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È da aggiornare ma c'è pure il Glasgow, che non me lo ricordo mai. |
C'è che tra feste, ponti, primimaggi e quant'altro avremo fatto 2 lezioni e mezzo tirocinio in un mese.
Non che mi dispiaccia un periodo meno stancante in cui - sostanzialmente - alzarmi quando mi pare e studiacchiare con calma per tutta la giornata (se non si tratta di fare qualche grigliata o picnic all'aperto), ma diciamola tutta: tra un po' finisce il corso di laurea, e non è che questo semestre abbia portato chissà quale miglioramento teorico, pratico o professionale.
Sto studiando medicina legale, che tutto sommato sono argomenti nuovi e importanti che un medico deve conoscere. Ma - mi chiedo - un medico che sa cosa deve fare in caso di decesso di un suo assistito o che tipo di casini legali dovrà affrontare se qualcuno è insoddisfatto di lui (o se ha fatto qualche cazzata), è davvero un dottore più bravo?
Certo, sì, ammettiamolo. Un dottore deve sapere anche queste cose. Ma mi sembra di girare sempre intorno alla professione, più che affrontarla.
Stessa cosa per le altre materie e tirocini: l'altro giorno c'è stato un professore che ci ha fatto vedere un po' di elettrocardiogrammi in aula.
«Che cosa vedete qui?» chiedeva, di volta in volta.
Silenzio totale da parte di tutti. Non perché fossero elettrocardiogrammi particolarmente difficili da leggere (e sono convinto che tanti studenti sappiano farlo molto meglio di me) ma perché a pochi piace rispondere alle domande dei docenti.
A me invece chissà perché piace rispondere e mettermi al centro dell'attenzione. Forse è un mio problema o eccesso di ego o comunque una patologia che spiegherebbe anche l'esistenza di questo blog... ma insomma visto che non parla nessuno ci provo io:
«Blocco atrio-ventricolare» dico, e ci prendo.
Altro ECG, altra domanda:
«Cos'è?»
E io:
«Fibrillazione atriale» tipo, che non mi ricordo.
Terzo elettrocardiogramma, e ormai pare tipo la lezione privata di cardiologia tra me e il professore.
«Ci sono le T invertite, sottoslivella o sopraslivella o non lo so... è un infarto».
«Che tipo di infarto?»
Ecco. Per poterlo dire, devi ricordarti più o meno come stanno messi i numerini degli elettrodi dell'elettrocardiografo, così da risalire a quali coronarie e parti del cuore corrispondano. Solo che io a memoria non me le sono mai riuscite a imparare. Per cui, con tutta la tranquillità del mondo, prendo il cellulare e cerco lo schemino che mi sono fatto proprio su queste cose.
E il prof. mi s'incool@.
«Ma che fai? Guardi sul telefono?!»
Risate generali, figura di guano col mondo intero dei giovani neolaureandi futuri colleghi dottori, cazziatone di mezz'ora col prof che mi dice che le devo sapere a memoria e all'esame me le chiede e se tiro fuori il telefono mi cionca le mani. E io che ancora rispondo alle domande che fanno in alua: bravo coglione.
Il problema è che la mia visione forse ingegneristica o forse del tutto personale della cosa, è che finché arrivo al risultato voluto il sistema è comunque efficace. La visione medica è che non serve essere efficaci ma bisogna conformarsi a quello che fanno gli altri, così poi da essere facilmente selezionati sulla base di questionari standard e domande a risposta multipla oppure potersi facilmente giustificare in sede processuale.
Ecco, ma arriviamo al punto che se no non finisce più: questi corsi, questo episodio e tanti altri, mi hanno chiarito credo un po' le idee. Del tipo:
- Se sono fuori dagli schemi, non posso pretendere di rientrarci. Ergo se arrivo da una prima laurea, ho un modo di pensare diverso dagli altri dottori, ho un atteggiamento un po' - diciamolo - del cappero e insomma pretendo di fare le cose a modo mio, poi non posso pretendere di rientrare nei meccanismi che ho volutamente evitato... tipo il discorso specializzazione e assunzione nel sistema sanitario nazionale.
- Lezioni, corsi, master, esami eccetera non mi insegneranno mai un piffero.
L'unico modo per imparare - per me - è stare a contatto con la realtà lavorativa. Andare in pronto soccorso o in reparto, trovare persone disponibili che mi facciano fare cose nuove, e imparare così.
In tutto questo, credo che ci siano 2 strade possibili per il post laurea nel mio progetto di un miglioramento continuo come dottore:
1) Andare in un posto che mi piace, ma che mi piace davvero. Lavorarci anche GRATIS, e imparare dalle persone che sono lì cose che poi sfrutterò privatamente, perché nel pubblico non vedo grosse possibilità.
2) Entrare in specializzazione e passare 4-5 anni quanti sono in mezzo a un posto che mi piace dove posso imparare da qualcuno e - per di più - mi pagano.
Insomma, visto? Dopo anni di commenti, consigli, discussioni, link e quant'altro, mi avete finalmente convinto che la specializzazione potrebbe - al limite - forse essere la scelta un pochino migliore per un medico neolaureato.
Ritenendo pur tuttavia ancora e personalmente che per situazioni come l'aneddoto sopra citato io in specializzazione non enterò mai (dubito che mi faranno usare il cellulare durante il concorso) direi che ora che mi si stanno chiarendo le idee potrei o dovrei iniziare a cercare un posto di cui al punto 1, e vedere se e come potrei trovare il modo di frequentarlo.
Insomma, ma che ho scritto?! Alla fine è stata più una mia riflessione personale che un post, almeno mi pare. Spero che ci abbiate capito almeno qualcosa.
Nel qual caso che così fosse - ovviamente - siete invitati a dire la vostra opinione.
Simone