30/04/10

Scusate!

Mi è "parito" un post che andava ancora riveduto e sistemato, e che nella sua forma così di bozza suona veramente troppo polemico. Non che non volesse esserlo, ma dovevo metterci dentro un po' di battute per sdrammatizzare.

Ovviamente l'ho tolto subito, ma se siete iscritti al blog penso che vi sia arrivato lo stesso... insomma scusate!

Simone

27/04/10

Tre anni fa.

Tipica mattinata primaverile: c'è un bel sole, fa giusto un po' caldo e io, come di consueto, lascio la Smart davanti all'ingresso del comune. In divieto assoluto di sosta.

Salgo con un singolo passo i tre gradini che mi separano dall'entrata, supero un paio di tecnici incravattati che chiacchierano e vado dentro. Il portiere non mi degna di uno sguardo. Faccio giusto qualche metro, svolto a sinistra aprendo una porta a vetri troppo pesante per dare l'idea di un benvenuto, ed eccomi nell'ufficio protocollo.

Con me ho una 10/91. In gergo meno tecnico: la pratica relativa all'adeguamento di un edificio da civile abitazione alla legge n°10 del 91. In soldoni si tratta del progettino di un impianto di riscaldamento, e per l'esattezza sono quattro copie.

L'impiegato prende il mezzo metro di fogli che gli ho portato, toglie l'elastico che li tiene insieme e si mette a timbrare tutto quanto. Alla fine scrive qualcosa su di un registro, e mi restituisce la mia copia protocollata. Io ringrazio, torno alla macchina e chiamo il cliente con il cellulare:

"Pronto?" riconosco subito la voce del professore che mi ha commissionato il lavoro. Un fisico o non so cosa che mi racconta sempre di essere tanto malato, anche se a vederlo non si direbbe.

"Sono Navarra" dico al telefono. "Ho consegnato la sua Legge 10. Se vuole, passo subito a portarle la copia protocollata".

"Grazie, ingegnere! Venga pure, che l'aspetto".

"Le ricordo che c'era anche la fattura da saldare, per cui già che ci siamo gliela porto. A tra poco, allora!"

Il mio interlocutore non dice nient'altro, ma ho il sentore che la parola fattura non gli sia suonata troppo bene. In ogni caso monto sulla Smart, accendo motore, stereo e aria condizionata e parto. Tempo venti minuti, e sono sotto casa del cliente: un edificio ben tenuto, in una zona residenziale tutta parchi e strade coi sensi unici regolamente opposti a quelli che farebbero comodo a me. Trovo un buco in cui entrerebbe a malapena un cassonetto, e ci infilo la macchina salendo con le ruote posteriori sul marciapiede: un vero parcheggio da manuale.

Mi avvicino all'ingresso per citofonare, ma trovo il portone aperto e sento qualcuno che mi chiama.

"Ingegner Navarra" è la voce del professore che arriva dal primo piano. "Si sbrighi!"

Un po' confuso, entro nel palazzo. Percorro in fretta la rampa di scale che mi separa dal mio cliente, e mi ritrovo davanti a questo signore di sessanta e rotti anni, capelli arruffatti e completo di una taglia che non pare la sua e che mi aspetta sulla porta di casa.

"Ho un appuntamento dal dottore" mi dice, in un tono sofferente. "Meno male che è arrivato, perché stavo scappando".

Io capisco subito dove andremo a parare, visto che del resto già me l'aspettavo.

"Le ho portato il lavoro" spiego, mostrando le carte che ho in mano. "Come le ho detto al telefono, ci sarebbe anche la fattura da pagare".

"Ma certo! Mi lasci pure tutto, ingegnere. Grazie".

Con un gesto di pura maestria il professore mi sfila la roba dalle mani senza che io accenni nemmeno a oppormi. Appoggia il tutto su un mobile dell'ingresso, poi torna sul pianerottolo e chiude la porta dietro di sé".

"Ora la ringrazio, ma devo scappare dal dottore" dice, facendo per scendere le scale.

"Va bene. E per la fattura, come facciamo?"

Sono momenti di tensione veri, questi, altro che le cavolate tutte effetti speciali che si vedono al cinema, elezioni, campionati, scudetti e tutto il resto. E lo so che sono stato un idiota, e che il progetto non dovevo darglielo. Ma che potevo fare: strapparglielo dalle mani quando ha provato a sfilarmelo, e poi dargli una testata?

Si tratta di una situazione senza scampo: se gli dico nun ce provà, niente soldi e niente progetto! faccio io la figura di quello che non si fida di un povero vecchio malato e trasandato. E pure laureato in Fisica, poraccio lui! E tanto, se vuole, mi frega lo stesso: del resto, esistono anche gli assegni scoperti.

Potrei semplicemente mollargli uno spintone, e mandarlo giù per le scale. Così - se non altro - il medico gli servirà per davvero.

In ogni caso, il professore sembra intuire il mio stato emotivo, perchè si preoccupa di rassicurarmi:

"Non abbia timore" mi dice. "Domani stesso vengo in ufficio da lei, e le porto i soldi".

Che nel dialetto della gente che si finge malata pur di non pagarti, si potrebbe tradurre: ormai il lavoro me lo sono preso, per cui col cazzo che te lo pago!

E a tutti gli effetti il professore non si fece mai più vedere o sentire. Io evitai la patetica situazione di tornare sotto casa sua a battere cassa per poi sentirmi prendere per i fondelli in qualche altro modo, e alla fine per quel lavoro non presi una lira. Ma forse, chi lo sa: magari era malato davvero, ed è morto dieci minuti dopo che ci siamo incontrati. E io che sto pure qui a parlarne male, poverino!

Ma finiamo il racconto di quella giornata. Tornato alla mia macchina con le classiche pive nel sacco riaccendo il solito stereo, aria e motore, e faccio rotta verso l'ufficio. Sulla tangenziale c'è una fila che potete anche immaginarvi da soli, visto che sarà mezzogiorno, e per forza di cose mi ritrovo a riflettere sul mio lavoro.

Non che me la fossi presa più di tanto per questa storia della fattura: un cliente ogni tanto che non paga è nella norma, e fa parte della libera professione. Una volta non prendi una lira perché ti hanno fregato, una volta c'è da pagare una multa che azzera ogni guadagno, ma la terza volta magari va tutto più o meno bene, e più o meno le cose vanno avanti così.

Insomma, non sono i soldi il problema. È un po' il concetto di tutto lavoro in sé: a fare un impianto termico ci metto un paio di giorni. Poi faccio le fotocopie che finiscono in parte al Comune, in qualche archivio dove nessuno le vedrà mai, e in parte al cliente che non si prenderà nemmeno la briga di dargli una letta: a lui non serve tanto il progetto nella sua forma concreta, quanto il numero di protocollo che ci hanno messo sopra.

Ma insomma non è che ci voglia chissà quale impegno e chissà quale abilità, e a questo punto della mia vita penso che potrei scegliere di buttarmi completamente nella mia professione: potrei fare tante fotocopie con tante firme, e avere tanti protocolli da rivendere a chi ne ha bisogno per richiedere altri pezzi di carta. Che poi i soldi sono fatti di carta anche loro, così come le fatture. Per cui è un po' come se dalla stampante del mio computer uscisse direttamente del denaro, con la sola rottura di scatole che al Comune non si trova mai parcheggio e mi tocca lasciare la macchina in divieto di sosta.

Mi domando se gli altri lavori sono tutti così. Certamente il mio è particolarmente immerso in questa sorta di catena alimentare cartacea, ma oggi come oggi viviamo un po' tutti tra timbri e fotocopie, fatture e fascicoli, protocolli e fogli stampati. La burocrazia è diventata una specie di realtà alternativa in cui tutti hanno qualcosa da fare. Un mondo finto nel quale ognuno di noi può farsi scudo dei suoi pezzi di carta timbrati e firmati al punto giusto, ma dove sostanzialmente non si combina un cazzo.

La radio manda una canzone che non conosco. La tangenziale è un tira e molla di macchine che fanno tre metri e poi si fermano. Altri tre metri e poi si fermano di nuovo, da qui fino a casa.

Provo a immaginarmi come sarò tra dieci anni, e vedo una persona stressata e insoddisfatta che passa le giornate a inseguire scartoffie, burocrazia e gente che non vuole pagare. Mi domando se è davvero il mio destino, o se è solo una possibilità. Se sono ormai intrappolato in tutto questo, o se esiste ancora un modo per rientrare nel mondo reale e occuparmi di qualcosa di più concreto.

Mi chiedo se sono ancora in tempo per mandare tutto al Diavolo e cambiare strada, o se al contrario, a trent'anni, è già troppo tardi.

E, alla fine, la risposta è che non lo so. Non lo so. Per davvero.

Non lo so.

O forse mi manca solo il coraggio.

Simone

Nota: questo è il "seguito" di quest'altro post.

23/04/10

La libertà dei puntini grigi.

Mi è recentemente capitato di assistere a un seminario sulle reti neurali.

Di queste cose se ne parlava già 15 anni fa, quando studiavo Ingegneria. Io seguivo corsi su grafi, matrici e calcoli strutturali, e non ricordo bene in quale occasione qualcuno mi ha detto qualche parola su questi nuovi sistemi (per l'epoca) in grado di apprendere in maniera autonoma, sviluppati sulla base delle più moderne teorie sul funzionamento del nostro sistema nervoso.

E insomma di queste cose si parlava ma io non ne sapevo niente, finché durante questo secondo anno di Medicina ecco che mi fanno vedere qualche applicazione, sviluppata da due ricercatori che lavorano in non so quale dipartimento della mia università.

Si tratta di una serie di simulazioni realizzate al computer: per prima cosa ci vengono mostrati dei micro-organismi - rappresentati con dei puntini grigi che si muovono sullo schermo - che devono imparare ad acchiappare delle palline verdi, che rappresenterebbero invece il loro cibo. Io m'immagino una specie di Pac-Man che corre dietro a un panino al prosciutto, o che insegue un piatto di carbonara: cose che capitano quando le lezioni si tengono dopo mezzogiorno.

All'inizio i puntini grigi si muovono a casaccio. La maggior parte di loro non becca nemmeno un pallino verde, e finisce per restare a digiuno. Passa il tempo, e i puntini hanno imparato a correre dietro alla roba da mangiare, finché dopo un po' sono bravissimi a farlo e non rischiano più di rimanere a stomaco vuoto. E ok: fino qui, è tutto davvero molto elementare, e tutto sommato tra Pac-Man e un animale più complesso c'è una bella differenza. Credo.

Altra simulazione: una specie di omino (si vedono solo testa e occhi) deve imparare a guardare nel punto in cui compare il pallino verde di prima, anche se questa volta non si mangia ma si vede e basta. Immaginatevi una tettona che apre la finestra in un palazzo di 20 piani, e voi avete solo un istante per riuscire a guardarla prima che la richiuda. Per le donne, pensate a una di quelle foto che vi scambiate su Facebook col tizio mezzo nudo vestito da Babbo Natale, e voi che commentate: ecco cosa voglio per regalo quest'anno.

E insomma il programma parte, e all'inizio vediamo che l'omino punta lo sguardo a casaccio, senza alcuna idea precisa su cosa fare. Dopo un po', gli occhi e la testa iniziano a muoversi sempre più correttamente verso l'oggetto da osservare, finché a un certo punto non c'è più alcun margine d'errore e la tettona/modello sexy non fanno mai in tempo a richiudere la finestra dopo essersi accorti che fuori era pieno di guardoni con gli occhi di fuori.

Terzo e ultimo esempio: i nostri puntini grigi vengono messi in una specie di labirinto. Dietro alcune porte troveranno un premio (il panino col prosciutto di prima) mentre dietro ad altre si nasconde una sorta di evento negativo: tipo che la tettona è tettona perché pesa 180 Kg, o che Babbo Natale il regalo lo porterebbe volentieri... ma a vostro marito. Quello che vediamo sono i puntini che, inizialmente, non sanno proprio cosa fare e dove andare, ma che dopo un po' di tentativi capiscono e ricordano quali sono le porte da attraversare per prendere il premio, e non vanno più a finire nella stanza sbagliata.

Io in genere non faccio mai domande quando sono a lezione: un po' perché non vedo l'ora di andarmene e odio chi fa aspettare tutti quanti solo per chiedere qualche boiata, e un po' perché - come credo di aver scritto anche in passato - ci sono dei professori che se provi davvero a chiedergli qualcosa ti trattano malissimo, si segnano il tuo nome e cognome e poi all'esame sono cavoli tuoi. Però questa volta l'argomento mi interessa particolarmente, per cui alzo la mano.

«Secondo voi» domando. «Un essere umano è solo una rete neurale molto più complessa di quelle che ci avete mostrato, ma che essenzialmente segue le stesse regole?»

I due ricercatori si scambiano un rapido sguardo, come se fosse una domanda che gli pongono sempre e per darsi conferma di pensarla allo stesso modo.

«Sì» è la semplice risposta di quello che, in questo momento, ha il microfono in mano.

«Ma allora» aggiungo io. «Quando si sentono certi discorsi del tipo che una persona ha commesso un crimine perché da piccolo è cresciuto in un determinato ambiente... insomma, secondo voi questo sarebbe vero?»

I ricercatori mi sembrano farsi leggermente irrequieti: devo aver toccato un punto critico, o forse ho tirato in ballo un concetto troppo filosofico quando si parlava di cose tutto sommato un po' più pratiche. Più che altro, si potrebbe discutere di queste cose per sempre e ognuno avrebbe ancora qualcosa da aggiungere, ma io ero effettivamente curioso di sapere cosa ne pensavano loro. A rispondermi è sempre lo stesso studioso di prima.

«Data la complessità del sistema, è impossibile prevedere come agirà una persona, ed ognuno resta comunque responsabile delle proprie azioni. Per il resto, le cose stanno come ha detto lei: le nostre azioni derivano dalle nostre esperienze, senza alcuna libertà di decidere autonomamente».

Finita la lezione io prendo la mia roba, saluto i compagni di corso (che ovviamente mi prendono per il culo, terzo motivo per non fare mai domande a lezione) e raggiungo la mia macchina. Ma mentre guido ancora ci penso: secondo queste moderne teorie sul funzionamento del pensiero umano, io mi sono iscritto a Medicina a 32 anni pensando di fare una cosa chissà quanto fica, mentre invece era solo l'unica scelta che - dati i miei bisogni e i miei trascorsi - avrei mai potuto fare. Analogamente, se faccio lo scrittore non è per provare a comunicare qualcosa, ma perchè m'è toccato per sfiga o magari per il fatto che - da piccolo - ho attraversato chissà quale orrendo trauma.

E insomma mi ha un po' stranito, questa lezione. Che poi è anche una cosa positiva, perché se torni dall'università con qualche idea ancora in testa è anche possibile che - forse - non sia stato solo tempo sprecato... sempre che poi queste idee non ti spingano ad ammazzare qualcuno, come diceva il ricercatore di prima. Solo che appunto questa storia del pensiero che non è libero è difficile da mandare giù, e ho continuato a rimuginarci.

Il problema è che vengono fuori troppi discorsi filosofici, e a me personalmente non è che piaccia troppo perdermi in chiacchiere. Per dirne una: nella vita ci sentiamo spinti vero il piacere, il tornaconto personale, lo stare bene ignorando tutto ciò che non interferisce direttamente con noi. Forse annullare il nostro egoismo e le nostre pulsioni può scardinare il rapporto di causa ed effetto che manovra le nostre esistenze, rendendoci liberi. E non so voi, ma a me questo discorso sembra di averlo già sentito.

Eppure, se ci penso, anche questa scelta potrebbe essere il risultato delle leggi che governano i nostri pensieri. L'esperienza mi ha illuso che il mio bisogno di libertà sia soddisfatto dal ragionamento che ho fatto prima, e se anche agisco in questo modo, continuo a essere un puntino grigio che insegue un premio determinato dal caso. Siamo come una sfera che cade verso il basso o l'acqua che evapora per via del calore: dovunque questo ci porti, il nostro viaggio è solo una serie di immagini delle quali siamo solo spettatori che si credono protagonisti, e da tutto questo non abbiamo scampo.

La sera esco con qualche amico. Rincaso tardi un po' brillo, mi sdraio sul letto e ripenso ancora a queste cavolo di reti neurali. Nel buio della mia stanza, con i miei pensieri arrovellati in testa e dentro al petto un miscuglio di sensazioni diverse: ho le idee confuse. Un po' sono stanco per via dell'ora, ma un po' sono anche contento per la bella serata. Domani è una giornata senza nulla di speciale, ma alcune cose potrebbero rivelarsi interessanti e allora c'è anche un minimo di anticipazione. Penso a quell'esame che mi sta facendo dannare, e a delle cose brutte accadute a qualcuno e che mi rendono triste. Mi torna alla mente una persona che non vedo da tanto, e sento che mi manca.

I puntini grigi, a queste cose non ci pensano. Quando tornano a casa, non stanno lì a rimuginare sul pallino verde che gli è scappato proprio all'ultimo momento, e anche se potessero farlo non ne avrebbero realmente coscienza. Un computer non prova sentimenti, e se anche fosse programmato per farlo non sarebbero le stesse sensazioni sperimentate da un vero individuo. Resterebbe solo una simulazione, una macchina. E le macchine non sanno di esistere.

Mi addormento pensando che c'è una componente del nostro essere che non sappiamo ancora nemmeno misurare. Che da un punto di vista della sopravvivenza è assolutamente inutile ma che - tutto sommato - è l'unica cosa che ci rende consapevoli della nostra vita e dei nostri pensieri.

E forse lì in mezzo, da qualche parte, si nasconde anche la nostra libertà.

Simone

19/04/10

Elenco di cose da scrivere.

Visto che è un bel pezzo che voglio scrivere alcune cose, ma non lo faccio mai, butto giù un elenco così voi saprete cosa (non) leggerete in futuro e io magari avrò un promemoria con cui provare almeno a tenermi un minimo più concentrato.

Purtroppo gli esami e lo studio e anche un po' di lavoro sono stati un po' faticosi, e concentrarsi sulla scrittura in questi ultimi due mesi è stato difficile. Insomma, proviamo a darci un po' una scrollata:

Cose da scrivere da qui a (si spera) prima dell'età pensionabile:

- Altri post sui turni in ambulanza, che credo siano interessanti. E in generale altri racconti semi-autobiografici e semi-divertenti.

- Il famoso nuovo romanzo che ancora non "viene". Ormai ho decine di tante piccole idee, che però mescolate non fanno una storia manco a pagarla. Magari tante idee possono fare tanti racconti... ma poi senza romanzo sempre rimango. Comunque ho un nuovo titolo provvisorio: l'ultima persona normale. La storia non è autobiografica (anche perché il titolo sarebbe fuorviante) e al momento consiste di un mix di episodi che ho in mente, che però messi insieme non hanno né capo e né coda. Ci vuole l'ispirazione fulminante, mi sa.

- Altri articoli del tipo come inventare una storia. Così magari finalmente m'imparo. Il problema è che di film ormai ne vedo pochi, non seguo più di tanto i fumetti e i libri su cui mi concentro di più parlano di Biochimica e Neuroanatomia. Insomma, non è che abbia proprio tutte queste fonti di ispirazione. Dovrei buttarmi ancora su qualche classico, ma allora devo trovare qualcosa che sia adeguato.

- Questo elenco, che così già almeno una cosa l'ho scritta ^^.

- Un racconto fantascientifico sulla pillola abortiva, sullo stile di N°15: Moro. Certo che è un po' pesante, come tema, ma l'idea che ho avuto mi pare abbastanza forte. E meno male che ho appena detto (2 o 3 post più indietro) che voglio dire quello che penso in maniera più diretta, eh!

- Pubblicare in formato MP3 le canzoni che scrivo col mio gruppo di musicisti emergenti nel quale faccio da batterista e che al momento non trova un produttore per fare un CD. Oh, sì, ovviamente sto scherzando: non ho nessun gruppo, non ho scritto nessuna canzone e speriamo che non succeda mai!

- Rivedere Primo Mazzini e la stanza fuori dal tempo secondo le indicazioni che mi ha dato un'agenzia letteraria. Ma non è che poi mi aspetti che mi rappresentino o altro: il loro effettivo atteggiamento è un po' una grossa incognita, e anzi mi pare più no, che sì. Insomma: bo'?!

- Rivedere Mozart di Atlantide. Che poi vorrebbe dire riscriverlo da capo, visto che non c'entra nulla con come scrivo adesso. Ma riscrivere un libro per poi non pubblicarlo lo stesso (vi ricordo che è fantascienza, per cui nessun editore vorrà nemmeno leggerlo) non è proprio una prospettiva esaltante. Credo.

- Scrivere Primo Mazzini e la stenza fuori dal tempo 2. Che poi il titolo non sarebbe proprio quello, ma qualcosa del tipo: Primo Mazzini e l'identità del nulla.

Il seguito delle cose che succedono al dottor Mazzini ce l'ho un po' tutto in mente, e non mi pare nemmeno niente male come idea. Ma scrivere il secondo libro quando il primo ancora non trova un editore è al limite del masochismo. Ho sempre pensato che avrei dovuto scrivere Primo Mazzini 2 solo una volta (eventualmente) piazzato il primo romanzo, anche per non ritrovarmi poi con eventuali casini in fase di revisione e di editing. Per cui insomma, bo': non so tanto bene come muovermi nemmeno qui.

Comunque sia, eccola qua: la lista è fatta, e devo solo mettermi lì a rimuginarci un po' sopra.

E speriamo che venga fuori qualcosa.

Simone

14/04/10

Gli ebook in via di estinzione.

Come avrete certamente notato se seguite il mio blog, e come invece vi informo adesso se è la prima volta che capitate da queste parti, la scorsa settimana ho reso disponibile la versione epub di un mio romanzo, Il gatto che cadde dal Sole.

È da un po' di tempo che sto convertendo i miei lavori in questo formato, più adatto ai lettori portatili come il Kindle e l'ormai imminente (almeno in Europa, visto che in America è già uscito) Ipad della Apple. Il primo a essere rivisto è stato - come ovvio - Primo Mazzini e la stanza fuori dal tempo. Poi ho sistemato il mondo quasi nuovo, e infine è stata la volta del libro dei gatti. Tra un po' di tempo metterò a posto anche Codice Aggiunto, e almeno per quanto riguarda i testi che reputo più interessanti dovrei aver finito.

La verità, però, è che questo passaggio all'epub è stato più un lavoro che mi sentivo tenuto a fare, che di un qualcosa in cui credo oramai più di tanto. Mi spiego meglio: io rendo e renderò sempre disponibili online le cose che scrivo, e mi pare ovvio che debba sempre restare al passo con i formati e le novità più recenti. Tuttavia, le potenzialità che sembrava possedere l'oggetto ebook, inteso come un testo completamente scritto, riveduto e distribuito da una singola persona, mi sembrano essere state col tempo sempre più sprecate e disilluse.

Facciamo un esempio: Mozart di Atlantide l'ho reso disponibile nel 2007, e in un paio di mesi è stato scaricato 2 o 3 mila volte. Davvero non ricordo la cifra precisa, ma 700 accessi sono arrivati solo nei primissimi giorni da quando l'ho messo online. Moltissimi altri sono seguiti in breve tempo, e poi ogni mese - per anni - il link relativo al romanzo è stato cliccato almeno 2 o 300 volte. Come se non bastasse all'epoca non avevo nemmeno un blog, e per promozione usavo solo un sito bruttissimo e lo spam che inserivo su qualche forum.

Codice Aggiunto: è l'ultimo romanzo che ho messo online. In 4 mesi, è stato scaricato circa 300 e rotte volte. Che non è nemmeno così male, ma è sempre un rapporto praticamente di 10 a 1 con il mio primissimo ebook. La differenza è che ora ho anche un blog, e che ho avuto quasi 3 anni di tempo per farmi pubblicità e per aumentare la visibilità e il numero di persone che potrei potenzialmente raggiungere.

E il problema non è solo nei numeri: fino a qualche tempo fa, di ebook gratuiti si parlava almeno un po' in giro. Se rilasciavo qualcosa mi trovato il link su qualche forum, uscivano fuori due o tre recensioni e arrivavano un po' di email di chi lo aveva letto e voleva darmi la sua impressione. Adesso c'è un mortorio totale: scrivi una cosa, la metti sul blog, e poi finisce che non ti si fila davvero nessuno. O meglio, qualche commento e recensione arrivano sempre, ma comunque in un numero molto ridimensionato rispetto a quello che avveniva nei primi tempi.

Qualcuno penserà che il motivo per cui questo accade sia abbastanza semplice: chi frequenta la rete già mi conosce, e non è interessato a leggere altro scritto da me. Può darsi. Penso che le cose non stiano per niente così, ma comunque - ripeto - può starci anche questo. Solo che un rapporto di 10 a 1, da quando l'ebook praticamente non esisteva a oggi, mi fa pensare piuttosto a tante altre cose:

Intanto è passato l'effetto novità. Prima un autore che metteva un romanzo online era un innovatore, una specie di eroe coraggioso che regalava praticamente tante ore di scrittura e lavoro di revisione, al solo scopo di farsi conoscere un po' da qualche potenziale lettore. Ora la novità è passata, e non c'è più poi tanto di speciale nel regalare qualche ebook tramite un blog o un sito web.

C'è in giro troppa roba. Su certi siti c'è una tonnellata di link a file, raccolte, pdf o file di natura varia, e tutti spacciati come bellissimi ebook gratuiti. Adesso, come fanno i lettori a scegliere cosa leggere? Evidentemente c'è stato un'aumento dell'offerta, ma i lettori non hanno modo di essere informati su tutto quello che sarebbe eventualmente disponibile, e un romanzo anche carino affoga tra centinaia di migliaia di racconti brevi di qualità estremamente variabile.

La qualità è troppo bassa. Come fa qualcuno a sapere che un ebook è buono, o se si tratta piuttosto di una fregatura? Certo che sono gratis, ma il tempo resta tempo prezioso e a nessuno va di leggersi una robaccia insostenibile. Il risultato è che, almeno nella mia impressione, la gente scarichi magari gli ebook ma poi non li legga e non si appassioni, pensando che quello che potrà trovare al loro interno sarà comunque meno interessante di un qualsiasi testo comprato in libreria.

Non c'è un vero interesse. I siti di appassionati si occupano raramente di ebook. Molti poi fanno una selezione a priori di quello di cui si può o non si può parlare, scegliendo solo determinati generi, autori, trame, idiomi, editori e distributori in una sorta di apartheid digitale nel quale sentirsi eticamente appagati. Altri ancora passano qualsiasi comunicato stampa di qualsiasi cosa provenga dai canali tradizionali, ma un autore che rende disponibile un ebook non viene preso seriamente o considerato per lo meno a livello di un micro-editore (cosa che in effetti è, avendo creato e distribuito quello che è comunque un prodotto editoriale) per motivi che - sinceramente - non ho mai capito e dubito che abbiano ben chiari anche loro, per primi.

Si finisce insomma che i siti importanti, quelli che gli appassionati di certi generi leggono regolarmente, non nominano mai altro che i soliti testi, fumetti, film o libri degli editori veri e dei canali tradizionali, per poi tra l'altro regolarmente lamentarsi della mancanza di voci nuove o della mediocre qualità di quanto viene generalmente offerto.

Sono arrivati i grandi. Da quello che mi appare sempre più evidente, Ipad e Kindle vari sembrano chiaramente interessati a indirizzare i propri utenti verso gli store online, e verso i testi contenuti al loro interno. Come dicevo già tempo addietro, alla fine pubblicare un ebook sarà come pubblicare un libro cartaceo, perché se non si vuole passare completamente - o quasi - inosservati ci si dovrà comunque inserire nel modo e negli spazi corretti.

È anche vero che ci sarà sicuramente molto più spazio per piccoli e micro-editori, visto che inserire un qualcosa in uno store digitale non sarà impegnativo e costoso come stampare e distribuire un romanzo. Resta il fatto che il ruolo dell'autore che vuole comunque autoprodursi e autoproporsi si va in ogni caso a perdere, o sarà limitato a quelle persone in grado di gestire autonomamente anche i vari aspetti burocratici, economici, di marketing e di relazione con i negozi virtuali ai quali si vorrà proporre la vendita dei propri testi.

Insomma, eccoci qua. La libertà data dagli ebook, il concetto rivoluzionario dell'autore valido (o che si crede tale) che arriva da solo al proprio pubblico mi sembra sempre più una mezza utopia che si è schiantata contro la realtà del mondo editoriale e informatico. Tra un po' avremo tutti un Ipad o qualche diavoleria analoga, e avremo gli hard disk traboccanti di testi e immagini di ogni tipo.

In questi hard disk, almeno in alcuni, ci saranno anche i miei ebook, di questo non ho alcun dubbio. Ma senza il logo con la mela, senza le esplosioni, senza i link con le foto delle donne nude, senza i trailer, senza la pubblicità in televisione, senza la musichetta figa, senza un cazzo di comunicato stampa e senza lo straccio di mezza recensione resteranno solo un mucchio di byte. Un file, in mezzo a milioni di altri file troppo più alla moda, colorati e interessanti.

E una volta arrivati a quel punto, ma chi volete che se li legga?

Simone

13/04/10

Cosa ne penso io.

Sono fermamente convinto che uno scrittore, o uno che aspira a sentirsi tale, debba in qualche modo confrontarsi con la realtà del proprio tempo. Ed è anche per questo che, nei miei libri, mi sforzo di inserire comunque un collegamento al mondo moderno. Di mostrare, magari anche solo tra le righe, il mio punto di vista o semplicemente ciò da cui mi vedo circondato nella mia quotidianità.

Codice Aggiunto e la sindrome di Reinegarth sono tra i miei primi lavori. Forse per certi versi erano ancora un po' acerbi, e pur affrontando temi attuali come la clonazione e la scienza moderna, rispetto a tutto quello che ho scritto dopo sono molto più di fantasia e meno correlati a quello che avviene nel mondo reale.

In Mozart di Atlantide c'era invece un'ambientazione che provava a trasmettere la perdita di una memoria (intesa come etica e valori) della società moderna, e un'omologazione della cultura che arriva al punto da annullare l'identità stessa dell'individuo. Nel libro dei gatti ho provato a costruire una sorta di microcosmo in cui ogni personaggio e ogni posizione venivano in un modo o nell'altro a dover interagire con la posizione opposta. Ogni società è fatta di contrasti, e ognuno di noi - nel momento in cui decide di partecipare alla vita della collettività - si trova a schierarsi con l'una o con l'altra fazione.

Anche Primo Mazzini, per quanto forse il più leggero tra i miei romanzi, voleva mostrare una società perennemente in crisi, ma nella quale alla fine le cose accadono o si portano a conclusione semplicemente perché qualcuno è abbastanza ottimista almeno da provarci. Di fronte a un mondo, una comunicazione, una rete internet, una politica e una cultura che tendono sempre più a deprimere, respingere e a convincere che impegnarsi in maniera costruttiva sia inutile, un personaggio assurdamente positivo come Primo Mazzini, che si pone di fronte a qualsiasi disastro con l'atteggiamento di chi non si lascia abbattere da nulla, mi pareva talmente anticonformista da lasciare in qualche modo il segno sugli eventuali lettori.

Questi sono i miei libri, insomma. Non so quanto poi effettivamente arrivi a chi legge delle miei idee e delle mie posizioni, perché in fondo un romanzo deve anche semplicemente intrattenere. Qualcuno mi dice che più messaggi inserisci in un testo e peggio stai scrivendo, e che comunque i lettori non li recepiranno. E questo qualcuno potrebbe anche avere ragione.

In ogni caso, nel momento in cui sto cambiando un po' tema, un po' genere, un po' approccio e un po' insomma tutto il mio modo di relazionarmi con la scrittura, mi sono detto che - forse - quando penso una cosa potrei limitarmi semplicemente a dirla così come ce l'ho in mente. Senza particolari storie a mascherarla, senza giri di parole, senza il bisogno di far ridere per forza o di cercare comunque un trasporto emotivo.

Non dico che poi non potrò usare certi argomenti per scrivere anche della narrativa. Ma sto semplificando un po' tutto e magari semplificare anche le proprie idee, per renderle più fruibili da chi potrebbe eventualmente essere interessato, non è comunque una cattiva idea.

Insomma, questa chiacchierata forse un po' inutile era per dirvi che, a breve, vi troverete a leggere un primo post di questo tipo. Ho pensato che avreste potuto pensare che fossi impazzito, per cui mi è parso utile fare una premessa di questo genere. Come per tutte le cose che inizio online, poi, vedremo cosa ne verrà fuori: vedremo se a qualcuno il mio punto di vista sembrerà interessante, e vedremo se qualcun altro vorrà anche dire la sua.

Alla fine vedremo anche se sarà stata una prova tanto per, o se invece sarà stata una buona idea e varrà la pena di continuare in questa direzione. In ogni caso, come direbbe per l'appunto Primo: che problema c'è? Se anche scrivi qualche cavolata, la gente penserà che volevi proporre qualcosa di nuovo... ma che però, alla fine, ci hai ripensato.

Simone

07/04/10

Vittoria!

Dopo un devastante rush finale, con tanto di Pasqua e Pasquetta passate sui libri (ma tanto faceva un tempo schifoso) come apparirà evidente dalla foto:

1) Ho sconfitto l'esame di Anatomia.

2) Sono completamente fuso.

Per chi segue il blog perché più interessato ad argomenti universitari che ad argomenti librari se non ai semplici cavoli miei (anche se - come potete vedere - anche qui le cose spesso si confondono) magari è il caso di tranquillizzarvi. Se pensate di iscrivervi a Medicina, poi non vi toccherà studiare davvero tutta questa montagna di roba per dare un esame solo: il libro bianco è da studiare al posto di quasi tutto uno dei libri giallo/dorati, mentre il tomone gigante nero contiene solo disegni del buon caro amico Dr. Netter ai quali fare riferimento.

Poi il tutto è diviso in 2 o 3 esami separati (a seconda della vostra università). Per cui insomma non vi spaventate troppo: se po' fa'. Ma voi magari a Pasqua mangiate leggero, che poi ripetere i nervi con l'abbiocco è davvero debilitante.

Ora mi aspettano un paio di mesetti di lezioni, dopo di che a Giugno tocca a Biochimica che è l'altro mattone di quelli pesanti che tocca affrontare. Poi le cose inizieranno a farsi più tranquille... o - per lo meno - si spera.

Simone

04/04/10

Sto a studià...

Scusate la carenza di aggiornamenti, ma almeno fino a Mercoledì sono sotto esami e non riesco a concentrarmi troppo sul blog e sulla scrittura in generale.

Vi vorrei parlare di un altro turno in ambulanza che è stato decisamente inquietante, poi magari (a modo mio) della pillola abortiva, di queste elezioni, di come - l'avrete notato - non ho più tanta intenzione di parlare di editoria e autori emergenti, di quando ho visto una donna senza il reggipetto e altre cose incredibili che capitano solo a me.

Però davvero sono argomenti che richiedono un po' di tempo tra elaborazione, stesura e correzioni finali, per cui aspetto di avere un po' più di calma.

Comunque sia, questo post era anche una scusa per farvi gli auguri di buona Pasqua. Lo so che ormai è domenica sera e che praticamente me ne ero scordato e che tanto valeva che lasciassi perdere... il fatto è che, davvero, stavo a studià. O a magnà, se proprio alla scusa dello studio non ci credete.

Ci si risente tra qualche giorno.

Simone

01/04/10

Sono il nuovo assessore alla cultura e all'editoria.

Dopo il successo a queste ultime elezioni, sono stato eletto assessore alla cultura e alle politiche editoriali della Regione Lazio.

Questo vuol dire che a breve pubblicheremo tutti i miei libri grazie al generoso contributo statale che ho deciso di darmi. Se avete qualcosa da pubblicare anche voi vi consiglio di munirvi di tessera sanitaria, diploma di laurea e analisi psicrometrica, perché abbiamo deciso di selezionare gli autori in base a caratteristiche oggettive come il numero di esami universitari sostenuti e la pressione del bulbo oculare. Nessuna persona senza titoli di studi dovrebbe poter scrivere anche solo su un blog (legge che ci prepariamo a varare) e tra l'altro è dimostrato che problemi alla vista rendano difficoltosa la scrittura, e generalmente mediocri i risultati.

Oltre a questo, dalla prossima settimana inizieremo a inviarvi recensioni di libri che non avete mai sentito nominare via facebook o email, condite dai commenti di grandi intellettuali incompresi e sofferenti della nostra generazione. Se vi capiterà di aver mai letto uno dei libri in questione potrete contattarci, e vi invieremo dei commenti intellettualeggianti su un libro a voi sconosciuto nuovo.

Per il resto questo blog continuerà a fungere da vetrina editoriale per scrittori emergenti. Le tariffe per recensioni e interviste verranno rese note a breve.

Saluti e baci!

Simone