meglio e approfondire da qui fino ai prossimi mesi:

ALTERNATIVE ALLA SPECIALIZZAZIONE DOPO LA LAUREA IN MEDICINA (titolone altisonante per raggirare i motori di ricerca):

1) Andare all'estero.

La soluzione più ovvia (si fa per dire!) almeno dal punto di vista delle idee che a uno gli vengono in mente quando sta nel paese proprio e scopre che nel paese proprio non funziona una minchia.

A me piacerebbe un posto col mare e col sole e vicino alla spiaggia e dove si mangia bene e ci sta un sacco di gente simpatica, belle ragazze e cose così... insomma se andassi all'estero me ne fregherebbe poco davvero degli aspetti legati alla medicina e mi concentrerei più sullo scegliere il posto in sé.

Prime idee: Costa Azzurra, la Spagna, i Caraibi, Fregene (quest'ultima era una battuta).

Punto a sfavore: vai all'estero, ricominci da capo, non conosci nessuno, stai da solo: tristessssssssss...

2) Fare dei corsi che diano qualifiche da utilizzare nel privato.

Una prima idea sarebbe un corso da ecografista della SIUMB.

Impari a usare l'ecografo (che già so usare in effetti... diciamo che impari meglio e hai un pezzo di carta). Poi vai in qualche posto a fare le ecografie e ti pagano. La vedo bene anche come una cosa da fare in privato, nel proprio studio.

Punto a sfavore: fai le ecografie. 10, 200, 4000 ecografie. Finisci a guadagnare tanti soldi a fare ecografie di routine e controllo, quello che chiamo sempre la medicina inutile per pazienti sani. E ti fai 2 palle così...

Altri corsi interessanti non ne ho ancora trovati, ma di sicuro ci saranno cose che puoi imparare da te e poi rivenderti. Comunque ammetto qui sono un po' troppo sul vago.

3) Fare un master.

Tra master e corsi, la differenza alla fine non è che sia molta. Ci sono master in endoscopia, in cura del paziente diabetico, in cardiologia, in ecografia (basta!!!!!!) e chi più ne ha più ne metta.

Io farei il master in medicina d'urgenza. Non perché tutto sommato mi attragga in maniera particolarmente travolgente il master in sé e per sé, ma perché essendo già interno a un pronto soccorso e avendo iniziato un certo percorso sarebbe un po' una sorta di "prolungamento" della laurea e della preparazione prima di farmi mandare definitivamente affancuore.

Interessanti anche master di argomento internistico (diabete, cardiologia ecc) sempre nell'ottica di rivendersi poi determinate competenze nel privato.

Punto a sfavore: il master è tipo una specializzazione dove però paghi per seguire, e poi dopo 1 anno ti appendi il diploma alla parete e non ha alcun valore se non il poter dire: "aho, io de 'ste cose ce capisco na cifra: c'ho pure il mastere!"

4) Lavorare in ambulanza.

Con un'esperienza in pronto soccorso e - prima - nel volontariato, fare il medico di ambulanza sarebbe quasi un'evoluzione "naturale". Lo stipendio è buono, le possibilità ci sono... insomma, non è una cattiva idea.

Punti a sfavore: io l'ambulanza l'ho vista sempre come volontariato. Farlo per lavoro un po' mi sembrerebbe di tornare a prima della laurea, solo con tante responsabilità in più. E poi non so quanto si possa "crescere" professionalmente in questo settore, e poi ancora a fare il medico del 118 ti ritrovi da solo, per strada, unico dottore di fronte a qualsiasi cosa: non è che io insomma ambisca eccessivamente a un lavoro del genere, ecco.

4) Lavorare in pronto soccorso.

Lavorare nei pronto soccorso (pronti soccorsi?) da semplice laureato in medicina è impossibile nei grossi ospedali, dove prendono solo specialisti.

Nelle realtà di provincia più piccole però so che lavorano anche medici di base, non specialisti. Per cui con un po' di buona volonta ci si potrebbe spostare un po' e trovare un posto dove farsi qualche periodo da precario in attesa di "meglio" o sperando nei periodici rinnovi dei contratti di collaborazione senza ferie, malattie, permessi e anzianità: evviva!

Punti a sfavore: andare in un piccolo paese non è tanto diverso rispetto ad andare all'estero, visto che lasci comunque tutto e ti ritrovi da solo. Solo che all'estero magari puoi sceglierti una città grande con più "vita", un piccolo paese è un paese piccolo e magari non è così facile costruirsi una vita privata, dei contatti e delle amicizie. Di nuovo, insomma: tristess...

5) Aprire uno studio privato.

Aprirsi lo studio è facile: dici "apro lo studio", e hai fatto. Almeno finché non si inventano che per aprire lo studio occorrono 20 mila ottemperanze burocratiche, una prova a crocette e le fotocopie delle pagelle delle elementari che dimostrino che eri bravo in condotta e in educazione fisica... ma per adesso, no: puoi aprirtelo come ti pare, e basta.

Più difficile trovare i pazienti che vengano da te a pagare cose che magari nella sanità pubblica hanno gratis.

La mia idea è quella di una medicina di base un po' più "approfondita", dove faccio ECG, ecografie e insomma cose che nel pubblico richiederebbero un sacco di tempo e tanti giri tra diversi dottori e specialisti. Pagare un po' di più per un servizio migliore, ecco: l'idea sarebbe quella.

Nella pratica questa cosa dello studio richiede in qualche modo un contatto e una pratica continua in altri posti, magari reparti ospedalieri, dove diventare effettivamente capaci a fare le cose che pretendi di offrire, e dove tenersi comunque aggiornati e in "forma" per affrontare qualche paziente che magari non presenta richieste completamente banali.

Sarebbe insomma un progetto a lungo termine, da associare ai master e corsi vari di cui parlavo in precedenza.

Punti a sfavore: lo studio privato da solo senza alle spalle un modo per fare pratica e aggiornarsi non è destinato a grossi successi. E pure trovarsi i pazienti non è che sia una cosa che fai dall'oggi al domani. E sì: sono cose che avevo già detto. Vero.

In linea di massima, come "inizio" il master in medicina d'urgenza e il corso da ecografista restano le prospettive più "papabili", almeno per iniziare. Poi bisogna cercarsi un posto dove fare pratica, e iniziare a mettere mano allo studio e a tutti i casini che ne conseguono.

Ma insomma, le idee ci sono. E la specializzazione non è davvero l'unica possibilità, secondo me.

Simone

15/02/14

La moda di studiare medicina.

Un'aula durante il test di ammissione.
Lo scorso anno, hanno tentato il test di ammissione a medicina circa 50 mila persone.

Più che altro, si trattava di studenti neo-diplomati appena usciti dalle superiori

È vero che in mezzo ci sta sempre pure qualche vecchietto come me e le tante persone che ho conosciuto attraverso questo blog, ma insomma noi 30-40 enni aspiranti universitari siamo circa l'1% del totale, e nelle logiche dei grandi numeri contiamo relativamente poco.

50 mila diplomati sono più o meno un quinto dei ragazzi che finiscono il Liceo o i vari istituti professionali o come si chiamano adesso.

Dei ragazzi che finiscono le superiori, tra l'altro, non è detto che tutti proprio tutti tutti scelgano una carriera universitaria. Molti andranno a lavorare, o comunque in ogni caso decideranno di non proseguire gli studi, per cui arrivo (ammettendo di poter sbagliare di grosso) a ipotizzare che in linea di principio circa 1 studente universitario su 3 cerchi - come prima ipotesi - di entrare a medicina.

Ecco.

E a voi sembra normale questo? Sembra una cosa - diciamo - comprensibile dati i gusti e le aspirazioni del ragazzo adolescente italiano medio?

Secondo me, a parlare senza mezze misure, è una cosa totalmente fuori da ogni parvenza di ragionamento verosimile.

Nella mia classe del Liceo - ormai (oddio!) 20 e rotti anni fa - su 28 alunni o quanti eravamo, giusto un paio si sono iscritti a medicina.

Gli altri si sono omogeneamente sparpagliati tra biologia, giurisprudenza, odontoiatria, ingegneria (tipo il sottoscritto) architettura... e a tanti come dicevo semplicemente l'università non gli interessava, e non l'hanno fatta.

Che adesso 1 ragazzo su 3, 4 o 5 voglia davvero fare il dottore è - francamente - inspiegabile.

Dico: "inspiegabile", guardando ovviamente la cosa secondo quello che riterrei essere il punto di vista delle normali e fisiologiche e salubri aspirazioni del giovane essere umano tipo. Cresci, ti diplomi, maturi delle idee, sviluppi dei gusti personali, e nella vita provi a realizzare quello che ti piace.

Non credo, non voglio credere, e non crederò mai che la maggior parte degli esseri umani ambisca a infilarsi in qualche corsia ospedaliera, e passare intere giornate a mettere le mani addosso a persone che non stanno bene.

Che un ragazzo su 3 si senta in grado di bucare, tagliare, prelevare, consolare, consigliare e anche e semplicemente veder morire qualcuno sotto ai propri occhi - cosa questa che mi è successa già troppe volte anche solo da studente - è francamente - e assolutamente - inverosimile.

Non che la passione, la voglia, il desiderio di "curare" non possano realmente esistere a quell'età. Cavoli se possono! Ma se uno è schifiltoso di tutto e gli stanno sul cazzo le persone e - che ne so - se vede uno malato gli piglia il panico, con che ragionamento razionale arriva comunque a provare in ogni caso l'ingresso alla facoltà di medicina?

Dove stanno i secchioni innamorati di formule, grafici e funzioni? La gente che adora i computer e che non vorrebbe mai fare altro nella vita che un qualcosa che comprenda uno schermo e un mouse? E quelli che vogliono un lavoro creativo? Estinti aspiranti musicisti, cantanti, scrittori... e pure i semplici fancazzisti - quelli che all'università non ci andrebbero manco morti - che fanno? Provano comunque il test.

Ma perché? Come accidenti gli viene in mente?

Io un po' di motivi me li sono inventati... oppure ci ho ragionato bene sopra o ancora - semplicemente - mi vengono in mente adesso e ve li elenco qui:

1) Ci sono 8 milioni di trasmissioni, serial e programmi sui medici, e la gente "c'è andata in fissa" come si dice in termini aulico-letterari.

2) I genitori pensano che fare il medico sia la cosa più assolutamente indispensabile del mondo, e costringono i figli a iscriversi.

3) La gente non sa semplicemente che cazzo fare della vita, e sceglie un po' tipo a caso. Per dire: io, Ingegneria, l'ho fatta così.

4) Qualcuno pensa che se ci sono 50 mila domande l'anno ne varrà comunque sicuramente la pena, e per questo ci provano pure loro.

5) I miei amici provano il test di Medicina. E allora pure io.

5) Ci sono sempre state tantissime domande per medicina. Cioè: bo'?! Magari è così ma, sinceramente, non credo.

6) Hanno tutti letto il mio blog, e di conseguenza visto il mio trainante fascino ambiscono semplicemente a seguire le mie impronte. E mi sa che qui ci ho proprio preso.

7) C'è la crisi e stanno tutti sotto a un treno. Però nell'immaginario collettivo i dottori sono tutti ricchissimi con la Porsche, il Ferrarino, la Mercedes o la Maserati a seconda dei giorni della settimana (non mi venivano in mente 7 nomi di macchine, scusate) e allora: vai. Medicina è il percorso migliore per una vita agiata in un paese allo sbando.

Che poi, voglio dire: non erano i dentisti quelli che guadagnano tanto? E già da un pezzo odontoiatria non è una specializzazione di medicina, ma una laurea a parte.

Mi sa tanto che - qualcuno - s'è confuso...

Simone

P.S.

Adesso non vi iscrivete tutti a odontoiatria: non si guadagna più così tanto nemmeno lì.

10/02/14

Sbagliare, da medico.

Forse conviene iniziare con qualcosa di facile...
L'altro giorno - che poi anzi era ieri - il prof. mi passa l'elettrocardiogramma di un paziente appena arrivato in pronto soccorso (e che io non ho ancora visto) e mi fa:

«Quarda un po' questo. Che cos'ha, secondo te?»

Io guardo l'ECG. Vedo una, due, tre derivazioni sovraslivellate e penso "sarà un infarto".

Do uno sguardo anche alle altre derivazioni, e vedo che sovra o sottoslivellano quasi tutte. L'ECG è tutto completamente "mosso".

Una vocina dentro la testa si ricorda di una cosa sentita o letta da qualche parte, e mi fa:

«Non può essere un infarto con tutte le derivazioni mosse» mi dice con la sua vocina da vocina, ovviamente. «E poi ti pare che ti chiedeva una cosa così facile? Secondo me, è una pericardite».

Insomma, il prof. mi ha presentato un caso difficile convinto che sarei caduto nella trappola. Ma io - tranquilli - non ci casco.

«Ci sono tutte le derivazioni alterate» rispondo convintissmissimissimi... insomma: molto convinto. «Perciò è una pericardite».

Detto questo punto i pugni sui fianchi, allargo i gomiti, gonfio il petto e guardo lontano come a cercare le mie glorie future: nessuno mi frega sull'ECG, a me.

La risposta del professore, però, parrebbe vagamente smontarmi:

«Ma che minchia c'entra la pericardite?!? Non lo vedi che sopraslivella? È un infarto».

Poi prende la cartella e la mette via, con un gesto che suona tipo: "fammi togliere 'sta roba prima che questo fa qualche casino".

Segue intenso momento di grande sconforto: avevo appena iniziavo a sperare di capirci qualcosa... e invece, ho toppato.

Continua la giornata in reparto, e io ci penso e ci ripenso: chi mi aveva raccontato la storia della pericardite?! 'Tacci sua! Quando uno sbaglia, l'importante è - prima di ogni altra cosa - trovare qualcun altro a cui dare la colpa. E prima o poi chi cavolo era me lo ricorderò. Forse.

Ma insomma, al di là di trovare o meno un buon capro espiatorio, ho pur sempre sbagliato io. E ho sbagliato pure di brutto, del tipo che era una cosa seria e io l'ho scambiata per un'altra cosa sempre seria, ma forse un po' meno seria dell'altra. E insomma: se ci stavo io, da solo, rischiavo che erano cazzi.

Che a me poi delle denunce che possono arrivarti o tutto il resto non me ne frega nulla: cioè, fuori da certi reparti trovi le pubblicità degli studi legali che invitano i pazienti a fare causa ai dottori, e che un medico anche bravo e che non sbaglia mai si ritrovi a combattere con avvocati e impicci legali è quasi un dato di fatto che uno accetta al momento dell'iscrizione all'università.

Ma fare qualcosa di sbagliato che danneggia un paziente - parlando insomma del fatto in sé - è ovviamente... o almeno voglio sperare che sia ovviamente, una delle preoccupazioni più grandi di tutti gli studenti e aspiranti dottori.

Poco male. Ieri, intendo. Ho sbagliato una cosa, ho riflettuto sul perché ho sbagliato, e penso di aver individuato qualche punto su cui riflettere per ridurre la possibilità che succeda di nuvo.

Che poi il post doveva essere quello: una minima introduzione, e poi un elenco di motivi che ti fanno sbagliare... ma alla fine mi sono dilungato troppo, e a voi è toccato sciropparvi questo.

È comunqe sostanzialmente questione di fare tanta pratica, ed è importante davvero iniziare avendo accanto un "paracadute" più esperto di te che ti acchiappa un attimo prima di aver combinato qualche casino.

Poi, magari, se volete ne riparliamo.

Simone

13/01/14

Il tirocinio più bello del mondo.

Gruppo di tirocinanti in attesa dell'arrivo del professore.
Tirocinio nel reparto di XXX, che non lo dico che poi magari leggono il blog e mi bocciano all'esame.

Arriviamo alle 9 e 10 circa. Cerchiamo il prof che deve seguirci, dopo un po' di giri a vuoto lo troviamo e lui:

«Venite metà con me, e metà andate dall'altro docente che sta lì, in ambulatorio Y».

Ok. Ambulatorio Y. Io e altri 2 andiamo.

Arrivati lì, ci dicono che «l'altro docente oggi non c'è, ma se aspettate un po' ne arriva un altro ancora, e potete seguire lui».

E va bene, aspettiamo.

Aspettiamo, lì in una stanzetta abbandonata che in mezzo al corridoio ci pare brutto.

Aspettiamo.

Dopo tipo mezz'ora niente: non arriva nessuno e nessun altro ci si fila.

Decidiamo di dire al primo docente della lista che il secondo docente (e il terzo sostituto) non ci sono. Per contattarlo chiamo uno degli altri studenti sul cellulare, ma lui ci dice che «ora stiamo soli, e il prof non c'è. Non so che dirti».

Bene. Aspettiamo, di nuovo.

«Io dovrei andare a casa a studiare» si lamenta uno.

«Io potevo semplicemente rimanere a dormire» piagnucola un altro.

«Sti tirocini so' proprio 'na monnezza» pensiamo, in coro.

Colpo di scena! L'altro studente mi richiama e dice che il prof ha detto che possiamo andare nell'ambulatorio Z. E si riparte.

Arrivati all'ambulatorio Z: magia! Stanno visitando un paziente. Un paziente vero, mica capperi!

E così assistiamo alla visita pure noi, per un totale di 5 studenti, due professori, due specializzandi, il paziente e la sua famiglia, tutti in una stanza di 2 metri per 3.

Poi la visita è finita, e basta: non arriva più nessuno. Non c'è più niente da fare.

Il prof è andato a occuparsi di altri impegni in altri luoghi che non conosciamo. Altri minuti di silenzio lenti e imbarazzanti, ma poi uno specializzando genialmente esordisce:

«Andate giù nel reparto W (iniziano a finire le lettere), c'è la specializzanda dell'altro professore che vi fa vedere tipo una cosa».

Bene. Vai! Tutti al reparto W a vedere una cosa! Tipo.

Peccato che - nel reparto W - la specializzanda non c'è. Non riusciamo a trovarla. Resistiamo però alla tentazione di cedere allo sconforto: blocchiamo altre due specializzande che, per caso, passavano da quelle parti, e muovendole a pietà le convinciamo a farci seguire loro.

«Stiamo andando a vedere la medicazione di un paziente» ci spiegano. «Se volete, potete venire con noi».

Ma se non mi rompevano le palle e mi lasciavano andare in pronto soccorso per conto mio, non le vedevo pure meglio le medicazioni? E lo so che adesso tutti quanti direte: e ok, è arrivato! Il solito polemico.

Insomma allora niente polemiche, ed entriamo carichi di ottimismo nell'ambulatorio... cosa viene dopo W?! Diciamo K, va'.

E insomma eccoci lì nell'ambulatorio K, ma non facciamo nemmeno in tempo a capire dove sta il paziente che arriva uno che dice: «no, regà. Gli studenti poi la medicazione è una cosa che è delicata che, cioè: non se po'!»

Dopo una traduzione all'italiano ottenuta alla meno peggio con Google Translate, comprendiamo che dobbiamo uscire. Che poi - secondo me - quello che ci ha cacciato è lo stesso che se non sai fare una cosa si lamenta che: «e no, regà: 'sti studenti 'nsanno fa' manco 'na medicazione!» Mi ci gioco quello che vi pare.

Di nuovo in un corridoio a fare nulla. Discutiamo su quanto il reparto K è supermegabellissimo, con le luci i vetri i cazzi e mazzi e la roba fantascientifica che pare dove lavorano i dottori ombrosi degli sceneggiati TV. Dove sto io, se trovi una cosa che sembra un po' più nuova è solo perché qualcuno l'ha appena rubata a un altro reparto. E se stai lì che poco poco ti adombri non fai impressione a nessuno e finisce pure che ti mandano a quel paese.

Finalmente ritornano le specializzande che abbiamo sequestrato prima, e ci raccontano ciò che hanno visto con parole chiare e vivide che restano impresse nel profondo. Credo fosse un problema a un occhio, il fegato oppure una frattura... ma comunque, insomma: qualcosa del genere.

Con le specializzande discutiamo anche del fatto che - pure loro - durante i tirocini non è che facessero chissà quali cose esaltanti. Eppure, alla fine, sono comunque arrivate proprio lì, nell'àmbito dell'ambìto reparto K. A dimostrazione che - in un modo o nell'altro - alla fine tutto è possibile.

In tutto questo, si è fatta - finalmente - l'ora.

Ci transumiamo tutti verso il reparto J. Altro professore, il più importante di tutti: quello che controlla le firme.

Firmiamo. Grazie, ciao, e arrivederci. E domattina si ricomincia.

Simone

27/12/13

Diventare un dottore.

I medici precari sono pagati in compresse di Tachipirina.
Durante l'ultima lezione del semestre, tra studenti e professori è nata una discussione lunghissima sul post laurea, concorso per la specializzazione, e (tristi) possibilità lavorative per i pochi che ancora non hanno deciso di espatriare.

Al cenone di Natale (e nei giorni successivi) più di un parente mi ha fatto il solito terzo grado su: "cosa fai dopo"? "In che ti specializzi"? "Come pensi di trovare lavoro "solo" con la laurea in Ingegneria e Medicina?"

Incontro degli amici, e di nuovo: "ma col master cosa ci fai? Perché dovrei farmi fare l'ecografia da te? Ma l'elettrocardiogramma non devi essere SPECIALIZZATO IN CARDIOLOGIA, per poterlo fare?"

Pure su Facebook, la gente mi chiede l'amicizia per farmi le stesse domande: "ma poi dopo la laurea che farai?" e lo stesso via mail. E su Twitter. E nei commenti al blog.

Ci manca giusto Instagram, ma lì forse è colpa mia che non lo so tanto usare e magari qualcuno mi chiede qualcosa ma me la perdo.

E insomma, è un po' di tempo che sembra quasi che non si parli di altro e che il discorso sia diventato un po' monotematico. Sarà il fatto dei tagli alla sanità, sarà la crisi e - soprattutto - sarà il periodo storico un po' negativo per i medici in generale.

Davvero, chi si è laureato in questi ultimi mesi rischia di ritrovarsi nell'infornata di medici più sfigata della storia: a partire dai seguaci di Esculapio alle più moderne terapie genetiche, non c'è mai stata una situazione così nera e negativa per un dottore italiano appena laureato.

In pratica ti laurei in una facoltà che già di per sé non ti dà degli strumenti per lavorare con un minimo di indipendenza. Non c'è posto per specializzarsi, non c'è posto per farsi assumere, non si può nemmeno fare il medico di base o i certificati più banali. Alla fine quello che puoi ambire nella più fortunata delle ipotesi è un posto da libero professionista precario, sottopagato, senza malattia o tredicesime o cazzi vari e schiacciato da burocrazia, tasse, assicurazioni e obblighi di ogni tipo.

Aggiungiamo pure gli assurdi fatti di cronaca recenti (che non voglio citare, ma saprete di cosa parlo) e che come sbagli a mettere un dito messo male rischi pure di beccarti denunce e procedimenti giudiziari vari... e allora stiamo veramente alla frutta.

E insomma: dopo l'entusiasmo di queste feste vogliamo passare al pessimismo totale e illimitato? No. Almeno - io - no. Assolutamente.

Io quando ho scelto di mollare quello che facevo per diventare un dottore, non sapevo realmente dove sarei arrivato. La cosa poteva durare un mese, un anno e poi spegnersi lì, oppure potevo andare avanti e finire dove sono adesso, che ormai manca poco.

Io sapevo che iscrivendomi a medicina non potevo aspettarmi chissà che risultati, e che vincendo il test di ammissione non avrei "svoltato" come si crede una bella fetta di quei 50 mila candidati che - chissà per quale motivo - ci provano ogni anno.

Decidendo di diventare un medico il lavoro "da paura", quello da ingegnere che firmi 4 carte del cazzo e stampi la fattura e intaschi i soldi - che già avevo - lo stavo buttando nel cesso e addio. Ciao ciao. Il fatto è che io sono un coglione, e a me quel lavoro faceva schifo e mi aveva reso infelice e depresso.

Fatto sta che nessuno aspetta un neolaureato di 40 anni per assumerlo o farlo primario o metterlo a capo di qualche sala operatoria o dipartimento importante. Ma io non è che non ci arrivavo da me fin dal principio, eh? La laurea in Ingegneria insomma a capire un minimo dei rapporti di causa ed effetto tutto sommato è servita :)

Se mi sono iscritto a medicina l'ho fatto per diventare la persona che volevo essere. E a 30-40 anni ma anche un pochino a 18 o a 20 - perché non sarebbe giusto dire altrimenti - se decidi di diventare chi vuoi tu devi farlo barattandolo con un casino di tempo buttato sui libri. Con la possibilità di sistemarti subito. Con una professione migliore. Con possibilità di carriera. Con una serenità familiare e con tante altre cose delle quali niente di quello che potresti ottenere o vincere "dopo la laurea" ti potrà mai ripagare materialmente.

L'unica cosa che dà un senso a certe scelte e a certi percorsi, è portarli a termine. È spegnere quella vocina del cazzo che da anni ti dice "provaci, provaci" e guardarti indietro alla fine di tutto e dirti: "ecco, ce l'ho fatta. Non mi pare vero".

Se andiamo a valutare lo stipendio, io non guadagnerò mai abbastanza rispetto a quello che ho speso in questa laurea, mi pare evidente. Ma, insomma, già lo sapevo e l'avevo già messo in conto.

E insomma: a Natale sono stato - tra il pranzo e la cena - in pronto soccorso. Unico studente dell'intero comprensorio ospedaliero e universitario, ho fatto un po' di ecografie, ho visto qualche medicazione, ho letto una TAC e mangiato cioccolata e panettone con gli amici infermieri e medici del reparto.

Il 26 Dicembre sono andato al pronto soccorso pediatrico. Unico studente dell'intero comprensorio ospedaliero e universitario pure lì, ho visitato un po' di regazzini. Ho visto cosa si fa quando hanno il raffreddore e sputacchiano e scatarrano, e lì la cioccolata non c'era ma tanto poi avevo un'altra cena natalizia e dolci e pandori vari non sono mancati.

E insomma, per rispondere di nuovo a tutti parenti e amici e conoscenti che me lo chiedono: dopo la laurea farò qualche corso e master. Senza specializzazione certo è difficile trovare un impiego stabile o dei pazienti o una struttura che ti si fili, e non è facile nemmeno trovare un modo elegante per rispondere a chi ti predice sventura durante il cenone di Natale.

Ma io mi sono iscritto a medicina per diventare un dottore. Io voglio fare il medico perché mi piace andare in pronto soccorso durante le feste tra il casino, la puzza, la gente che schizza sangue e i bambini che ti sputano i virus in bocca e piangono per tutto il turno filato senza interruzioni pause o abbassamenti di volume neanche minimi: roba che a passarci la notte mi sa che esci pazzo.

Volevo diventare un dottore. Forse ce l'ho quasi fatta, e sono già contento così.

Sono - davvero - già contento così.

Simone