26/10/11

Studiare da "vecchi".

Una signora anziana mentre studia Biochimica
Quando vai a fare un esame del primo anno, e hai quasi il doppio degli anni degli altri studenti, è palese a chiunque che non sei lì perché sei rimasto indietro o chissà quale motivo: sei più vecchio degli altri perché - chiaramente - hai incominciato dopo.

E i professori i primi tempi me lo chiedevano sempre: come mai ha iniziato così tardi? Davvero è già ingegnere? E cosa vuole fare dopo, una volta presa la laurea in medicina?

Ma già dal secondo anno è più raro che qualcuno ti noti. È successo solo con l'esonero di Anatomia 2, col professore che controllando il documento è andato a leggere la data di nascita: e così lei ha 34 anni - mi ha chiesto - e come mai ha iniziato così tardi?

Dal terzo anno in poi, invece, più niente. Sarà che un pochino dimostro meno degli anni che ho, mentre alcuni studenti iniziano a sembrare più maturi, riducendo così un po' il gap che ci separa. E non è poi così raro incontrare qualche trentenne che sta ancora finendo di dare qualche esame, anche se ha iniziato presto, per cui molti daranno semplicemente per scontato di trovarsi di fronte a qualcuno 5-6 anni fuori corso e che sia inutile fare domande.

Ma non mi pesa tanto essere più grande: con gli studenti del mio corso vado d'accordissimo. Alla fine sento spesso parlare dei giovani d'oggi o di tutte quelle cazzate che dicono i miei coetanei (quelli vecchi davvero, però) quando giudicano le nuove generazioni. Io invece ho trovato persone gentili, intelligenti, generose quando si tratta di darti una mano. Certo questo non vale sempre e non vale per tutti, ma in aula o in corsia con i miei compagni di corso mi trovo perfettamente a mio agio.

Quello che un po' mi mette in crisi, in questo momento, è rendermi conto di non riuscire a stare al passo con gli studenti migliori. Purtroppo a Medicina c'è questa storia che i voti sono importanti per le specializzazioni, e tantissima gente va agli esami solo e soltanto per prendere 30... e anche i professori si sono abituati a mettere voti altissimi a tutti quanti.

Poi arrivo io, e regolarmente prendo un voto più basso degli altri. Le materie di Medicina hanno sempre un aspetto mnemonico enorme, e io quando si tratta di memorizzare e ripetere non ce la faccio più di tanto: un po' non ho voglia, un po' mi fa fatica, e un po' semplicemente come chiudo il libro mi scordo completamente tutto.

E credo che in effetti molti studenti studino semplicemente molto più di me, ma forse un pochino conta anche l'età. A 30 anni non è - secondo me - che si impari di meno rispetto a uno di 20. Il cervello è completamente maturo già passati i 18 anni, per cui se esiste un limite biologico all'apprendimento questo vale per me come vale per uno studente più giovane.

Credo però che, con gli anni, in qualche modo il cervello impari a scremare meglio le nozioni che reputa utili da quelle invece che sono superflue. Se a 20 cioè puoi decidere di imparare a memoria una serie di nomi perché ti servono per dare un esame, a 30 anni è diventato un po' più difficile perché il tuo cervello non vuole farlo.

O forse la memoria è semplicemente uguale per tutti, e io sto qui a cercare scuse quando dovrei solo impegnarmi di più nelle cose che faccio. Questa, davvero, è un'ipotesi che non mi sento comunque di scartare.

Fatto sta che oggi ho fatto un esonero di Farmacologia, ed è andato abbastanza bene. Solo che tutti gli altri sono andati meglio di me (sembrava la fiera del 30 e lode!) e alla fine un pochino ci sono rimasto anche male. Devo iniziare ad accettare l'idea che forse non entrerò mai a una specializzazione interessante perché gli altri imparano a memoria qualsiasi cosa gli metti davanti, e io no. Che sia semplicemente pigro oppure stupido, il risultato non cambia: i voti sono quelli, e se anche tra il memorizzare e il saper fare c'è davvero in mezzo un abisso, questa cosa all'università non conta proprio un bel niente.

Mi sono confrontato con un mio amico, un signore di 60 e rotti anni che studia nel mio corso. Lui mi ha detto le stesse cose: ha gli stessi problemi a studiare, e se vai a vedere prende esattamente gli stessi voti che prendo io. Ora posso pensare di essere totalmente rincoglionito, e di potermi confrontare non con chi ha metà dei miei anni ma con chi invece ne ha il doppio. Oppure potrebbe essere valido il ragionamento che ho fatto prima: passati i 30 anni cambia il nostro modo di studiare e di apprendere ma poi - fortunatamente - rimane piuttosto costante per il resto della vita.

E insomma... almeno, vuol dire che se non altro non posso peggiorare.

Simone

23/10/11

Brano musicale: All You Can bEat - Hold all your love.


Vi presento un altro brano musicale del mio gruppo, registrato live in sala prove. Spero che vi piaccia!

Simone

19/10/11

Università, scrittura e Croce Rossa. Alcune novità.

In queste settimane sto seguendo il corso di Gastroenterologia/Endocrinologia.

Endocrinologia - in particolare - è la materia più noiosa del mondo, ma almeno il libro non è troppo enorme. In ospedale invece proseguono i tirocini, e magari quando avrò l'ispirazione vi metterò online uno dei soliti racconti associati.

Che poi, a questo punto mi domando: scrivere il racconto dei miei tirocini vale come scrittura? Cioè sono ancora uno scrittore, e quella è narrativa? Ed è narrativa che vale qualcosa? La risposta - secondo me - è che sì: sono ancora uno scrittore, anche se forse con risultati essenzialmente mediocri.

A ben vedere - dal punto di vista della scrittura - forse in tutti questi anni non è cambiato un bel niente ^^.

Ci sono invece alcune novità per quanto riguarda la Croce Rossa. Non ve ne ho parlato mai, ma negli ultimi tempi - nel mio gruppo di volontari - c'è stata un'aria che non mi è piaciuta troppo. La Croce Rossa sta cambiando, e a molti di noi alcuni cambiamenti non piacciono. C'è un po' di scoraggiamento per i vecchi problemi che rimangono invariati, fare le cose che ho fatto finora iniziava a stancarmi... e insomma, ho meditato un po' l'idea di lasciar perdere e cercare altre realtà con meno complicazioni.

Poi però mi sono un po' tirato su: ho fatto un corso di BLS-D ed è andato (come sempre) bene. Ho fatto un turno in ambulanza particolarmente interessante, e ho iniziato anche a smuovere le acque: questa sera devo seguire un corso sulla Protezione Civile, e Sabato parteciperò a un'esercitazione importante. L'idea è quella di iniziare a partecipare alle attività della Croce Rossa cercando di seguire il lavoro dei dottori e degli altri operatori sanitari.

Ho deciso insomma che mi piacerebbe - un giorno che sarò laureato e avendone la possibilità - fare il medico per la Croce Rossa. Che poi è un'idea che ho da anni, ma solo adesso riesco ad averne una visione più chiara e ho anche la possibilità di iniziare a muovermi in quel senso. La cosa che mi ha fatto più piacere, è aver visto che alcuni colleghi volontari stanno appoggiando questa scelta... e insomma dopo un momento di dubbio anche forte mi sembra che anche in questo senso stia nascendo un nuovo entusiasmo.

E anche in questo senso, come sempre, continuerò a tenervi informati.

Simone

16/10/11

Brano musicale: All you can bEat - Vieni a cercarmi.


Il mio gruppeto musicale ha finalmente un nome: All you can bEat.

Un gioco di parole tra un ristorante di quelli dove si mangia fino a strafogarsi e un qualcosa che invece ricorda un po' più la musica. Non è detto che sia il nome definitivo, comunque per ora ci piace e va bene così.

Insieme al nome abbiamo iniziato a registrare i primi brani in maniera un po' più decente: una semplice registrazione live in sala prove, con tutti i difetti del caso (a volte la batteria suona un po' lontana, secondo me) ma tutto sommato ascoltabile.

Da oggi in poi insomma inizierò a proporvi qualche brano originale e non semplici cover. Il testo e la melodia sono scritti dal cantante e chitarrista del gruppo, Mattia. Poi c'è il basso aggiunto da Gianluca e infine la parte di batteria che - almeno per questi primi brani - ho aggiunto io sopra alla musica che già c'era.

Inizio col proporvi un pezzo che è un po' una ballad di quelle lentissime che però si evolve verso un qualcosa di più movimentato. Si intitola "Vieni a cercarmi", e spero sinceramente che il risultato sia di vostro gradimento.

Simone

13/10/11

Medicina dopo una laurea in Lettere e un lavoro in editoria: la mail di Livia.

Caro Simone, mi chiamo Livia e ho 27 anni. Ti scrivo perchè sono giorni che leggo e rileggo il tuo blog....

Sono figlia di medico, e fin da piccola il mio sogno (o almeno quello che credevo) era fare la pediatra. Un giorno tutto questo cambia: in questi mesi ho cercato più volte con la mente di ritrovare quel momento in cui tutto è cambiato, ma la verità è che forse non è mai esistito un momento preciso in cui ho deciso di non fare più il medico. Semplicemente non ci ho più pensato.

Presa dall'arte, dal teatro, dal cinema, e chissà da quale altre per me ormai effimere aspirazioni mi sono iscritta a Lettere. E in cinque anni sono riuscita a discutere a pieni voti ben due tesi di laurea. Da quattro anni ormai ho un bel posto di lavoro, in quella che "dovrebbe essere" la più grande azienda culturale italiana.

Allora che vuoi, potresti dirmi? Beh... credo di aver sbagliato tutto. Prima è stato un piccolo sibilo nell'orecchio, quasi un fastidio quando vedevo ragazze che studiavano medicina: ero gelosa! Poi il sentirmi non utile per la società, non realizzata, vedere tante persone intorno a me "parcheggiate", che lavorano senza stimoli e senza impegno, o magari così stressate e prese anche se secondo me si stanno occupando solo di cose frivole, non stanno salvando una vita.
 
Di paure ne ho tante. Come farò con i soldi, come farò con un figlio ed una famiglia, come farò partendo ben 10 anni dopo gli altri, come farò a rimettermi a studiare... 
Sono convinta e conscia di tutte le preoccupazioni e non mi sento pienamente sicura di buttarmi in questa avventura, ma questo tarlo che mi logora il cervello non riesco a scacciarlo.

Forse non mi risponderai, anche perchè questa lettera non ha bisogno di una risposta, è una contraddizione vivente. Sappi però che leggere di te, che vivi un sogno che vorrei fosse mio, mi dà una speranza reale, che forse però non coglierò mai.

Riporto, brevemente, la mia risposta:

Ciao Livia! Anche io ero come te: cioè avevo il mio lavoro (tra l'altro molto leggero) scrivevo libri e sul blog parlavo di stupidate o di letteratura e cinema. Anche io mi sentivo stressato e senza stimoli, e sentivo che le cose che facevo erano poco importanti per me. Però non credo che un medico - a priori - sia più utile di uno scrittore o del redattore di una rivista. Penso che il mondo sia molto più complesso e che ognuno nel suo ruolo può fare o non fare a seconda di come si comporta. Insomma tutto sommato non serve diventare medici per avere un ruolo più concreto nella vita di tutti i giorni, per cui rifletti su questo!

Detto ciò, secondo me è vero che inizieresti 10 anni dopo gli altri, ma sarebbero sempre 5 anni prima di me e se tutto va bene dopo laurea e specializzazione dovresti finire prima dei 40 anni. Io a 40 anni entrerei alla specializzazione, per cui è tutta un'altra situazione non credi? E se hai una persona vicino o la stai cercando durante la specializzazione vieni pagata, per cui farti una famiglia non sarà così impossibile.

In ogni caso la scelta è tua, la mia è solo una riflessione.

Simone

10/10/11

Seconda laurea in Medicina: quarto anno, primo quadrimestre.

Le lezioni sono iniziate da qualche settimana, e posso dirvi qualcosa di più concreto sul quarto anno di Medicina e su come mi sto trovando.

In questo momento si sono appena concluse le lezioni di Patologia Integrata 2: Urologia e Nefrologia. In sostanza 3 settimane di corso per 700 pagine di libro, più appunti di Farmacologia, più Anatomia Patologica, più delle slide di Medicina di Laboratorio, e più non so cos'altro. Complessivamente non sarà proprio tantissimo (altri esami toccavano le 2000 pagine) ma in questo stesso quadrimestre c'è anche un altro esame, per cui alla fine tutto insieme inizia ad essere anche un po' preoccupante.

Devo ammettere che questa cosa di integrare le varie materie (da cui i nomi Patologia Integrata 1, 2, 3, 4 e 5) mi manda veramente in crisi: invece di studiare un esame solo, tutto in una volta, le varie materie sono spezzettate e sparse per i vari corsi suddivisi secondo le varie discipline mediche. L'idea alla base di tutto questo sarebbe di esaurire un singolo argomento (mettiamo la pneumologia) dandoti da studiare insieme tutte le materie di Medicina, ma soltanto nella parte che si riferisce all'argomento in questione. Cioè i farmaci del polmone, come si visita il polmone, come si operano i polmoni, come si fanno le lastre ai polmoni, quali sono le malattie dei polmoni, cosa vedi al microscopio quando guardi i polmoni eccetera eccetera.

Che sulla carta è una bellissima idea, ma in pratica rendono ogni esame un mezzo incubo da preparare su più libri diversi e con un'infinità di professori. Poi magari mantenere tutte le materie divise così come erano una volta sarebbe stato ancora peggio, chi lo sa? A me - comunque - mi è toccata così, ed è inutile starci a rimuginare più di tanto.

A parte questo, mi pare che il corso stia andando liscio come non mai: ho già fatto un po' di tirocini (dell'esperienza in sala operatoria vi ho già parlato qui), e terminati quelli che restano passerò un paio di settimane a seguire un reparto. Andare in ospedale continua a piacermi molto, e anzi più passa il tempo e inizio a capirci qualcosa e più mi trovo a mio agio e mi interesso a quello che vedo. Rispetto agli scorsi anni poi si inizia a vedere molta più chirurgia insieme a procedure mediche più delicate (anche perché i reparti che frequento ora sono essenzialmente chirurgici). E se da un lato questo fatto rende i tirocini più impegnativi, dall'altro lato c'è anche la soddisfazione di sentirsi a tutti gli effetti inserito nell'ambiente ospedaliero... anche se - per il momento - la mia unica mansione è quella di stare lì e rompere le scatole agli specializzandi.

Volendo fare qualche previsione per il prossimo futuro, questo quadrimestre si prospetta molto interessante. Le lezioni (come sempre) non mi prendono molto, però i tirocini mi piacciono e non vedo quasi l'ora di fare anche i prossimi. Temo purtroppo che fare entrambi gli esami sotto le feste di Natale sarà difficile, e se contiamo pure gli esoneri di Farmacologia molto probabilmente finirò per ritrovarmi con qualcosa da recuperare. E insomma, la mia previsione è che la prossima estate la passerò di nuovo a studiare chiuso dentro casa mentre gli altri se ne vanno al mare.. ma che ci voglio fare? Prima che me lo dica qualcun altro (che poi gli rispondo anche male) la bicicletta l'ho voluta io, e mi sta bene così.

Ma intanto adesso viene l'Inverno e pensare all'estate è un bel po' troppo prematuro. Intanto seguo, studio, e vado in reparto. E poi si vedrà.

Simone

07/10/11

Il cancro al tempo dell'iPod.

Se lo chiedete a me, io credo che Steve Jobs abbia avuto il grande merito di sdoganare e rendere universalmente utilizzate delle innovazioni che rischiavano di restare poco conosciute, se non unicamente appannaggio di qualche appassionato.

L'idea di semplificare una tecnologia e di renderla esteticamente affascinante (guardate soltanto la differenza tra i primi lettori MP3 e un qualsiasi modello dell'iPod) è il vero genio ed è stata la vera rivoluzione portata avanti da Jobs, visto che ormai determinati prodotti li conoscono e li possiedono tutti.

Credo che l'eredità di Jobs non si perderà facilmente, e che la spinta che ha dato all'innovazione tecnologica ci porterà in pochi anni ad avere in tasca degli oggetti sempre più rifiniti, funzionali e - tutto sommato - sempre più indispensabili in una società così veloce e informatizzata come la nostra.

E poi, dall'altro lato, c'è il cancro. Un qualcosa che può arrivare e ucciderci, senza che nessuno di noi possa opporsi. Il cancro al Pancreas che uccide Steve Jobs, una delle persone più grandi, famose, geniali e influenti del pianeta, è come la conferma - firmata e sottoscritta dalla scienza moderna - che dietro ai nostri schermi da milioni di pixel, nonostante le tonnellate di dati che possiamo scambiarci a distanze incredibili, e avendo in tasca un concentrato di tutta la tecnologia mai sviluppata dall'umanità, siamo solo degli esseri deboli, indifesi e in balia di una natura che può calpestarci in ogni momento.

Insomma, la morte di Steve Jobs, come la morte di un numero enorme di altre persone ogni anno, mi lascia sgomento. Mi fa pensare alla vita che facciamo come a una messa in scena: il lavoro, il divertimento e tutta questa tecnologia che ci sommerge fino al punto che abbiamo tanti di quei gadget e computer da non sapere più dove metterli, sembrano quasi uno stratagemma per distrarci dal nostro destino. Alle volte abbiamo quasi l'impressione che gli oggetti che riusciamo a comprare ci realizzino, ci rendano belli e importanti, quando invece siamo indifesi e senza armi contro un nemico invincibile.

È facile davvero, di fronte a certe notizie, abbandonarsi allo sconforto e al fatalismo: che ci vogliamo fare? La vita è questa, e di fronte alla malattia non resta che la rassegnazione e - per chi ci crede - la preghiera.

E invece non è vero.

La medicina non è come l'informatica, dove lavori su un qualcosa che hai inventato tu, e dove puoi gestire tutte le variabili. La medicina non è come la fisica, dove un evento può essere riprodotto uguale e identico a sé stesso, infinite volte.

La medicina interagisce con la biologia e con la vita. Va a mettere le mani in un meccanismo tarato, ripulito e selezionato da milioni di anni di evoluzione, quando di un maledetto telefono cellulare - 100 anni fa - uno non riusciva nemmeno a immaginarsi l'esistenza.

Eppure - piano piano - anche in medicina qualcosa succede. Vi faccio un esempio: negli anni '70, soltanto il 20% dei pazienti con un tumore alla prostata era ancora in vita a 10 anni dalla diagnosi della malattia. Oggi, invece, questa percentuale si avvicina al 70%. Lo stesso vale anche per tante altre forme di cancro, dove le statistiche si sono spostate sempre più a favore degli ammalati. Rimangono, purtroppo, alcuni tumori che ancora oggi sono particolarmente difficili da affrontare. Proprio come quello - come si vede dall'impietosa statistica qui riportata - che ha colpito Steve Jobs.


Ma ogni anno vengono sperimentati nuovi farmaci. E se sono migliori dei precedenti vengono immessi sul mercato e messi a disposizione dei pazienti e dei loro medici. Un farmaco migliore, se parliamo di chemioterapici, è anche solo un qualcosa che allunga la vita di un paziente di altri due mesi. E a leggerlo così fa gelare il sangue: due mesi in più - e basta - grazie a un composto chimico che ha richiesto anni di sperimentazione.

Ma anche un solo minuto in più, vicino a una persona cara, può voler dire tantissimo. E ogni un singolo istante strappato alla malattia significa che un altro po' siamo andati avanti. Che questo male terrificante non è realmente imbattibile, e possiamo davvero arrivare a sconfiggerlo.

Io sono convinto che - un giorno o l'altro - ci riusciremo. E anche prima di quanto pensiamo.

Simone

05/10/11

Entrare a Medicina: dove studiare, e quali materie? I dubbi di Marco.

Ricevo e condivido con voi questa e-mail che mi è arrivata:

Ciao Simone,

mi chiamo Marco, sono laureato in Giurisprudenza e attualmente lavoro presso un'azienda operante nel mio campo. Direi che posso ritenermi un ragazzo fortunato, almeno rispetto alla media dei giovani d'oggi, ma malgrado questa consapevolezza qualcosa non mi "torna".

Da tre mesi a questa parte, provo un senso di grande irrequietezza... mi è ritornato un pensiero che avevo a 20 anni: diventare medico. Hai capito il motivo di questa e-mail! :)

Sono super convinto che questa sarebbe stata (anni fa) e potrebbe essere, la strada che fa per me. Ovviamente è dura, ma come tu insegni nulla è impossibile! Tralasciando i vari dubbi sulla bontà o meno di questo proposito, su come far convivere il lavoro, la famiglia ecc... con gli studi, pensieri e paure che ho scardinato (anche grazie al tuo blog), vorrei chiederti delle informazioni più tecniche.

Avendo passato tutta la mia vita ad evitare certe materie scientifiche come ad esempio la matematica, è certamente un bene iniziare a studiare quanto prima per il test d'ammissione del prossimo anno. Detto questo però, visto l'età che avanza, vorrei cercare di finalizzare lo studio delle materie oggetto del test (chimica - fisica e matematica) ad un obiettivo più vicino nel tempo e sopratutto orientato a "portarmi avanti" nel caso riuscirò a passare il test d'ammissione.

In sostanza vorrei iscrivermi ai singoli esami di chimica, matematica e fisica medica e biochimica (cosa consentita in tutti gli atenei fino ad un massimo di 20 crediti) in modo da poter farli riconoscere il prossimo anno. Il problema è che a medicina (e forse nemmeno a biotecnologie), questa possibilità non è concessa. Infatti per ragioni di numero chiuso, il Consiglio di Facoltà ha precluso il diritto di frequentare singoli insegnamenti.

Dovrei dunque emigrare alla Facoltà di Matematica e trovare questi corsi (o simili) per seguirli e dare gli esami. In questo modo nel prepararmi al test di ammissione, studierei per gli esami che (si spera) mi verranno calcolati come buoni al primo anno di medicina.

Ti chiedo: di solito quali sono i corsi che vengono riconosciuti? Ad esempio a scienze naturali (numero aperto) c'è chimica organica ed inorganica. Quale dei due rispetto alla chimica fatta a medicina può essere riconosciuto? Istologia - bio. molecolare, biochimica e genetica?

Mi sarebbe davvero d'aiuto un tuo consiglio. A dire la verità stavo anche meditando di andare in Romania (dove non c'è test), poi ho abbandonato l'idea perché ho pensato che mi incasino ancora di più l'esistenza al momento in cui rientro in Italia.

Grazie mille,

Marco.

Quella che segue è la mia risposta... ma - trattandosi di un argomento davvero complesso - sarei grato a chiunque volesse lasciare i propri consigli o anche solo la propria opinione:

Ciao Marco!

La scelta di cosa fare "in attesa" di entrare a Medicina è un discorso molto complesso. Io conosco vari ragazzi che hanno fatto il cosiddetto articolo 6 (fare 2 esami di Medicina essendo iscritti a un'altra facoltà), per cui questa cosa almeno a Roma è possibile... però a dire il vero non mi è parso questo grande vantaggio perché per le frequenze e i laboratori obbligatori i professori gli rendevano davvero la vita un po' complicata.

Io credo poi che ai fini del test di ammissione le cose stiano diversamente: cioè, un conto è studiare esami nella speranza che ti vengano riconosciuti, e un altro conto è studiare per il test. Sono materie diverse e diverso è il tipo di esame. Per il test ti consiglierei di studiare Biologia e Chimica, ma se non ti eserciti con gli esercizi dei test passati rischi di non capire bene come e cosa studiare per l'ammissione.

Come esami da farti riconoscere, io direi di puntare su Chimica e Fisica che potrebbero riconoscerti più facilmente. Considera che anche io ho dovuto fare un'integrazione per Chimica anche se l'esame che ho fatto a Ingegneria in confronto a quello di Medicina era enorme. Anche Biologia e Genetica sono esami che potrebbero tornarti utili, ma spesso nei corsi di Medicina vengono accorpati e magari per il riconoscimento potrebbero farti storie.

I corsi del primo anno di Medicina sono Istologia ed Embriologia, Biologia e Genetica, Fisica e statistica, Chimica. Che ti riconoscano o meno un esame puoi anche provare a vederlo sull'ordine degli studi dell'Università che ti interessa... almeno alla Sapienza c'è uno schema piuttosto sintetico che indica quali esami vengono riconosciuti da quale facoltà.

Però a dirla tutta secondo me ti vai a infilare in un sacco di casini: farsi riconoscere gli esami è una guerra, e forse ti conviene fare un anno di Biotecnologie dove studi materie che poi trovi anche al test e che possono darti più possibilità di entrare. Ripeto però che il test di ammissione è diverso dagli esami universitari, dove per dire non ti chiedono la tavola periodica a memoria o nozioni di cultura generale.

Infine non vedo dove sia il problema con la Matematica: a Medicina di Matematica non si fa nulla, e Fisica è una barzelletta. Al limite la Matematica può valerti qualche punto durante il test, ma conta meno delle altre materie e una volta entrato non ti chiederanno mai nemmeno di fare una moltiplicazione.

In bocca al lupo!

Simone

04/10/11

Drum cover: Rise Against - Re-Education (Through Labor)



Ormai c'ho preso gusto con 'sta storia delle cover, e mi sa che inizierò a proporvi qualcosa periodicamente. Oltre a questo ho registrato alcuni brani col mio gruppetto, e secondo me ora che mi arrivano le versioni sistemate ci sarà qualcosa di interessante da farvi sentire.

Intanto per questa volta suono una canzone sconosciutissima di un gruppo ignoto (Re-Education through Labor dei Rise Against), che io ho sentito solo perché stava dentro uno dei 200 mila Guitar Hero e giochi analoghi che sono usciti qualcosa come 4 anni fa. Guitar Hero per chi non lo sapesse è un giochino dove suoni con la chitarra o la batteria di plastica con i bottoni colorati... finché non ti rendi conto che se suoni gli strumenti veri pensano tutti che sei figo mentre con quelli di plastica - stranamente - no.

Che poi è di plastica pure la Roland che uso adesso... ma vabbè: in questo video si vedono e si sentono anche diverse cose:

- So addirittura fare una specie di rullata, ma mi è venuta per caso.

- Mi sa che devo mettermi a dieta, oppure spostare la prospettiva un po' più indietro oppure anche solo comprarmi delle magliette meglio.

- Se sentite un fill a 300 mila bpm non sono io che sono stocavolo ma è che sono andato un po' fuori tempo rispetto all'mp3 che sta sotto e sembra che do il doppio dei colpi. Almeno credo.

- Se suoni sopra un brano e ti scordi di colpire i piatti e sotto si sente l'audio originale, questa cosa dà a tutto il video una sensazione bruttissima di tipo che in realtà non stavi suonando veramente tu. Lo vedete verso tipo dopo la metà.

Vabbe', ho finito: ciao!

Simone

02/10/11

La prima volta in sala operatoria.

Quarto anno di Medicina. L'appuntamento con gli altri studenti è alle 8 davanti al reparto di Urologia. Arriviamo alla spicciolata, e alla fine non mi metto a contare ma saremo una quindicina.

Entrati dentro, ci ritroviamo come tante altre volte a vagare in un labirinto di scale e corridoi, in cerca del reparto giusto. Quando finalmente lo troviamo (sarà passato un quarto d'ora) il nostro professore decide che siamo troppi per restare tutti ammucchiati, e decide di dividerci.

«Voi cinque andate con lui» dice a un gruppetto di noi, indicando uno dei suoi assistenti.

«Altri cinque nell'altro reparto» aggiunge, scaricando altri studenti a una dottoressa che sarà l'unico urologo di sesso femminile del pianeta. «Voialtri, invece, venite con me».

Nel gruppetto degli ultimi rimasti ci siamo io, Silvia, Francesca e un'altra ragazza che conosco poco. Sono convinto che nel migliore dei casi finiremo nel giro visite o a maneggiare qualche poveraccio di paziente. Ho anche letto che da qualche parte hanno un simulatore di prostata, per cui magari ci faranno esercitare con quello: m'immagino già dentro a una specie di realtà virtuale, col casco 3D e una tutina attillata con addosso tutti i sensori... però ho il mezzo sospetto che il simulatore vero sarà un pochino diverso.

«Noi invece andiamo in sala operatoria» spiega il professore, mentre sistema le sue cose e chiude a chiave lo studio.

E non dico che a quel punto c'è stato il panico incontrollabile... però quasi: io in sala operatoria non ci sono ancora mai stato. Lo sapevo che prima o poi mi toccava, e già mi ero preparato all'idea da un sacco di tempo come in una sorta di training autogeno medicalizzato. Mi hanno trascinato a vedere un paio di autopsie, vi ho già raccontato delle teste mozzate a lezione di Anatomia, e in ambulanza qualche scena un po' sanguinolenta mi è capitata. Però, insomma, è uguale: io di andare in sala operatoria mi cago sotto lo stesso.

«Qualcuno di voi sviene, o si sente male?» domanda il professore. Sottintendendo che nel caso possiamo anche declinare l'invito, e andare a rintanarci tra le prostate virtuali.

«Speriamo di no» rispondo io, stringendomi nelle spalle.

Guardando le mie colleghe, mi rendo conto che anche per loro la situazione è la stessa: in tre anni di università nessuno di noi ha mai assistito a un vero intervento, e non è che ci sia questa gran convinzione di volerlo fare. Che poi invece ci sono quelli fissati che vogliono fare i chirurghi o i patologi o il tizio tipo CSI che fotografa la scena del crimine, e fanno a gara quasi per non perdersi una roba chirurgica che fosse una... ma noi quattro evidentemente no. E che uno possa finire col laurearsi in Medicina senza mai vedere un intervento chirurgico è a tutti gli effetti una cosa che mi pare un po' strana... eppure reputo che sia un'eventualità possibile.

Comunque sia nessuno di noi si tira indietro, e seguiamo il nostro professore lungo le scale verso il piano dove si eseguono gli interventi.

Speriamo almeno che sia un intervento tranquillo. Rifletto, tra me e me. Magari una medicazione, o un'unghia incarnita.

Invece il professore ci spiega che assisteremo a una nefrectomia con annessa splenectomia di elezione, che vuol dire che fanno un taglio talmente grande che solo a sentirne parlare quasi svengo che ancora sto scendendo le scale. L'unico intervento peggiore che posso immaginarmi è che taglino il paziente direttamente a metà, per poi operarlo in due sale operatorie separate... e comunque no: che io sappia, questa non è una cosa che fanno davvero.

Arriviamo nell'anticamera della sala operatoria, e ci fanno indossare una casacca usa e getta, una mascherina e una specie di cappellino che tiene i capelli. I guanti no, anche perché non rimarrebbero comunque sterili, e se solo tocchiamo qualcosa mi sa che si incazzano tanto. Mentre ci prepariamo, Francesca mi strattona rapidamente la manica del camice alcune volte.

«Questo è il segno» mi spiega. «Se faccio così, vuol dire che devi reggermi».

«E a me mi chi tiene, che peso il triplo di te?» Rispondo. Poi ci mettiamo a ridere, e la tensione scende un po'.

Finalmente entriamo nella sala operatoria vera è propria. Il paziente è sul lettino, già addormentato. Attorno a lui ci saranno dieci persone: tre chirurghi con relativi assistenti, un anestesista con due specializzandi, un tizio che si occupa degli strumenti e non riesco nemmeno a contare quanti infermieri e personale sanitario che entrano ed escono di continuo, portando il materiale necessario.

Noi ci mettiamo ai piedi del letto, dove bene o male riusciamo a vedere un 60% di quello che succede senza allo stesso tempo dare troppo fastidio.

Terminati gli ultimi preparativi inizia l'intevento vero e proprio, e c'è il primo taglio. La lama passa lungo la linea costale, affonda tra la pelle e il grasso, e c'è un po' di sangue: penso che se proprio non puoi fare a meno di svenire, durante un'operazione, credo che questo sia il momento migliore.

Ma nessuno di noi si sente male, e l'intervento va avanti. Il taglio si allarga, e con delle grosse spatole di acciaio vengono sollevate le costole e scoperto l'addome. Le mani dei chirurghi spariscono nel torace del paziente, e vedo quella benedetta milza che gli devono togliere immersa in ossa, adipe e muscoli che pulsano e si muovono seguendo la respirazione.

La paura è come un'onda che va e viene, che sale e scende, ritmicamente. Ma è sempre meno intensa, e sempre più facile da controllare. Finché, lentamente, scompare del tutto.

Mi sposto più avanti, nella sala, per andare a osservare il lavoro degli anestesisti: su degli schermi lampeggiano i parametri vitali del paziente, mentre lui è li che dorme. Intubato, con un ago nel braccio e dei cerotti che gli chiudono gli occhi. Avrà più o meno l'età di mio padre.

Rimaniamo in sala operatoria per circa un'ora e mezza, e terminato l'orario dei tirocini lasciamo l'intervento ancora in corso per andare a lezione: però mentre sto seduto al banco non riesco a concentrarmi per seguire, e penso a tutt'altro.

Io non voglio fare il chirurgo. Non ho mai pensato di volerlo fare, ed è una professione che non mi appassiona e non mi interessa. Ma il fatto è che - fino ad oggi - ero convinto di non poterlo fare. Di non riuscire ad affrontare una tensione e uno stress così grandi, e di non esserne semplicemente all'altezza. E invece nel vedere i chirurghi che lavoravano mi sono reso conto che è un qualcosa che si può fare, che si può apprendere. Ora sento che - se avessi voluto - avrei potuto fare anche quello.

C'è qualcosa, nel nostro modo di pensare, che ci fa credere che raggiungere certi traguardi sia impossibile, quando invece non è così. Viviamo a una frazione delle nostre capacità, sprecando talento e risorse dietro a cose misere e inutili. E quando racconto le mie esperienze, quando scrivo o quando parlo con chi mi chiede un consiglio, vorrei davvero riuscire a trasmettere questo messaggio: tante volte ci sembra tutto impossibile, ma invece non è vero.

Finita la lezione decido di tornare in reparto, e per qualche miracoloso colpo di fortuna riesco a incrociare il professore mentre sta salendo da un piano all'altro.

«L'intervento è terminato?» gli domando. «Volevo sapere se è andato tutto bene».

Ho l'impressione che lui ci metta un po' a riconoscermi: in fin dei conti sono solo una delle quattrocento persone che avrà visto nell'arco della mattinata, e forse l'espressione terrorizzata che avevo prima mi dava un aspetto diverso. O forse perché gli studenti non tornano mai a chiedere come è andata a finire l'operazione, chi lo sa? Poi mi racconta di vasi, arterie, ghiandole, e dei tanti altri dettagli della procedura chirurgica adottata. Di come è andato tutto come preventivato, senza che ci fossero stati problemi.

Anche il paziente, per fortuna, sta bene.

Simone