27/10/13

Il dottore del futuro.

Io sarò - sicuramente - così.
Io me la sono sempre immaginata a questo modo:

Un paese un po' fuori mano, magari in campagna. Qualche casa, a malapena due o tre negozi per le cose essenziali, una corriera che passa poche volte al giorno.

Qualcuno che sta male. Giovane o vecchio, sano o già malato. Non si sa che cos'abbia: sta semplicemente male.

Si chiama il dottore. E magari di dottore ce ne sta uno a un'ora di viaggio di distanza, o magari ce ne sta uno che abita proprio nella casa lì dietro, a un tiro di schioppo. In certi paesi del nord è ancora un po' così: se c'è l'ambulanza dei volontari di un paese vicino magari arriva subito, mentre se deve arrivare dalla città è capace che aspetti anche un'ora.

E insomma, va bene, torniamo al nostro discorso: posto un po' isolato, qualcuno sta male, e arriva il dottore.

E a quel punto, che ha un medico a sua disposizione? Che può fare?

Prima di tutto, la semeiotica: saper riconoscere una malattia, dal suo aspetto. Da come si comporta il paziente. Da dove è localizzato un dolore, da una rigidità, da come si muove l'ammalato.

Ora a noi sembrano minchiate, ma la tomografia assiale computerizzata - la cosiddetta TAC - è stata usata per la prima volta nel 1975. E ve l'immaginate a fare tutto senza una TAC? Senza endoscopia, senza ecografo, senza magari nemmeno una miserissima lastra del torace?

La semeiotica, appunto, e nient'altro.

Non che oggi come oggi la semeiotica si studi chissà quanto, intendiamoci. C'è che da un lato tante cose ancora sono importanti: e allora fai il Mingazzini, fai il Babinsky, fai il Murphy... e insomma una mezza idea ancora te la fai.

Però oggi se arriva uno in pronto soccorso e la TAC non gliela fai... apriti cielo! Se poco poco aveva una costola incrinata e non gliel'hai detto è capace che ti denuncia. Oggi ci sono le linee guida, le direttive dell'ospedale, i colleghi che se fai una cosa fuori dal comune ti guardano con gli occhi di fuori dalle orbite. La TAC se c'è anche mezzo dubbio la devi fare e basta. Per cui la semeiotica: sì, ok, tutto bello e interessante. Però facciamo la TAC e nella semeioica al limite vedremo i segni che confermano quello che si vede con le immagini.

Ma torniamo al nostro dottore di campagna. Solo, in un buco sperduto di paese, col paziente che sta male.

Lo visita col potere della semeiotica e trova, mettiamo, che il paziente ha una roba... che ne so: il segno del Giordano positivo.

Fico, no? Il paziente sta male, Giordano positivo... e insomma che avrà? I calcoli!

E ok. Qui finisce la semeiotica, e comincia tutta un'altra parte della medicina.

- Se ha i calcoli, perché il paziente sta male?

- Ci sono dei farmaci che possono aiutarmi?

- Il paziente può restare a casa, o andrà ricoverato?

- Devo dare un antibiotico? E se sì, che tipo? In quali dosi?

La parte mnemonica. La cultura medica. Il fatto stesso che vuol dire che sei dotto, e gli altri ti chiamano dottore. E magari ti pagano pure... ma non ci giurerei.

Che una volta era così, no? Se lo sapevi, lo sapevi. Se non lo sapevi ti attaccavi al tram: che magari sì un manualetto da qualche parte te lo portavi pure, ma più di tanto non è che poteva esserci scritto e l'idea stessa che da qualche parte ci potessero essere delle nozioni più aggiornate rispetto alle tue - apprese magari 20 o 30 anni prima - era già difficilmente concepibile: il paziente ha i calcoli e i calcoli si curano così. Se lo sai, lo sai. Se non lo sai - semplicemente - non sei un dottore.

E ok. Bello. Ma oggi?

Oggi il paziente prende il cellulare, va a cercarsi su internet la propria patologia, trova un sito pieno di una montagna di cazzate... e metà del lavoro del medico è litigare coi pazienti e convincerli a dargli retta e a espletare operazioni burocratiche assolutamente inutili da un punto di vista sanitario, ma che minimizzano il rischio di essere denunciato.

Oggi se pure sai tutto l'Harrison a memoria non è che hai realizzato chissà cosa: perché la gente non è più formata (unicamente) da contadini e analfabeti: le persone hanno una cultura mediamente abbastanza elevata da essere in grado di trovare lo stesso materiale che trovi tu, e capirlo magari allo stesso modo con dei limiti dettati solo dalla minore esperienza.

Ho visto pazienti curarsi da soli, e poi andare dal medico a chiedere prescrizioni con valore retroattivo. Ho visto parenti di persone ammalate ascoltare quello che diceva il dottore, e due secondi dopo correre su Internet con l'iPad a cercare qualcosa di meglio, perché comunque di lui più di tanto non si fidavano. So di amici che vanno dallo specialista e si trovano loro a spiegare le cose a lui, oppure lo vedono controllare su google prima di dargli una risposta.

E insomma, la tecnologia moderna ha cambiato la mia - forse - futura professione fino a un punto che rende quasi ridicola, obsoleta e fuori tempo quella che era l'immagine classica del dottore di una volta. E se togliamo la semeiotica, se le immagini che abbiamo sono sempre più illuminanti e se la cultura medica è di giorno in giorno di migliore accessibilità, nonchè azzerata e completamente riscritta in cicli di pochi anni... della professione medica, cosa rimane?

Chi è il medico bravo? Cosa è? Cosa sa fare e cosa si aspettano le persone da lui? Vi chiederò di più: cosa può fare di concreto un medico per i propri pazienti?

Da un lato, penso alla chirurgia e dico: ok, questo è uno. Un tipo di medico. Che la gente comune non sa certamente fare un intervento chirurgico. Ci vuole esperienza, ci vuole manualità... e mi pare scontato: un chirurgo bravo, non ha paura di google, della TAC o dell'applicazione del prontuario farmacologico che puoi portarti sempre in tasca. Il chirurgo è il chirurgo, e nessuno può addormentarsi e operarsi da solo. La chirurgia - sempre più moderna e raffinata - rimarrà sempre.

Poi penso a tutte queste nuove tecnologie. Penso all'ecografo tascabile che ho visto su Youtube e che rende un inutile pezzo di plastica pure il fonendoscopio. Penso alla Risonanza Magnetica che da un lato pare tanto semplice, ma che uno deve essere poi in grado di saper leggere e interpretare. Penso ai computer e a Internet con una infinità di informazioni di carattere medico. Studi e pubblicazioni di ogni tipo, forma e genere. E pure lì: se sai gestire le cose, se sai cercare, se sai cosa devi trovare di preciso... allora ok. Però devi esserne capace.

E insomma: un chirurgo che è anche bravo a usare Internet. O un bravo diagnosta che sa leggere ECG TAC ECO RMN e tutti gli altri acronimi di 'sto mondo. E allo stesso tempo un po' burocrate, e un po' avvocato. Con la mentalità aperta di uno che gli dicono: ehi guarda c'è una cosa meglio di quella che facevi tu! E lui, tranquillo, se trova una cosa meglio se la impara. Senza stare lì a farsi chissà quali problemi.

Eccolo qua: il dottore del futuro. Prossimo. Di domani, o già di oggi stesso magari. O addirittura anche di ieri, che qualcuno così è già da un po' che farebbe comodo.

Ci ho preso? Ho sbagliato? Una via di mezzo? Non lo so, io penso - un pochino - di sì. Ma dite la vostra anche voi.

Simone

24/10/13

Alti e bassi.

Arguta metafora del pronto soccorso.
L'altro giorno, in reparto, faccio un'ecografia con l'aiuto del professore.

Alla fine mi pareva di averci capito più del solito, lui mi ha fatto i complimenti... e insomma: alla grande.

Poi vado a lezione, un docente ci bersaglia di domande e dice - testuali parole - che gli studenti dello scorso anno erano più preparati di noi:

Buuuuu! Tristezza, disperazione totale. Voglia di tornare a ingegneria.

Al tirocinio, qualcuno fa un emogas (era un po' che non ne parlavo, ve?) a una paziente, ma non ci riesce. Poi arrivo io, provo io, e ci riesco al volo: i prelievi in fondo sono come una gara, e io ho vinto!

Sempre allo stesso tirocinio di prima, mi chiedono una cosa sull'elettrocardiogramma... e io dico una minchiata tale che pure l'exploit con l'emogas di poco sopra precipita in secondo piano. Bah.

Leggo un altro elettrocardiogramma che mi pare che sopraslivella. Penso "non è che sopraslivella"? Allora vado dal professore e dico "a me pare che forse l'ECG sopraslivella".

E il prof. conferma "sì, bravo, sopraslivella davvero". Evviva, successo, applausi: è la prima volta che ci prendo! Anche se forse il paziente sarà meno entusiasta.

«Mi hanno detto di una persona che lavora in un pronto soccorso soltanto con la laurea di base» dico un bel giorno a un signore dirigente medico.

«Non è possibile» risponde lui. «In qualsiasi posto, presidio, luogo o ambiente sanitario lavorano solo e unicamente specialisti».

E vabbe': e allora quella persona lì come ha fatto? E come farò - soprattutto - io?! Ma ne riparliamo la prossima volta, che questo è un post di evasione.

Infine, l'altro giorno provo a fare un elettrocardiogramma. Premo il tasto per stampare, ma quello è fatto che come non va bene una minima cosa non stampa nulla, e s'impianta e stiamo lì mezzora senza che venga fuori niente.

«Quando sarò dottore» dico all'infermiera di turno «mi comprerò un ECG che quando premo il tasto stampa subito qualsiasi cosa, in ogni caso».

«Ma tu sei già un dottore» mi dice lei.

E devo proprio ammettere che io, le infermiere, le adoro.

Simone

21/10/13

Quando uso l'ecografo...

Mi sembra tutto assolutamente chiaro, vero? No.
A riguardo dell'ecografia polmonare e toracica, basta una ricerca su Google per trovare una quantità incalcolabile di articoli, testi in formato pdf e milioni di ore di video esplicativi di ogni genere.

E se vi è capitato di vederne qualcuno, converrete con me che i video sull'ecografia sono tutti piuttosto simili:

C'è un'ecografista con la macchina (non l'automobile, parlo del macchinario dell'ecografo) e il paziente sdraiato su un lettino. L'ecografista spiega qualcosa di assurdamente banale, tipo:

«L'ecografia cardiaca serve a vedere il cuore».

Poi appoggia con 2 dita leggerissime la sonda ecografica sul torace del paziente, fa un micro-movimento impercettibile col polso, e sullo schermo appare un'immagine ultra-nitida, pulita e perfettamente contrastata di cuore, polmoni, fegato, reni e tutto quello che potrebe venirvi in mente di voler osservare.

«Questi sono gli atrii» spiega il tizio nel filmato, commentando le immagini - che ne so - del cuore. «Questi i ventricoli. Queste le valvole. Questa l'aorta».

Fatto questo preme qualche tasto sulla tastiera dell'ecografo (che non ha nemmeno bisogno di guardare), annuisce verso lo schermo e poi alla fine conclude:

«Il doppler non rivela deficit valvolari. L'esame è perfettamente normale, e il nostro tutorial è concluso».

Ok. Facile, no? Basterà ripetere la stessa identica cosa, per avere gli altrettanto stessi identici risultati.

E poi insomma vado in ospedale. Capita di dover fare un'ecografia a un paziente, e fanno finalmente provare me: è il mio turno.

«Ma che ce vo'?!» dico tra me e me. «Tanto ho già visto il video su Internet: fare le ecografie, è una cazzata».

Metto il gel, come da indicazioni precedentemente apprese. Appoggio la sonda sul torace del paziente. Sposto lo sguardo sullo schermo, e... e sullo schermo non si vede una mazza.

Un problema - ma giusto per dirne uno degli innumerevoli - è che le persone reali e che non stanno nei filmati su Youtube, hanno le costole. E le costole hanno questa inutile caratteristica di bloccare le onde sonore, e come ci passi sopra con la sonda piglia e non si vede più nulla.

E lì insomma inizio un po' ad armeggiare e a litigare con tutto il macchinario, finché non esce fuori qualcosa che somiglia a quello che starei - in teoria - cercando di ottenere.

Solo che l'immagine che trovo io non è né nitida, né pulita né meravigliosamente contrastata con tutti i dettagli in evidenza. Detto in un modo più semplice: si vede uno schifo.

Ma perché all'ecografista del video questo non succede?! Che fa lui di speciale?

L'idea che mi sono fatto, magari con un filino di invidia e un pochino più di un filo di cinismo, è che - a parte l'ovvietà della maggiore esperienza - le immagini schifose vengono fuori pure a lui.

Solo che quando capita ha imparato comunque a sapersi in qualche modo raccapezzare e a fare un esame corretto... e poi, di sicuro, quando vengono delle immagini che non gli piacciono, quelle non le mette su Youtube.

Oppure magari sono proprio che sono assolutamente negato. D'altra parte, questa è una eventualità che sono sempre pronto a considerare, in ogni cosa che faccio... ma forse, prima di precipitare il giudizio, dovrei provare ad accumulare un altro pochino di esperienza pratica e vedere se le cose migliorano.

E speriamo che vada proprio così.

Simone

19/10/13

(Non) fidarsi dei dottori.

Chirurghi che operano senza guanti: come non fidarsi?
Credo che con questo post sto un po' mettendo un piede in un campo minato, e l'altro piede in una fossa con dentro i leoni... ma ho deciso comunque di correre il rischio:

Iniziamo col dire che il medico è una professione come tante altre, e come tutte le professioni può capitare la persona che si trova scontenta dell'operato del professionista, può capitare il caso dove la sfortuna ci mette la sua, e può capitare anche semplicemente che chi si rivolge a un dottore sia tutto sommato un po' prevenuto.

Però, insomma, a differenza di quando facevo l'ingegnere, nell'ambito medico mi capita spesso e volentieri di incrociare o di ritrovarmi direttamente coinvolto in discussioni e giudizi alquanto negativi sui dottori e sulla sanità in generale.

Facciamo alcuni esempi?

Si può partire da chi è scontento del proprio medico di base che "nemmeno mi guarda in faccia prima di scrivere una ricetta". O che "non gliene frega niente". Quante volte avete sentito un giudizio del genere, o l'avete dato anche voi?

C'è poi chi è insoddisfatto di interventi chirurgici. Di manovre terapeutiche, di prescrizioni o altro: "sono andato da quello che non ci ha capito niente", è la frase che ripetono come una specie di mantra certi miei vecchi colleghi ingegneri... che tra l'altro non si farebbero visitare manco ammazzati nemmeno da me.

Ancora, c'è tutto un mondo di persone strasicure e straconvinte che i dottori abbiano la cura a tutti i mali del mondo, ma che semplicemente non la offrano alle persone malate allo scopo di sfruttarle e arricchirsi vendendo farmaci che non risolvono nulla. Qui davvero io sono ancora studente, ma mi hanno già accusato innumerevoli volte di "non capire nulla" di queste cose, di essere "manipolato" a mia più o meno insaputa o altre manifestazioni di stima del genere.

Infine, ogni tanto esce fuori qualche scandalo e qualche denuncia relativa a determinati ospedali e scuole di specializzazione. E il commento più comune che sento non è tanto "sono casi isolati" ma, piuttosto: "i medici sono tutti così".

Potrei continuare all'infinito, e se andassi sui singoli casi ci sarebbe da scriverne per decine e decine di post. Ma penso di essere stato abbastanza chiaro: la gente - una parte della gente, almeno - non si fida dei medici. Ed è una carenza di fiducia totale e irrisolvibile: non è che non siano tanto convinti dell'operato dei dottori, ma pensano davvero e con tutta la certezza del mondo che chi fa il dottore - se anche non semplicemente inadatto al suo ruolo - voglia comunque in qualche modo fregarli.

Ecco. Il guaio, in tutto questo, è che la medicina è una parte importante della vita di tutti: tutti prima o poi ci prendiamo almeno un raffreddore, ci storciamo un piede o abbiamo semplicemente bisogno delle cure di qualcuno. Tutti abbiamo un qualche rapporto con la sanità, i farmaci e i dottori.

Non fidarsi di un settore così vasto della società è un po' come restare "scoperti" in una parte della nostra vita. Voglio dire: nel momento che ho bisogno di essere curato, che aspettative avrò? Come vivrò una eventuale ospedalizzazione, o una terapia importante?

Ovviamente, male. La gente non si fida della medicina come non si fida purtroppo di tante altre cose: e non dico che sia a torto o a ragione. È un dato di fatto che le cose stanno così, e di conseguenza molte persone vivono male perché non hanno la certezza che un eventuale intervento medico nei loro confronti sarà corretto, onesto, ben eseguito e soprattutto risolutivo. Anzi, spesso hanno la certezza contraria: "se mi ammalo, è finita" arriva a pensare qualcuno, perché davvero la possibilità di una guarigione all'interno di un sistema a sua volta malato non è neanche presa in considerazione.

E a questo punto di questa specie di trattato, io dovrei dire la mia. Io dovrei dirvi che "sì, i medici sono terribili e incompetenti" oppure che "no, non è vero, io ho sempre conosciuto persone brave, oneste e veramente capaci".

Solo che, non lo so: essendo dentro a determinati meccanismi, credo che forse mi appaiano evidenti cose che da fuori sono difficili da capire. Cioè, magari il paziente che si lamenta e inizia a sbraitare perché nessuno se lo fila e pensa che in pronto soccorso "non fanno niente", non si rende conto che il personale magari è impegnato con qualcuno che sta davvero per morire, o che nessuno lo cura perché non ha davvero niente da curare ed è andato lì per sbaglio, o ancora lo stanno tenendo sotto osservazione o mille altri possibili motivi.

Lui se ne andrà incavolato e parlerà male di dottori che magari non se lo meritano.

Al contrario, può esserci il dottore che si presenta in maniera esemplare. Sa gestire i pazienti, sa farsi conoscere, sa convincere e farsi apprezzare... e insomma tutti quanti lo stimano e parlano bene di lui anche se alla fine magari, in sostanza, non è detto che nella pratica sia davvero il genio della medicina che sembra essere.

Insomma, io non riesco a sbilanciarmi più di tanto. Vi dico solo che - per come la vivo io - nella medicina c'è molta apparenza. Molta ricerca di una forma sopra la sostanza da una parte, ma al contempo molti preconcetti e idee non proprio perfettamente orientate da parte dei pazienti che si trovano a vivere determinate situazioni.

Ci sono certamente i dottori di cui fidarsi, ecco. Solo c'è anche tanta confusione all'interno della quale è difficile trovare la direzione giusta.

Secondo me, insomma, quando ci rapportiamo con un dottore dovremmo cercare di capire chi abbiamo davanti. Aprire gli occhi, abbandonare luoghi comuni e idee con le quali tendiamo a fossilizzarci.

Certo non è facile, e anzi forse per paura di sbilanciarmi e passare qualche guaio l'ho buttata un po' troppo sul retorico. E in effetti, mi interessa forse più ascoltare una vostra opinione che darvi la mia.

In ogni caso, una volta che vi fidate di qualcuno, date retta a lui: fate come vi dice e andate dai colleghi che eventualmente vi indicherà nel caso vi serva di risolvere qualche altro problema. In genere, se una persona è brava a lavorare è anche perché si è costruita una rete di collaboratori che sono alla sua altezza.

Simone

16/10/13

Qualche aggiornamento, e una citazione sul sito della SIMEU.

Corso di medicina d'urgenza del '58. Giuro.
Avete visto la mano finta con la pompetta per fare uscire il sangue, nella foto? Meraviglioso.

Foto che da sole valgono un post a parte, per quanto riguarda le lezioni, devo dire che quest'anno non sono particolarmente pesanti.

Sarà che non sono troppe ore, e sarà che un po' seguo e un po' studio Pediatria quando gli argomenti trattati non sono proprio il massimo del coinvolgimento emotivo. In ogni caso, in genere - in un modo o nell'altro - la giornata mi passa in maniera abbastanza indolore.

Dal punto di vista dei tirocini, in questi giorni ho avuto una pausa ma la prossima settimana ci sarà quello di Medicina Legale, che comprenderà anche un paio di giornate in un ambulatorio di medicina di base. Visto che è un argomento che mi interessa, magari più avanti vi troverete pure il post/racconto dedicato... sempre ovviamente se ci sarà qualcosa di concreto da raccontare.

L'internato a Medicina d'urgenza, invece, prosegue alla grande. Sto finalmente iniziando un po' a capire dove mettere le mani (considerate che sto lì da più di un anno!) e sulle cose semplici come prelievi, ECG, esame obiettivo eccetera potrei quasi dirmi soddisfatto. Devo solo migliorare un (bel) po' la manualità su certe cose che per me sono davvero difficili - tipo mettere le agocannule ai pazienti con le vene invisibili - ma da qui alla laurea ho ancora tempo per fare tanta pratica, per cui: speriamo bene.

Al contrario, sento di essere invece piuttosto indietro per tutta quella che è la parte un po' più internistica della medicina d'urgenza: che farmaci si usano per un paziente con la fibrillazione atriale? Cosa si fa nella BPCO riacutizzata? Che percentuale di ossigeno diamo? Quali antibiotici? Bo'?!?!

La sensazione, però, è che questo sentimento di completa ignoranza e inettitudine non sia poi così negativo: forse dopo un periodo di confusione totale sto semplicemente iniziando a capire dov'è che ho dei vuoti e quali sono le mie principali lacune. Per cui la speranza è che dal dubbio si passi alla comprensione e infine alla consapevolezza... possibilmente senza prima passare attraverso il disastro e la tragedia.

In sintesi, e in conclusione: ci ho messo un anno anche solo per capire che non ci capisco niente, e se ci pensate è anche più meraviglioso della mano con la pompetta per il sangue di prima: a questo punto, ci starebbe anche bene un'altra foto con la mia faccia smarrita.

Passando a dire due cose sulla tesi, al momento sono ancora in alto mare: in questi giorni ho fatto pratica con l'ecografo, e tutto il mio lavoro attuale è focalizzato su quello. Capire lo strumento, saperlo adoperare e riuscire a interpretare le immagini.

Pratica a parte, però, la tesi è ovviamente allo zero assoluto e non ho scritto una riga che sia una. Ma ho anche pensato che sarà bello, più avanti, scrivere tanti post su quanto sono con l'acqua alla gola per la tesi e su come sono disperato perché non so se riuscirò mai a consegnarla in tempo. Insomma, tranquilli: ormai è la laurea a essere funzionale al blog (e non più vice-versa) ed è tutto studiato per la suspance.

L'altro giorno, infine, uno specializzando del mio reparto mi fa notare che ha trovato il link al mio blog sul sito della SIMEU, la società italiana di medicina d'urgenza.

Oggi vado in ospedale, e una dottoressa mi dice più o meno la stessa cosa: c'è questo dottore bravissimo che gestisce un sito sulla medicina d'urgenza, e in una specie di conferenza (fate prima voi a seguire il link, che io a spiegarvelo) organizzata dalla SIMEU ha accennato anche al mio blog.

Ora io il dottor D'Apuzzo lo conoscevo già, perché lui ha risposto più e più volte alle domande che gli ho fatto all'interno del suo sito o via mail. E devo ammettere che il fatto che in reparto si sappia dell'esistenza di questo blog è una cosa che mi trasmette una vaga agitazione, ma va bene: se non volevo che lo leggessero, non lo dovevo neppure scrivere. Mi pare che questo sia più che ovvio.

Dico solo che - secondo il mio banale parere - l'insegnamento è un aspetto imprescindibile della professione medica: fin dai tempi di Ippocrate, un bravo dottore ha avuto il compito di insegnare la medicina - e parlo della medicina vera, quella fatta al letto del paziente - a chi aveva meno esperienza di lui. Analogamente, chi è bravo a insegnare la medicina - sempre secondo il mio banale parere - non può che essere un bravo dottore.

Anche per questo mi incavolo tanto, quando le lezioni non mi piacciono o i tirocini non sono all'altezza delle mie aspettative: perché una buona medicina non può prescindere da un buon insegnamento della medicina stessa.

Ma veniamo al dunque: venire citato da una persona che fa così bene il suo (e forse futuro mio) lavoro mi ha fatto piacere, e ci tenevo a scrivere 2 righe per dirlo. Spero un giorno di saper spiegare anch'io in maniera semplice e precisa tante cose che adesso mi sembrano al contrario assurdamente complicate e confuse. Lo spero davvero.

E nel frattempo il semestre va a vanti, e io continuo a studiare e a fare pratica: penso che la strada - tutto sommato - sia questa.

Simone

12/10/13

Il tirocinio a chirurgia generale.

E al cinema gli odori nemmeno si sentono.
Parental advisory: il tirocinio a chirurgia generale è la cosa più schifosa e vomitevole che abbia mai fatto (e raccontato) in 5 anni e passa di blog.

Ma mettiamoci pure i 33 anni precedenti all'iscrizione a Medicina, va': è la cosa più schifosa che abbia fatto in vita mia.

Ci siete ancora? Siete convinti di andare avanti a leggere? Ne siete proprio sicuri?

Peggio per voi.

Allora il tirocinio iniziava il lunedì. Ma io lunedì stavo male e - cosa che si rivelerà importante a breve - non ci sono andato.

Il martedì invece mi ritrovo, alle 9, nell'ambulatorio piaghe ulcere e piede diabetico. Che se vi ricordate avevo accennato alla cosa giorni fa, ma poi non ho detto altro... perché prima volevo evitare di parlarne, anche se poi ho scritto questo.

Siamo io, altri due studenti (che il resto del gruppo non so che fine avesse fatto) un medico neo-laureato che ci spiega le cose e che praticamente era a lezione con me fino a 3 mesi fa, e un infermiere.

«Ieri avete guardato» esordisce l'amico e collega neo-dottore. «Per cui oggi fate voi».

Fate voi cosa? Mi domando io, che ieri manco c'ero?

La risposta non tarda ad arrivare.

L'infermiere chiama uno dei pazienti in sala d'attesa. Lui entra, si siede sul lettino, scopre un piede togliendosi calzini, calze elastiche e calzettoni vari, e sotto c'è una medicazione che dobbiamo invece togliere noi e - oddio - sotto c'è una cosa che va dal terribile, al terrificante, al ributtante e a oltre gli aggettivi che possono venirmi in mente.

«Vedete quella roba verde?» spiega il dottore, indicando la roba verde (appunto) che ha attraversato medicazione, garze, calze fino a macchiare i calzini e che adesso sta colando sul lettino?

Gli altri annuiscono in coro, che loro c'erano pure ieri e già lo sanno.

«È Pseudomonas!» commenta uno degli studenti, della serie: wow, lo P-S-E-U-D-O-M-O-N-A-S, come sono felice di vederne uno!!!!!!

Lo Pseudomonas è il batterio più cattivo del mondo. Se stai bene e ti fai i cazzi tuoi, ok, non ti dice niente. Forse. Ma come poco poco ti becca che stai un po' male o anche solo così così, ti entra dentro, ti mangia la carne fino all'osso e pure l'osso fino alla carne dall'altra parte, inizia a sputare fuori tutta roba verde (appunto) e sei assolutamente fottuto. E pure se gli dai gli antibiotici, quello tipo se li mangia e diventa ancora più grosso di prima.

Lo Pseudomonas insomma alla gente normale che non studia medicina (ma nemmeno a me) non la rende felice proprio per niente. E direi - anzi - che è sinceramente pure un po' stronzo.

E poi puzza. Cioè, puzza che è una cosa... io voglio dire: vuoi mangiare le persone?! E va bene: mangia le persone. Ognuno ha i suoi vizi e le sue virtù. Però - Cristo - per lo meno, lavati.

Così insomma uno degli altri studenti finisce di scoprire la ferita, e scopre una specie di cratere infetto fetido purulento, largo 5 centimetri e profondo 3.

«Ma sta molto meglio!» commenta il dottore, entusiasta.

Pure il paziente è contento. Gli altri studenti sono contenti per osmosi. L'infermiere è contento pure lui. Tutti contenti.

E io mi domando: se sta molto meglio ora che sta così, ma prima che cazzo aveva?!

Per fortuna, non lo so. Comunque sia bisogna fare la medicazione, che è fantastica: prendi il disinfettante e disinfetti, e fin qui tutto facile.

Poi prendi un ferro affilato ricurvo taglientissimo, e fai lo scrub della ferita. Che sarebbe che la gratti e togli le crose e la roba verde e il pus e la pelle morta fino a farlo sanguinare, col paziente ovviamente poverino che si lamenta, perché gli fai malissimo.

E io solo a scriverlo starei vomitando, ma visto che ci tenete proseguo con la parte migliore.

La parte migliore, è che col paziente successivo - un vecchietto gentilissimo carino e (se non siete dei tirocinanti) simpatico - entra il professore. E il professore chissà perché prende di punta me.

«Adesso è il tuo turno» mi dice, mentre il nuovo paziente si toglie le scarpe e tutti i 12 strati di vestiario sottostanti. «Fammi vedere cosa hai imparato».

Io sbianco: ma che ho imparato, che l'ho visto una volta? Mi dico. Vabbe', poco male. Prendo i guanti e vado, poi qualcuno mi dirà cosa fare.

«Non serve che ti metti i guanti» mi dice il professore.

E io mi blocco in mezzo all'ambulatorio con un espressione tipo... tipo quando a uno gli dicono di toccare lo Pseudomonas senza i guanti, ecco. Immaginatevela un po' voi.

«I guanti ti danno solo impiccio, non bisogna usarli».

Insomma, vabbe', ai professori diamo sempre ragione che poi non sia mai se la prendono. Anche se farlo mi costerà la vita tra infezioni mortali e dolori indescrivibili.

Prendo le forbici, e taglio il bendaggio sopra la lesione ulcerata infetta necrotica. Senza guanti, sento la benda sotto i polpastrelli che è tipo umida di troppi fluidi organici per poterli elencare e che fa sguish, splitch, plot. Tutta salute.

Tolta la benda, la ferita non ve la descrivo nemmeno perchè ho paura che se la guardo vomito, svengo, cado, batto la testa, mi taglio e il nostro batterio cannibale preferito entra nel taglio e mi mangia il cervello.

«Prendi una spugnetta, e strofina bene» mi fa il prof.

Io prendo la spugnetta, la bagno, e inizio a pulire il tessuto epiteliale desquamante. E nel momento esatto che tocco il paziente, quello grida: aaah! Come se gli avessi fatto malissimo.

Io resto lì, pietrificato, con la spugnetta in mano e il sapone che cola giù. Ma un attimo dopo, il vecchietto si mette a ridere.

«Ti ho fregato» mi fa, dall'alto della saggezza dei suoi 120 e passa anni. E poi ride di nuovo tutto contento.

Capito?! Mi ha visto un po' sul molto impacciato, e mi ha fatto uno scherzo: pure i pazienti mi prendono per il culo!

Finita la medicazione (il resto - ringraziatemi - ve lo risparmio) il vecchietto si fa aiutare a indossare di nuovo delle calze elastiche. Sono così pulite e profumate che non sembrano nemmeno nuove, ma comprate e lavate a mano per l'occazione.

«Me le lava e le piega mia moglie» spiega, contento.

La piegatura particolare tecnicamente studiata dalla - immagino - anziana mogliettina in questione (e che io gli ho consigliato di brevettare) consente di infilare le calze elastiche in 2 comodi movimenti. Senza dolore e scocciature per il paziente, e soprattutto senza la faticaccia enorme che chi fa le medicazioni deve fare per rimettere le calze normali.

Finito di rivestirsi, il vecchietto saluta, ringrazia rigorosamente tutti e se ne va abbastanza di corsa: che ha un altro esame da fare, e poi la moglie lo aspetta a casa per il pranzo e se arriva tardi... altro che gli scherzi che fa lui ai futuri dottori.

E se mai arrivassi a campare 100 anni, vorrei essere proprio come lui. Magari però senza il diabete.

Morale della storia:

1) Se smetterò di colpo di aggiornare il blog, è stato lo Pseudomonas. E temo che si contagi anche via Internet.

2) I chirurghi sono degli stronzi.

3) I pazienti con ulcere diabetiche, per quanto io l'abbia forse buttata un po' troppo sul ridere, stanno malissimo e soffrono davvero, davvero tanto.

E saperli curare è difficile, e un tirocinio dove ti insegnano o almeno provano a insegnarti ad alleviare le sofferenze di una persona è da ammirare, come sono da ammirare le persone che lavorano lì dentro.

5) Se avete il diabete, controllatelo e curatevelo prima di finire sotto le schizzinose cure di uno come me, che magari non sa nemmeno bene di preciso dove mettere le mani.

Vi assicuro che farete un grosso favore ad entrambi.

Simone

08/10/13

La noiosa verità.

"Oddio, il professore sta rispiegando le MEN!"
Se facciamo una statistica delle specializzazioni maggiormente scelte dagli studenti che ho incontrato io (non conosco i dati "ufficiali", se mai ce ne dovessero essere) al primo posto ricade con assolutissima certezza Pediatria.

Subito dopo abbiamo Cardiologia, poi un po' tutte le cliniche (Dermatologia, Neurologia eccetera) che stanno - diciamo - a pari merito per numero di preferenze, e tolte queste gli sudenti iniziano a distribuirsi in maniera un po' più omogenea tra le altre specializzazioni rimanenti.

Questo discorso - però - non lo sto tirando fuori per fare un elenco dei reparti più richiesti o delle scuole più ambite, ma per lanciarmi piuttosto in una semplice riflessione:

Pediatria è la scuola di specializzazione più richiesta del mondo. O almeno dell'Italia, diciamo. Metà degli studenti, quando vanno a tentare il test di ammissione a Medicina, si vedono e sognano e ambiscono a fare il pediatra.

Ebbene: io ho iniziato proprio oggi a studiare Pediatria. E la trovo di una noia mortale.

E vabbe': io a Pediatria non entrerei mai, e così pare un po' quella storia della volpe che dice cornuto all'uva, vero?

Però, credeteci o meno, io trovo noiose le lezioni, tutte monotone e ripetitive in quell'aula con l'acustica letale dove per capire cosa stanno dicendo i professori ci vorrebbero gli strumenti di spionaggio audio della CIA.

Noiosi gli argomenti, che riprendono cose già viste e ripetute infinite volte per riproporle in una mnemonica versione pediatrica nella quale a ogni età e peso e altezza corrispondono diversi approcci, dosaggi, poppate e mille altre cose diversamente noiose.

Noioso il libro. Un mattone che pesa 5 Kg fatto da testo nero su bianco senza mezza immagine, foto, grafico o disegno che fosse uno. Che poi, anzi, non è vero: un grafico solo, in 500 pagine, a dire la verità c'è... ma vi giuro che è noioso pure quello.

E insomma, dopo 6 anni di medicina ho capito questo: almeno metà dei dottori sono affascinati da cose noiose, mnemoniche e ripetitive. L'aspirante medico medio si visualizza - nel futuro - come un sonnolento tizio in camice bianco che ripete a memoria tabelle, date, formulette, dosaggi e indicazioni del caso.

C'è questa idea generale del dottore serio e musone e che nel contempo però vuole tanto bene ai bambini e anzi vuole toccare solo quelli, perché poi il resto gli fa tutto schifo.

Ma le cose stanno così? È davvero questa la reale, noiosa, verità?

Se lo chiedete a me, io sono - o mi sento, diciamo - all'estremo opposto di questa descrizione.

Intanto l'esame di pediatria non lo farei proprio, che tanto ci sono 5000 aspiranti pediatri pronti a colmare le lacune eventualmente lasciate da me all'interno del sistema sanitario.

Poi ho sempre detto - dal primo anno - che le cose che mi facevano imparare a memoria non mi sarebbero servite a nulla, e infatti eccomi qui - al sesto - che le ho tutte prontamente dimenticate da tempo, e libri come quello di Biochimica è come se non li avessi mai aperti.

Ancora: se vedo un bambino che sta male, a me mi prende l'angoscia e mi sento infelicissimo. Possibile - e scusate se sarò brutale - ma ripeto è possibile che metà dei dottori ambiscano proprio alla specializzazione dove vedi i bambini morire? A me, personalmente, i bambini piacciono e mi rendono felice... ma soprattutto quando stanno bene.

Dopo 5 anni e un mesetto scarso di università, insomma, inizio a capire che ci sono più modi di fare il medico, più modi di approcciarsi ai pazienti e più modi di vivere lo studio della Medicina.

E inizio anche a domandarmi per forza di cose se sia migliore o peggiore il mio. Se un domani il mio atteggiamento mi darà problemi, o se al contrario sentirmi spesso un po' distante dalla mentalità di tanti colleghi studenti non sia anche un qualcosa di positivo.

Non lo so. Bo'?! In fondo, era solo una riflessione... sperando di non aver annoiato anche voi.

Simone

05/10/13

Un giorno da studente.

Al termine della giornata, mi rilasso un po' con questo.
Sveglia alle 7 e 30.

Che poi diventano le 7 e 45, le 8, le 8 e 10... vabbe': io la mattina ho un andamento più da bradipo che da essere umano, e per alzarmi dal letto - più che la sveglia - ci vuole il defibrillatore.

Alle 8 e 45 arrivo già in super ritardo in ospedale. Mi metto il camice in fretta, e vado al tirocinio in ambulatorio.

L'ambulatorio si chiama: "piede diabetico, piaghe e ulcere"... e meno male che negli anni scorsi mi lamentavo sempre che nei tirocini non si faceva quasi nulla! Perché se dovevo andarci al secondo anno, mi sarei sentito male almeno quattordici volte: una per ogni paziente che ho visto.

Ore 12 meno cinque minuti, e lascio l'ambulatorio: c'è una riunione col primario per discutere la tesi e per avere il "sì" definitivo per il titolo e tutto quanto il resto.

In questi giorni ho fatto un po' finta di non pensarci e non avevo nemmeno raccontato bene la cosa sul blog, un po' per scaramanzia e un po' perché avevo appena scritto un post di assoluta conferma, e non mi andava di scriverne un altro.

In ogni caso, e qui ci sta un mirabolante gioco di parole, sono tesi-issimo: se va tutto bene posso continuare con l'ecografia e col professore che mi segue ora e con questa cosa che mi piace. Se va male devo ricominciare da capo, forse con un professore diverso e magari pure con qualcosa della quale nemmeno mi frega nulla.

Insomma alle 12 sono nell'auletta col primario e gli altri studenti interni. Alle 13 e 30 la riunione è finita: le lezioni sono già iniziate da mezz'ora, non ho mangiato, sono stanco e ho un sonno cane.

Però la tesi è stata confermata in via definitiva, e il titolo più o meno ufficiale resta: l'ecografia toracica d'urgenza. Per quanto un titolo del genere possa voler dire tutto, o anche nulla. O anche tante altre cose intermedie a metà.

Ok, finito l'incontro mangio una specie di panino alla velocità di un'idrovora, e corro a lezione. Sarò sincero: sono stanco, dormo sul banco, l'aula ha un'acustica agghiacciante e non riesco a seguire una parola. Alla fine resto giusto un'oretta, e me ne torno a casa con un po' di anticipo.

Tra il tornare a casa e quello che viene dopo ci sono pure dei giri per cavoli miei di cui in genere non parlo sul blog (ho una vita - o quel che ne resta - anche fuori dagli ambienti medici, anche se alle volte me ne stupisco io stesso). Ri-tornato a casa dopo questi ulteriori impegni, ho giusto il tempo di mangiare al volo un non so che cosa mi era rimasto in frigo dall'ultima spesa... ed esco di nuovo.

Alle 8 e mezza - stavolta di sera - vado di nuovo in reparto. E capisco che è veramente da malati mentali, ma:

1) La tesi è confermata, e voglio parlarne col professore.

2) L'idea è che prima imparo a usare l'ecografo, prima finisco la tesi e prima mi laureo. Per cui meglio non perdere occasioni per fare pratica, quando poi dopo magari potrei non averne così tante.

3) Io quando posso ci vado sempre perché - come ho detto altre volte - semplicemente, mi piace.

E almeno sul terzo punto forse si potrebbe discutere e gettare le basi per una psicoterapia, ma se le cose non stessero così probabilmente non esisterebbe nemmeno questo blog e non sarei qui a raccontarvi di tutti i cavoli miei.

Non starò a raccontarvi tutto per filo e per segno, ma in reparto è una nottata di quelle pesanti e non è che sto proprio esattamente lì a riflettere su quanto ero già stanco ancora prima di cominciare. Alla fine decido saggiamente di fermarmi in ospedale un po' meno del solito, e rientro a casa che è da poco passata la mezzanotte.

Ultimo spuntino rapido della giornata perché mi è tornata fame (o forse non mi ero saziato mai). Una doccia, un minimo di relax con Internet, Televisione o quello che era, e finalmente me ne vado a dormire.

Mentre cerco di prendere sonno, penso che domani - alle 8 e mezza - mi aspettano di nuovo nell'ambulatorio piaghe ulcere e piede diabetico sul quale tanto ho evitato di disquisire. E ma mi sa proprio che, domani, arriverò un po' più tardi.

Simone

02/10/13

Il nemico dell'uomo.

Il nemico dell'uomo stava nel petto di un ragazzo di 30 anni.

Un fisico da atleta, lo sguardo forte, il respiro affannato di chi sta male. E dentro quella cosa che non si poteva togliere.

Il nemico dell'uomo l'ho visto nella pancia di una donna bellissima. Coraggiosa, affascinante, carica di vita e di desiderio di non arrendersi.

L'ho visto nei polmoni di un uomo ancora troppo giovane. Troppo sofferente anche solo per parlare.

Il nemico dell'uomo è questo mostro che ti viene in mente ogni volta che senti un doloretto che non dovrebbe esserci. Che ci mette paura quando viviamo la nostra vita e ci lasciamo andare anche ai piaceri più semplici.

Quando vedo certe analisi, quando guardo certe TAC, quando ascolto certe condanne camuffate da diagnosi e comunicati medici, mi sento come se sotto i piedi avessi il vuoto.

All'improvviso, tutto quello che ho studiato non serve a nulla. E tutto quello che possiamo fare sembra inutile.

E in mezzo a tutto questo sperperiamo un'infinità di risorse per cose senza valore, oppure ancora peggio ci facciamo la guerra e ci ammazziamo tra di noi. Divisi, soli, deboli e senza difese.

Mi sento male quando vedo qualcuno soffrire così. Quando so di qualcuno che muore a questo modo, ancora, dall'inizio della storia fino a ieri notte, in reparto, quando mi ci sono trovato di fronte per l'ennesima volta.

Provo un senso di impotenza, di disperazione e di rabbia. E so che è così: la vita è così. Il mondo è così. Lo dobbiamo - ancora una volta - accettare.

Eppure, dentro di me, lo so. Ne sono certo.

Un giorno. Un futuro lontano, distante, ma arriverà. Ci sarà un altro ingegnere, un altro medico, qualcun altro nemmeno laureato, ma come me. O - forse - completamente diverso. Un altro uomo. Ma so che ci sarà.

E lui saprà diventare così piccolo, fino a entrare dentro l'essere umano. Dentro la cellula. Dentro alle stesse maglie del DNA e delle sue regole.

Vedrà davanti a sé i geni, le combinazioni stesse degli amminoacidi, i singoli legami dei singoli atomi. E potrà afferrarlo, stringerlo, strapparlo in mille brandelli e spazzarlo via dalla Terra, una volta per tutte, con le sue stesse mani.

Quel mostro maledetto.

Simone