28/12/12

Finire gli studi "tardi", e i progetti a lungo termine.

Puoi anche metterci un po' di più per alzare la media.
Quando ho deciso di iniziare Medicina a 33 anni, la cosa che mi faceva un po' girare la testa era che - nella migliore delle ipotesi - avrei finito all'età di 39.

39 o 40 anni fa più o meno lo stesso. E insomma visualizzarmi a finire un percorso all'età di 40 anni in un momento in cui me ne sentivo 30 appena compiuti mi metteva davvero agitazione.

Era un po' come se iscrivendomi all'università stessi progettando un qualcosa che mi avrebbe portato a passare di colpo una lunga parte della mia vita. Come se stessi per ritrovarmi all'improvviso molto più vecchio, solo per una scelta che stavo per fare.

E questa lettera che ho ricevuto un paio di giorni fa si riallaccia proprio a questo discorso:

Ciao Simone, mi chiamo Irene e sono capitata per caso sul tuo blog dopo che mi è saltata in mente la "pazza" idea di reiscrivermi all'università alla veneranda età di 34 anni.

Mi ero iscritta a Medicina Veterinaria appena finito il liceo ma - aihmè - l'ho abbandonata dopo tre anni per cominciare a lavorare. Sarà stata la voglia di indipendenza, anche economica, lo studio che reputavo troppo impegnativo, la voglia di studiare che via via andava scarseggiando.... e così, per fortuna o purtroppo, ho trovato subito un impiego.

Ma eccomi qui, dopo 10 anni e più, a rimpiangere quello che ho lasciato e soprattutto a non sentirmi soddisfatta di quello che sto facendo ora!

Mi interessava sapere la tua esperienza nell'esserti ributtato sullo studio dopo i 30. La mia maggior preoccupazione è: se dovesse andare bene e riuscissi a dare tutti gli esami nei tempi prefissati, dovrei laurearmi a 40 anni. Tu ci hai mai pensato? E la riposta che ti sei dato? :-)

Irene


Proprio la stessa domanda che mi facevo io, non trovate? Solo che - per quanto mi riguarda - la mia risposta l'ho trovata già un po' di tempo fa:

Iniziare una cosa con l'idea di finirla a un'età molto più "avanzata" è un'idea che mette davvero un bel po' d'ansia e su questo purtroppo non ci piove e ci sono poche risposte da darsi. Ma il fatto è che sia che uno si iscriva all'università, sia che magari cambi lavoro o che continui piuttosto a occuparsi sempre delle stesse cose, gli anni passano comunque.

E più passa il tempo e più rimettersi in gioco si fa difficile, perché invece che 40 anni devi pensare che magari alla fine ce ne hai 50 o 60 o chissà quanti mentre il tempo necessario a realizzare determinate cose rimane sempre lo stesso.

La risposta che mi sono dato io, allora, è che qualsiasi scelta uno faccia purtroppo il tempo non si ferma in ogni caso. E quello che ci spaventa davvero non sono lo studio o il lavoro, quanto purtroppo la vita stessa che in ogni caso va avanti senza aspettare che prendiamo o meno le nostre decisioni.
 
Alla fine insomma i miei 40 anni arriveranno sia se avessi continuato a fare l'ingegnere, e sia adesso che sto studiando per diventare dottore. L'unica differenza qui è che una persona può arrivare a una qualunque età facendo quello che voleva fare, oppure arrivarci portandosi dietro i rimpianti per le cose che non ha provato a ottenere.

Vista in quest'ottica, credo che la scelta sia molto più facile di quanto non mi fosse sembrato all'inizio. E quando avrò davvero 40 anni - magari - ve ne darò conferma.

Simone

24/12/12

Un buon Natale anatomopatologico!

Che ti ha portato Babbo Natale? 1200 pagine di libro più le slide!!! :(
Ora in questo esatto momento sto studiando Anatomia Patologica, "target" per dare l'esame il 14 Gennaio per lo scritto e il 17 l'orale.

Che non mi piace questo esame l'avrete capito, cioè una volta forse mi piaceva pure ma dopo 3 anni che riesce fuori in tutte le salse ha davvero un po' superato il limite umano di sopportazione.

Ma vabbe' ormai è quasi giunto il momento, e se non sarà Gennaio sarà Febbraio ma ci leveremo pure quest'altra.

Un po' triste solo non pensare per niente a quello che lo studio può darmi come preparazione e professionalità futura, ma vederlo solo come impegno nell'ottica di superare un esame. Purtroppo l'università è anche questo. Parti con tutta la passione, l'entusiasmo e l'interesse del mondo, e piano piano ti ritrovi a imparare a memoria roba di cui non te ne frega proprio più niente e soltanto perché lo devi fare e perché se no ti bocciano.

Ma forse questo atteggiamento ha anche un qualcosa di positivo: tutto sommato c'è questa sensazione sempre più forte di essere quasi in dirittura di arrivo e di doversi scaricare solo degli ultimi mattoni, e ci sta bene credo anche un po' di insofferenza. Uno non si iscrive a medicina per studiare medicina, ma per diventare dottore, e se mi fossi appassionato tanto alle materie e guardassi già con nostalgia i vecchi esami e le giornate passate a studiare... quello sì che sarebbe patologico. Specialmente quando si sta in vacanza e sotto le feste.

Comunque sia, in questi giorni andrò un po' anche in reparto. Non che ci debba andare per forza (non penso che nessun professore si sognerebbe mai di obbligarmi) ma ci voglio andare io e alla fine è pure un bel modo di staccare tra lo studio e le abbuffate con amici e parenti. Evidentemente sono uno che è più portato per le cose un po' più pratiche rispetto allo studiare e imparare e comprendere. Sarà che da questo punto di vista sono rimasto molto più "ingegnere"? O sarò bravo come medico anche se per memorizzare quattro cavolate mi ci vogliono gli anni?

E vabbe': che poi non volevo parlare di questo, ma avevo aperto il blog al volo solo per farvi gli auguri. E lo so che non è niente di che andare a cercare un albero di Natale su Internet e linkarvelo qui, ma almeno c'è stato il pensiero e spero che sia un pochino apprezzato :)

Insomma buon Natale, buona fine, buon principio, a voi e alle vostre famiglie... e se non mi vedete aggiornare fino a Capodanno sapete che è perché ho da studiare o perché sto in reparto o ancora perché ho mangiato troppo e sono sul divano in coma a digerire.

È probabile che succeda anche questo.

Simone

19/12/12

Quando sono stato male.

Malato dell'800: l'iPad aveva una connessione lentissima.
La sera prima la passo - come tutte le sere degli ultimi tempi - a cercare dettagli relativi alla mia operazione su Internet.

Vengono fuori certi filmati che ti cadono tutti i capelli. Siti che raccolgono opinioni contrarie e angoscianti. Esperienze di gente che si lamenta di sequele, inesattezze, dolori, traumi, effetti collaterali e chi più ne ha più ne metta.

Mi ripeto che su Internet ci vanno solo quelli che hanno da lamentarsi. Gli insoddisfatti e gli insicuri. Su Internet ci scrivono i coglioni come me o chi ha voglia di prendere per il culo la gente o chi tanto non sarà contento mai. Questa consapevolezza mi rassicura un po'. Un pochino. Ma la notte comunque dormo poco.

Sono in clinica alle 9 della mattina successiva. Qualche formalità burocratica, poi mi accompagnano in camera e mi danno un letto.

Verso le 10 iniziano a portare i pazienti in sala operatoria. Le barelle passano per il corridoio fino all'ascensore, e poi di nuovo dall'ascensore fino alle stanze. Spero ogni volta che tocchi a me, ma invece tocca sempre a qualcun altro mentre quel corridoio l'imparo a memoria ripercorrendolo una, dieci, cento volte avanti e indietro.

Le ore non passano mai. Ogni minuto che aspetto è un minuto in più di convalescenza che mi toccherà scontare dopo. Non si può bere, non si può mangiare, non ci si può nemmeno accendere una sigaretta. Sei come in una specie di limbo dove non succede e non puoi fare nulla a parte passeggiare o farti venire sonno davanti ai programmi della mattina in TV.

Verso le 2 un'infermiera entra in stanza e mi dice che è il mio turno. Mi affretto a indossare quel camice ridicolo che ti lascia tutto scoperto come ti muovi un attimo di troppo. Poi entro nel letto e mi infilo sotto alle coperte.

Si parte: mia mamma mi saluta accarezzandomi sulla fronte, mentre mi spingono verso l'ascensore. Le luci del corridoio passano sopra di me, mentre a destra e a sinistra i numeri delle varie stanze scorrono all'indietro in una specie di conto alla rovescia.

Saliamo con l'ascensore, e mi lasciano in una specie di sala d'attesa. Sento i dottori che parlano, qualcuno telefona e altri sono indaffarati a spostare barelle o a discutere di interventi o di chissà che cosa. Mi tiro su le coperte fino al collo, perché fa un freddo della Madonna.

«Io sono l'anestesista» un signore si accosta al letto e mi dà la mano. Poi mi attacca degli elettrodi per il monitor dell'elettrocardiogramma e se ne va.

Arriva una seconda barella con sopra una ragazzina sui 14 anni. Ha la faccia di una che la madre gli ha appena buttato al cesso tutti i trucchi comprati di nascosto e il ragazzo l'ha mollata e le sue amiche non la cercano più e la sua vita è finita e che suo padre gli ha detto che vuole che studi Ingegneria. Vorrei provare a tranquillizzarla un po', ma due infermiere aprono un separé tra noi due e non riesco più a vederla.

Passeranno un paio di minuti, poi l'anestesista torna al mio letto e mi spinge verso la sala operatoria vera e propria.

Mi fanno scivolare su un lettino più piccolo, e in un attimo sono circondato da persone con tute azzurre, verdi, blu, rosa... ma quanti sono? Sembra una specie di film del terrore, ci manca solo la musica col teremin o qualche scala di tastiera superveloce per essere davvero tale e quale.

Qualcuno mi allenta il camice. Qualcun altro mi sposta tirandomi come se fossi un sacco. Mi posizionano un saturimetro su un dito, mentre nell'altra mano mi infilano un ago cannula e sento un male cane che davvero non me l'aspettavo.

«Adesso rilassati mentre il farmaco fa effetto» mi dice l'anestesista. «Così ti addormenti».

«Ma non dovevo fare prima la spinale?» chiedo.

Lo so che sembro l'apoteosi del rompicoglioni all'ennesima potenza, che non si sta buono manco con 10 persone intorno armati di aghi e lame taglienti. Però pensavo di aver capito diversamente.

«No, ti addormentiamo. Niente spinale».

A quel punto io specifico chiaramente il nome del mio intervento, assicurandomi che comunque non è che per caso ci fosse stato uno sbaglio. Lo so: ho visto veramente troppi telefilm coi dottori del cazzo, e comunque mi addormento senza nemmeno sentire la risposta.

Dormo che è una favola. Sogno qualcosa anche, ma non ricordo cosa. Mi pare di aver dormito per ore, come quando sei proprio stremato e dormi che te lo gusti che non ti pare vero... e poi però a un certo punto ti svegliano che non volevi, e hai ancora troppo sonno.

«Abbiamo finito» il chirurgo mi sveglia con una carezza. E poi sparisce, o mi riaddormento io. Non lo so, non ci sto capendo un cazzo.

La prima cosa che riesco a razionalizzare, è che ho un dolore terribile. Una roba che pensi solo che non è possibile che ti faccia davvero così male: capita che uno prende una botta col mignolo su uno spigolo o una storta giocando a calcetto e allora dice che s'è fatto male e sta lì che si lamenta e pare chissà che cosa... ecco, avete presente? Be', invece no: è una cosa troppo peggio. È un dolore assurdo come non l'hai sentito mai, che sta lì e che non passa e per quanto ti agiti e ti lamenti mi sa che a calcetto non ci rigiochi comunque per un bel po'.

«Come va?» l'anestesista mi sta spingendo di nuovo nella sala d'attesa. «L'intervento è andato benissimo».

«Mi fa male. Ho un dolore importante».

Questa espressione del dolore importante non me l'ero manco preparata. Un termine entrato dentro in qualche modo da qualche reparto, e rispuntato fuori dal mio subconscio che anche in un momento del genere non voleva bruciarsi l'occasione di spararsi le pose da studente di medicina secchione sfigato. Il subconscio - non per niente - sta sulle palle un po' a tutti.

L'anestesista indica una pallina di plastica che mi hanno appiccicato al braccio.

«Hai già l'antidolorifoco, adesso ti diamo qualcos'altro».

Quello che ricordo dopo sono una serie di scene tra la sala operatoria e la mia stanza, perché lo spostamento ci sarà stato ma non è che mi ricordo tanto che cosa è successo. So solo che a un certo punto stavo con le flebo, gli antidolorifici e tutta la droga del mondo, con mia mamma da una parte che pregava e io che ogni tre secondi facevo un grugnito come uno che lo sgozzano e mi giravo e rigiravo per trovare una posizione nella quale mi sentissi un po' meglio, ma che tanto non c'era.

E poi quella sete. Come se avessi masticato delle palline di sale, mentre correvo di corsa al Circo Massimo in pieno Agosto con addosso la tuta da sci. Sugli effetti collaterali dei farmaci ci scrivono cose tipo: neutropenia, neurite periferica, al limite diarrea se proprio uno è fortunato. Non ci scrivono mai: ti viene una sete che manco a li cani, questo no. E vorrei tanto sapere perché.

Ma non mi lasciano bere: non si può, è vietato come qualunque altra cosa lontanamente piacevole all'interno di ospedali, cliniche e areoporti, e comunque ho già una flebo di fisiologica attaccata alla vena. Vedo il tubicino che mi entra nella mano: ripenso a quando spiego ai pazienti che come idratazione basta quella, e che di bere non hanno realmente bisogno... e poi mi mando affanculo da solo.

Passa un'ora, e sto giusto appena un attimino meglio.

Passano due ore, e va meglio. Riesco anche a scambiare qualche parola con mia madre che non prega più, e a scherzarci sopra.

Dopo tre ore gli antidolorifici hanno funzionato, e mi fa ancora male tutto ma è un male che tutto sommato non è più niente di che.

Arriva l'ora di cena, e arrivano una specie di brodino con dentro il niente, e quella che a un esame autoptico potrebbe essere una mela frullata. A portarmi il vassoio è una signora piccolina, anzianotta, non indossa un camice ma una sorta di palandrana che le copre il vestito solo sul davanti e la fa sembrare una cameriera. E io ho tanta di quella fame che vorrei abbracciarla e chiederle di sposarmi e portarmi la pastina e la mela per tutto il resto della nostra vita: noi due, soli e insieme per sempre.

Tirarsi su per mangiare è un'impresa, ma ho un sacco di tempo. Il brodino mi leva quell'arsura demoniaca, e già mi sento rinato. La mela frullata è dolce, e dopo quelle due ore interminabili che sono passate è una sensazione così bella che mi scendono quasi le lacrime.

«Era buonissima» dico alla signora di prima, tornata a recuperare il vassoio. «La cosa più buona che abbia mai mangiato».

Lei si mette a ridere, e scuote un po' la testa come a dire che invece no: non è buona per niente.

«Si vede che avevi proprio fame» dice, prima di andarsene.

La notte dormo mezz'ora ogni ora. Mi addormento e mi sveglio. Mi sveglio e mi riaddormento. A un certo punto - e non so come - il catetere s'intreccia con la flebo, e facendo un movimento col braccio gli do uno strattone con tutta la forza che ho. Ma guardiamone il lato positivo: ogni volta che capiteranno discussioni sugli aneddoti dolorosi per decidere a chi è capitato di farsi più male nel corso della vita, vincerò sempre e sicuramente io.

Al mattino mi visitano di nuovo, e quando mi levano il catatere esclamo il "ma porca troia!" più profondamente sentito della mia esistenza. Poi verso le dieci passa l'infermiera, mi chiede se ho fatto pipì e io niente: non mi scappa.

Alle undici passa di nuovo, e io di nuovo nulla: non la devo fare.

Verso mezzogiorno mi scappa un pochino, ma non riesco a farla.

All'una sono io a cercare l'infermiera perché mi scappa troppo, ma non ci riesco. Lei mi dice che non fa niente, e di riprovare più tardi.

Alle due me la sto facendo sotto ma niente: ci provo e ci riprovo, ma la sensazione è come di dover pisciare attraverso il granito e mi viene da piangere solo al pensiero che mi rimettano il catetere, e che poi - cosa peggiore di tutte - me lo tolgano di nuovo.

Alle due e mezza viene a trovarmi mio fratello. Tempo 3 minuti e mi fa incazzare di brutto, scatenando così anche il miracolo. Esco dal bagno entusiasta per avvisare le infermiere e i medici e gli operatori sanitari. Gli altri pazienti, gli operai che vedo dalla finestra dall'altra parte della strada, tutti quanti devono essere informati che ce l'ho fatta e partecipare ai festeggiamenti: devono saperlo tutti!

E da lì in poi è stata tutta in discesa. Medicazioni, farmaci, visite col chirurgo, dolori da tenere a bada con altre medicine... ma il brutto è stato davvero solo in quelle due ore dopo l'anestesia, un po' la notte e fino alla mattinata successiva, quando pareva impossibile anche l'operazione più banale.

A ripensarci, adesso che queste righe sono poco più di un racconto, penso di poter dire di essere stato male. Poco male - tutto considerato - e per poco tempo, ma è stato così. Diciamo che penso di aver avuto un piccolissimo assaggio di cosa vuol dire dipendere totalmente da qualcun altro, perché da solo non ce la puoi proprio fare. Ho capito che anche un minimo di gentilezza in più può cambiare tanto di come vivi una situazione.

Ho capito che quando qualcuno sta male non è come al cinema o nei film, che pare quasi una cosa figa che poi alla fine sono tutti felici o - male che vada - alla fine muore e non ci si pensa più: c'è un livello di stare male che arriva ad annientare le persone. Le strappa via dal mondo e le porta in una dimensione dove non riescono a interagire con nient'altro se non la propria malattia e i propri bisogni più basilari.

Ogni volta che una persona sta male e non riusciamo ad aiutarla, ogni volta che qualcuno soffre e viene lasciato solo, e ogni volta che guardiamo al dolore degli altri con indifferenza, è una tragedia.

E non bisogna essere medici, o ingegneri, o laureati in chissà che altro per capirlo, per sdegnarsi, per voler fare qualcosa, per voler aiutare e curare. Bisogna semplicemente essere umani.

Simone

14/12/12

L'oste davanti ai buoi... o qualcosa del genere.

Un carro carico carico di... esami!!!!!! :((((((
Parlando e divagando su specializzazioni e futuro post laurea mi sono quasi creduto che fosse davvero finita e che potessi già crogiolarmi nel mio impellente impegno di medico disoccupato.

E invece manco col cavolo: sto solo al quinto anno, mancano diciassette (cacchio, DICIASSETTE) esami e tra manco meno di un niente inizia la prossima sessione.

Il 18 di codesto mese prossimo venturo c'è una prova in itinere barra esonero barra tantononserveanniente di Medicina e Chirurgia 1. Il classico scritto con crocette dove si giudica la maggior consapevolezza su quale aminoacido è maggiormente mutato nella malattia X o quale tra i seguenti farmaci ha maggiori controindicazioni gastrointestinali negli indiani d'america.

La cosa brutta è che se fossi un medico vero penso che prima di dare un farmaco di cui non sono certo magari le linee guida me le riguarderei, ma da studente le devi sapere a memoria e io al momento non me ne ricordo mezza, per cui mi sa tanto che l'esonero andrà mica tanto bene.

La cosa positiva invece è che tanto non vale quasi niente ai fini dell'esame, per cui la prenderò un po' come una specie di ripasso per poi studiare magari meglio gli argomenti che chiederanno.

Poi ci saranno le solite feste da secchione passate a studiare pure il primo dell'anno, e da metà Gennaio in poi iniziano gli esami veri e propri. Medicina e Chirurgia 1, Anatomia Patologica e Diagnostica per immagini tutte da fare appiccicate perché evidentemente è più formativo così.

Inglese e Farmacologia le darò quando le darò, che tanto Inglese chissene frega e Farmacologia l'ho già fatta per 7 moduli su 10 e si può finire quando c'è tempo. Speriamo bene, che se mi rimane troppa roba sul groppone poi il prossimo semestre è già pesante di suo e mi ritrovo un'altra volta a dover recuperare, come l'anno scorso.

Riguardo al reparto spero di poter andare regolarmente anche sotto le feste e sotto esami. Magari non proprio regolarmente nel senso di sempre, ma regolarmente nel senso di spesso... o quando riesco. Sicuro non posso sparire per 2 mesi, che pare anche brutto. Giuro che non lo farò! Spero.

Infine, sul discorso della specializzazione, ho pensato di tenere un po' su le varie ipotesi senza sbilanciarmi ancora troppo: intanto farò la tesi a medicina d'urgenza (a me piace sempre di più quel discorso dei master + corsi di ecografia eccetera) magari cercando di trovare anche un correlatore anestesista, così da non giocarmi totalmente l'eventuale concorso in quella specializzazione.

Chirurgia generale sta lì, ultima spiaggia per tentare magari qualcosa ma - secondo me - troppo lontana dalle effettive possibilità per chi ha iniziato tardi. E infine il test di medicina generale posso provarlo comunque, che non me lo vieta nessuno visto che basta che ti prenoti e vai a provarlo.

Insomma ho lasciato aperte varie ipotesi, e ora smetto di stressarmi col discorso tesi/post laurea e mi stresso solo col discorso esami/altri esami/ancora più esami ancora dopo. E finita questa sessione magari avrò le idee ancora un po' più chiare.

Simone

10/12/12

Laurearsi passati i 30 anni: riflessioni sulle possibilità post-laurea.

Non sono troppo sicuro che stia "pensando".
Lo so che manca ancora un sacco di tempo (2 anni pieni) ma alla fine è un qualcosa alla quale bisogna pensare: cosa farò dopo la - seconda - laurea in Medicina? E che possibilità ci sono, per uno della mia età e senza una media stratosferica? Vediamo:

Specializzazione a Roma: specializzarsi è un grosso problema. Diciamolo chiaramente: io non penso di arrivare a laurearmi con 110 e lode, e questo mi mette in secondo piano rispetto alla stragrande maggioranza degli altri studenti.

Ci sono un 60-70% di futuri medici con medie che vanno dal (considerato molto basso) 28, fino a ben oltre il 29, 29 e mezzo. Se contate poi che per i concorsi vengono valutati i voti di alcuni esami (ogni specializzazione ha i suoi) competere con una media di 26/27 con persone che hanno 30 o 30 e lode a ogni materia dal terzo anno in poi è impensabile.

Dando un'occhiata ai vecchi concorsi, gli indirizzi "perseguibili" sono essenzialmente Anestesia e rianimazione, Chirurgia Generale e davvero poco altro. Medicina d'urgenza ha pochissimi posti, per cui non ha senso nemmeno presentarsi al concorso perché si sovrappone a quello di Medicina Interna dove se non altro c'è qualche minima possibilità in più.

Anestesia non l'ho mai veramente "provata", ma così su due piedi ho l'impressione che mi interessi poco. Io quando ho iniziato questo percorso ho sempre avuto l'idea del medico "classico" dal quale vai quando ti senti male e che ti dice che cosa succede, e l'anestesista mi pare molto diverso dalla mia - chiamiamola pure così che non trovo di meglio - vocazione.

Chirurgia Generale mi piacerebbe già molto di più, ma se uno che inizia a studiare da chirurgo a 18 anni diventa "bravo" passati i 40, per uno di 30 che senso ha? Credo che si tratti di un percorso troppo lungo e che non ne valga la pena se non si è veramente convinti di voler fare proprio quello nella vita.

Specializzazione fuori Roma: nel resto dell'Italia credo che i punteggi minimi per entrare in alcune specializzazioni siano più bassi. C'è il problema di doversi trasferire, e del doverlo fare anche subito perché provare un concorso in qualsiasi ateneo essendosi però laureati da un'altra parte non è per niente un buon biglietto da visita.

Ma ho voglia di andarmene da Roma per specializzarmi - forse - in qualcosa che mi piace di più? È un'idea da prendere in considerazione, ma non è certo il massimo finire a 40 anni in un posto nuovo solo per ritrovarsi un titolo piuttosto che un altro.

Specializzarsi all'estero: andare all'estero è una cosa che non vorrei prendere in considerazione. Io penso che l'Italia sia ormai nello sfacelo più totale, e ho scelto da qualche tempo di restare per cercare di fare quel poco di mio piuttosto che scappare e rivederla solo alla TV quando c'è una disgrazia o quando ci prendono per il culo.

Medicina Generale: questa è una possibilità un po' diversa. 3 anni di corso per essere un medico di base, e poi una vita di concorsi e casini su casini per rimediare qualche paziente che magari vuole solo che gli scrivi le ricette o gli fai il certificato per la palestra.

Poi tutti o quasi quelli che non entrano in specializzazione (cioè metà dei laureati in medicina) si riversano sulla medicina di base, per cui non è che il concorso sia così semplice anche in questo caso. Resta sempre un'ipotesi da valutare.

Non specializzarsi: ora sembra strano, ma forse non lo è. Invece di infilarsi in code, concorsi, attese e poi anni di reparto per imparare non si sa nemmeno bene cosa (non è che essere specialisti sia sinonimo di grande capacità, purtroppo) togli il problema alla radice e non ci provi nemmeno.

A me piace sempre il discorso dell'emergenza e del medico che visita il paziente e lo indirizza a seconda della situazione. Un master in medicina d'urgenza (ce ne sono molti in diverse facoltà) o su temi analoghi - se associato a una frequenza molto intensiva dei reparti associati - può essere un modo per crescere professionalmente. Poi dopo mi farei anche qualcosa con un diverso indirizzo, e già stiamo a 2 anni di esperienza post-laurea.

Ancora, ci sono tanti corsi che i medici anche non specialisti fanno per "imparare" un qualche lavoro. Sicuramente quello da ecografista (ci sono corsi base e poi avanzati e ancora specifici) associato a una medicina generalista, di urgenza o comunque di diagnostica clinica può essere un altro punto in più.

In questo caso però c'è il grosso inconveniente che mentre gli specialisti - a prescindere da qualsiasi reale capacità - possono sempre presentarsi mettendo davanti i loro diplomi con 300 lodi e controlodi varie, chi non ha una specializzazione può ovviamente trovarsi facilmente scavalcato anche se poi si è fatto un mazzo così per studiare e fare pratica.

Altre idee al momento no ne ho, le differenti ipotesi sono queste. Voi, che consigli mi date?

Simone

06/12/12

Seconda laurea in Medicina: arrivano gli esami, ma anche qualche notizia migliore.

Lo vedete, qui, il blocco di branca? Be', manco io.
Le lezioni del quinto, cioè della prima metà ovviamente, sono praticamente terminate, e tra Gennaio e Febbraio dovrei dare i seguenti esami:

- Oncologia: esame piccolino ma molto mnemonico (tutti farmaci, procedure diagnostiche e chirurgiche e classificazioni) e che sinceramente non mi piace molto.

Non che reputi l'oncologia una materia di secondo piano - quando anzi in realtà è importantissima - ma questo esame riprende cose già viste riproponendole da un punto di vista molto specifico e - secondo me - forse un po' troppo specialistico per chi non è ancora un dottore a tutti gli effetti. Ma tanto non è che richiedano il mio parere per farci sostenere l'esame oppue no, per cui io me lo studio e basta.

- Anatomia patologica: questa è la bestia nera dell'intero corso di laurea... insieme a Biochimica, Anatomia, Microbiologia, Patologia 3. Vabbe', una delle tante insomma. Il corso è iniziato al terzo anno con vari moduli inseriti nei diversi esami, e termina solo adesso con l'esame finale dove ci sono i vecchi moduli più altri nuovi.

Dicono che poi non è davvero così difficile come sembra, ma al momento solo vedere la mole di slide che ho sull'hard disk è alquanto scoraggiante e sapere che per il 50% sono cose che ho già studiato (e prontamente dimenticato) negli anni passati mi deprime ancora di più.

- Inglese: be', inglese non è niente di che.

- Farmacologia: esame diviso in 10 esoneri, mi restano da dare gli ultimi 3 e poi è fatta.

- Diagnostica per immagini: qui non c'ho capito molto. C'è un libro, ci sono un po' di slide... ma il libro dice che non va bene e sulle slide manca mezzo programma oppure non si capisce una minchia. Poi 2 scritti, 3 orali, 100 professori, prove pratiche e chi più ne ha più ne metta: un mezzo casino. Credo sarà l'esame più difficile del semestre, ma penso che pure questo si farà. 3 o 4 volte, magari, ma si farà.

Il problema è solo il tempo: 5 esami in un mese e mezzo scarso, quasi tutti con almeno uno scritto e un orale in date diverse, e contando che adesso c'è un altro mese per studiare ma con in mezzo tutte le feste e perdite di tempo varie. Diciamo che gli esami veri e propri sono solo 3, ma è sempre troppa roba troppo ravvicinata.

E certo che potevo pensarci prima e iniziare a studiare con più anticipo... cosa che per tanti versi ho fatto, ma senza impegnarmici sul serio. Alla fine tra reparto, lezioni e tirocini chi c'ha voglia di studiare, se gli appelli non sono imminenti? Non c'ha voglia Nessuno, di certo (apprezzate il mirabolante gioco di parole estratto da un mio vecchio romanzo) e io meno di lui.

Se non altro, l'internato per la tesi procede meglio che mai: col professore che mi segue mi trovo benissimo, e non vorrei fare quello che si dà troppe arie ma ogni tanto arriva pure qualche piccola soddisfazione. Tipo gente che sta a medicina da qualche anno prima di me ma che mi sembra ancora più impedita (e ce ne vuole! :) riconoscere un blocco di branca in un elettrocardiogramma (ma è stato un caso) e cose del genere che magari altri sapevano già fare al primo anno di corso, ma io no.

L'altro giorno - per dirne una ultimissima e poi basta - ho aiutato a fare la visita a un signore che stava in reparto da un sacco di tempo e che è stato finalmente dimesso.

Più tardi, tornando verso casa, l'ho beccato vicino a dove parcheggio, e ci siamo fermati a salutarci: come va e come non va, qualche battuta che è un tipo simpatico, e poi tanto per fare una cosa originale mi chiede com'è che sono più grande degli altri studenti e le solite cose sulla seconda laurea, del perché e del percome e dei soliti cavoli miei che vado sempre in giro a raccontare a tutti.

Niente di particolare, insomma. Però ritrovare qualcosa dell'ospedale fuori dall'ospedale stesso è stato un po' come superare una specie di muro. C'è come uno scalino tra la vita vera e questa specie di esperienza un po' assurda di ricominciare da capo a 30 anni suonati, come se le due cose non si fossero ancora del tutto riamalgamate.

Ma per la prima volta lo scalino era così basso da riuscire a fare il salto da una parte all'altra solo per fare un saluto a qualcuno, anche se poi m'è toccato riscavalcare di corsa dall'altra parte, che c'ho almeno 2000 slide di Anatomia Patologica da memorizzare.

Una volta tornato indietro, però, nel mio mondo da studente anziano plurifuoritempomassimo, ero comunque un bel po' più contento.

Simone

01/12/12

Seconda laurea in Medicina: il tirocinio a radiologia.

Un RX del torace: è vero, non ho avuto alcuna fantasia.
Il tirocinio a radiologia inizia già male: ci dividono in tanti piccoli sotto-gruppi, e a me mi lasciano come unico studente nel laboratorio dove fanno le TAC.

Che già io non è che sia tutto 'sto grande esperto di niente, ma qualche TAC l'ho già vista fare e a medicina d'urgenza l'ultima volta si aspettavano pure che gliela refertassi (cosa che ho fatto sbagliando completamente diagnosi) e stare lì in piedi a non fare nulla non si prospetta come il tirocinio più eccitante del mondo.

Poi alle TAC ci sta un radiologo agitatissimo che si lamenta che lo hanno lasciato solo: litiga e s'incavola con tutti, alza il telefono e sbraita contro non si sa chi, mi guarda e non mi guarda e ogni tanto dice "non posso seguirti, che mi hanno lasciato da solo!" tutto disperato e con le mani tra i capelli.

Essere abbandonato completamente da solo per un radiologo vuol dire che ci stanno solo lui, il tecnico di laboratorio, un tirocinante neolaureato, l'infermiere, gli operatori sanitari, ovviamente il paziente e pure io... che male che vada non so fare un cazzo ma - metti che succede davvero qualcosa - posso comunque aprire la porta e andare a chiamare uno degli altri quarantotto tra dottori e specializzandi che stanno nella stanza lì accanto.

I poracci che fanno la notte al Pronto Soccorso è capace che stanno da soli nel senso che per trovare un altro dottore devi chiamare un'ambulanza e portare il paziente in un altro ospedale. Questo vuol dire restare soli, almeno secondo la mia recrudescente mentalità ingegneristica che ogni tanto fa capolino nei reparti ospedalieri e si domanda: boh?!

Comunque sia alla fine il radiologo si rivela anche simpatico, e una volta che si dà una mezza tranquillizzata è pure gentile e mi spiega un po' di cose che non sapevo sulla radiologia... che magari l'idea di base era proprio quella.

Anche il tecnico di laboratorio è piuttosto disponibile, e mi fa vedere come mettono il paziente sul lettino della TAC, iniettano il mezzo di contrasto (la parte che dà motivi di preoccupazione dal punto di vista medico è proprio questa) sparano un po' di raggi X tanto per, centrano le immagini e programmano i macchinari e tutto quanto, e alla fine fanno l'esame vero e proprio che - per chi non lo sapesse - ricrea al computer una sorta di immagine del paziente fatto a fettine abbastanza dettagliate da poterci riconoscere vasi, organi, ossa, strutture varie e - soprattutto - se c'è qualcosa che sembra un po' fuori posto o che non dovrebbe proprio esserci per niente.

Per la durata di circa venti minuti inizia quasi a piacermi, la radiologia. Certo per entrare alla specializzazione devi avere ventinove e mezzo di media e aspettare 3 anni... ma che problema c'è? È ancora molto più abbordabile di Cardiologia o Pediatria. Alla fine metti la gente sul lettino, premi un po' di bottoni, referti le immagini e hai finito lì. Con i pazienti - se non ne hai voglia - quasi nemmeno ci parli. I tecnici sono bravissimi e gli infermieri ancora meglio, e tutto fila liscio e tranquillo e senza intoppi.

Uno degli ultimi pazienti è una signore sui 40, massimo 45 anni. Ha una di quelle malattie che mi pare fuori luogo anche solo nominare in un blog tutto sommato leggero e superficiale come il mio, ma insomma avrete capito. È stata operato da un po', è in terapia da un altro po' con relativi farmaci chemioterapici e biologici del bisogno, e questo è uno dei tanti controlli periodici ai quali deve sottoporsi.

È talmente abituato al rituale di questi esami che si sdraia sul lettino e aspetta le indicazioni come se stesse prendendo l'autobus o se stesse facendo la fila alla posta. Quando ha finito si sistema i vestiti, saluta tutti e si allontana con la naturalezza di chi passava da quelle parti per caso e ha detto: "tò, c'è una TAC?! Quasi quasi me ne faccio una".

Quando poco più tardi guardiamo il risultato finale, il radiologo scorre le immagini per mostrarmele.

«Vedi?» mi spiega, indicando tante macchioline che riempiono lo spazio del fegato. «Queste cose qui non ci dovrebbero essere. Queste sono tutte schifezze».

E io quando mi trovo di fronte a situazioni del genere rimango sempre un po'... un po' come non saprei dire. Ma è la sensazione che penso provino un po' tutti i medici in questi casi: è come se stessimo tutti camminando dentro a un enorme campo minato, e ogni tanto senti il botto di qualcuno che è appena saltato per aria.

Le schifezze nel fegato non sono una bella scoperta, questo non penso sia necessario spiegarlo a nessuno. In quanto a fare il radiologo, invece, sto bene dove sto adesso e non penso proprio che rientri nei miei progetti per il futuro. Ma pure questa, non penso sia stata chissà quale rivelazione.

Simone