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06/05/14

Le idee un po' più (o meno) chiare.

È da aggiornare ma c'è pure il Glasgow, che non me lo ricordo mai.
Periodo universitario davvero moscio, che si riflette sull'altrettanta moscitudine del blog.

C'è che tra feste, ponti, primimaggi e quant'altro avremo fatto 2 lezioni e mezzo tirocinio in un mese.

Non che mi dispiaccia un periodo meno stancante in cui - sostanzialmente - alzarmi quando mi pare e studiacchiare con calma per tutta la giornata (se non si tratta di fare qualche grigliata o picnic all'aperto), ma diciamola tutta: tra un po' finisce il corso di laurea, e non è che questo semestre abbia portato chissà quale miglioramento teorico, pratico o professionale.

Sto studiando medicina legale, che tutto sommato sono argomenti nuovi e importanti che un medico deve conoscere. Ma - mi chiedo - un medico che sa cosa deve fare in caso di decesso di un suo assistito o che tipo di casini legali dovrà affrontare se qualcuno è insoddisfatto di lui (o se ha fatto qualche cazzata), è davvero un dottore più bravo?

Certo, sì, ammettiamolo. Un dottore deve sapere anche queste cose. Ma mi sembra di girare sempre intorno alla professione, più che affrontarla.

Stessa cosa per le altre materie e tirocini: l'altro giorno c'è stato un professore che ci ha fatto vedere un po' di elettrocardiogrammi in aula.

«Che cosa vedete qui?» chiedeva, di volta in volta.

Silenzio totale da parte di tutti. Non perché fossero elettrocardiogrammi particolarmente difficili da leggere (e sono convinto che tanti studenti sappiano farlo molto meglio di me) ma perché a pochi piace rispondere alle domande dei docenti.

A me invece chissà perché piace rispondere e mettermi al centro dell'attenzione. Forse è un mio problema o eccesso di ego o comunque una patologia che spiegherebbe anche l'esistenza di questo blog... ma insomma visto che non parla nessuno ci provo io:

«Blocco atrio-ventricolare» dico, e ci prendo.

Altro ECG, altra domanda:

«Cos'è?»

E io:

«Fibrillazione atriale» tipo, che non mi ricordo.

Terzo elettrocardiogramma, e ormai pare tipo la lezione privata di cardiologia tra me e il professore.

«Ci sono le T invertite, sottoslivella o sopraslivella o non lo so... è un infarto».

«Che tipo di infarto?»

Ecco. Per poterlo dire, devi ricordarti più o meno come stanno messi i numerini degli elettrodi dell'elettrocardiografo, così da risalire a quali coronarie e parti del cuore corrispondano. Solo che io a memoria non me le sono mai riuscite a imparare. Per cui, con tutta la tranquillità del mondo, prendo il cellulare e cerco lo schemino che mi sono fatto proprio su queste cose.

E il prof. mi s'incool@.

«Ma che fai? Guardi sul telefono?!»

Risate generali, figura di guano col mondo intero dei giovani neolaureandi futuri colleghi dottori, cazziatone di mezz'ora col prof che mi dice che le devo sapere a memoria e all'esame me le chiede e se tiro fuori il telefono mi cionca le mani. E io che ancora rispondo alle domande che fanno in alua: bravo coglione.


Il problema è che la mia visione forse ingegneristica o forse del tutto personale della cosa, è che finché arrivo al risultato voluto il sistema è comunque efficace. La visione medica è che non serve essere efficaci ma bisogna conformarsi a quello che fanno gli altri, così poi da essere facilmente selezionati sulla base di questionari standard e domande a risposta multipla oppure potersi facilmente giustificare in sede processuale.

Ecco, ma arriviamo al punto che se no non finisce più: questi corsi, questo episodio e tanti altri, mi hanno chiarito credo un po' le idee. Del tipo:

- Se sono fuori dagli schemi, non posso pretendere di rientrarci. Ergo se arrivo da una prima laurea, ho un modo di pensare diverso dagli altri dottori, ho un atteggiamento un po' - diciamolo - del cappero e insomma pretendo di fare le cose a modo mio, poi non posso pretendere di rientrare nei meccanismi che ho volutamente evitato... tipo il discorso specializzazione e assunzione nel sistema sanitario nazionale.

- Lezioni, corsi, master, esami eccetera non mi insegneranno mai un piffero.

L'unico modo per imparare - per me - è stare a contatto con la realtà lavorativa. Andare in pronto soccorso o in reparto, trovare persone disponibili che mi facciano fare cose nuove, e imparare così.

In tutto questo, credo che ci siano 2 strade possibili per il post laurea nel mio progetto di un miglioramento continuo come dottore:

1) Andare in un posto che mi piace, ma che mi piace davvero. Lavorarci anche GRATIS, e imparare dalle persone che sono lì cose che poi sfrutterò privatamente, perché nel pubblico non vedo grosse possibilità.

2) Entrare in specializzazione e passare 4-5 anni quanti sono in mezzo a un posto che mi piace dove posso imparare da qualcuno e - per di più - mi pagano.

Insomma, visto? Dopo anni di commenti, consigli, discussioni, link e quant'altro, mi avete finalmente convinto che la specializzazione potrebbe - al limite - forse essere la scelta un pochino migliore per un medico neolaureato.

Ritenendo pur tuttavia ancora e personalmente che per situazioni come l'aneddoto sopra citato io in specializzazione non enterò mai (dubito che mi faranno usare il cellulare durante il concorso) direi che ora che mi si stanno chiarendo le idee potrei o dovrei iniziare a cercare un posto di cui al punto 1, e vedere se e come potrei trovare il modo di frequentarlo.

Insomma, ma che ho scritto?! Alla fine è stata più una mia riflessione personale che un post, almeno mi pare. Spero che ci abbiate capito almeno qualcosa.

Nel qual caso che così fosse - ovviamente - siete invitati a dire la vostra opinione.

Simone

29/04/14

Un po' preoccupato.

E vabbe': non COSI' preoccupato!
È già da un po' che vado in giro dicendo che ho quasi finito gli esami.

Che la tesi è praticamente finita (a questo ho dedicato un post proprio 2-3 giorni fa), che sto in dirittura di arrivo, che manca poco... e che insomma questa specie di sogno o miraggio o delirio psicotico (a seconda di come lo volete vedere) della seconda laurea in medicina, sta incredibilmente per avverarsi.

E a questo punto credo - o immagino - che tutti pensino che io mi senta strafelice.

Realizzato, contento, euforico... quante ne volete dire? Avevo un obiettivo lungo, importante e difficile, e sono quasi arrivato a raggiungerlo: come altro dovrei sentirmi?

Be', il titolo la dice tutta, no?

Sono - un po' - preoccupato.

Preoccupato perché sì, ok, tutti i discorsi che abbiamo fatto sulle possibilità post laurea anche senza una specializzazione. Corsi, master, reparti da frequentare e tutta una serie di alternative. Ma se poi, nella pratica gira tutto storto?

Non è che pensi davvero di non trovare lavoro come medico. Anzi: come dirò tra un attimo, trovare lavoro sarà anche fin troppo facile. Ma il pensiero comunque di non trovare qualcosa che mi gratifichi appieno c'è sempre in un angolino del cervello, e - insomma - non è piacevolissimo.

Sono anche preoccupato perché ho passato tanto tempo in reparto. Ho studiato, mi sono appassionato di molte cose, e ce l'ho davvero messa tutta per imparare a essere un dottore per lo meno decente.

Però - in tutta sincerità - non mi sento davvero così pronto a mettermi lì e a fare le cose completamente da solo. Non mi sento così autonomo e preparato all'idea di dare una terapia, nell'eventualità dover seguire un paziente con tante patologie, o al pensiero di affrontare un'urgenza medica senza la supervisione di qualcuno più esperto.

Ci vorrebbe un lavoro o un'occupazione post-laurea che mi consentisse di fare pratica ed esperienza senza avere direttamente io tutte le responsabilità. Magari come assistente di qualcuno, o in un gruppo già affiatato, o non so che altro.

Invece la sensazione è che una volta laureato o entri in specialità (della quale penso abbiamo parlato anche troppo) oppure rischi di finire a lavorare in dei posti dove ti sparano praticamente da solo in mezzo alla guerra, e se sai fare le cose bene o se no: arrangiati.

Davvero penso che sarà facile trovare un lavoro qualsiasi. Molto meno facile trovare un lavoro che invece sia proprio quello che potremmo definire "giusto".

E sono un po' preoccupato anche perché - alla fine - tutta questa trafila di studiare per prendere una laurea, andare al tirocinio, fare gli esami e tutto il resto è anche una cosa che mi ha riempito la vita più di quanto potessi immaginare.

Certamente sarà faticoso e a molti potrà non piacere avere tanti impegni da seguire: le giornate buttate dietro alle lezioni, l'ospedale giorno e notte, e non avere mai un buco di tempo libero in cui rilassarsi con calma, senza il pensiero che - invece di stare lì a poltrire - forse faresti meglio a studiare.

Però poi penso che magari dopo la laurea non troverò subito da fare chissà cosa. Non ci sarà motivo di chiudersi sui libri per giornate intere, non avrò pomeriggi prenotati dalle lezioni o mattine in cui alzarmi di corsa perché sono già in ritardo per il tirocinio.

Ma io senza un obiettivo, senza un impegno e senza qualcosa a lungo termine di cui occuparmi non ci so stare. E se poi, dopo la laurea - semplicemente - mi annoio?

E insomma: qualcuno potrebbe dire che, ora che l'obiettivo si sta avvicinando, me la sto facendo sotto. E forse è davvero un po' così.

Che poi non è che non sia contento, anzi! Questa seconda laurea in medicina mi ha cambiato la vita a un punto tale che mi sentivo già realizzato uno o due anni fa. Voglio dire: c'è stato un periodo in cui non avevo neanche lontanamente finito, ma nel quale ho capito di aver fatto la scelta giusta. E in quel momento - probabilmente - avevo già raggiunto un qualche traguardo intangibile che stava nascosto tra l'iscrizione e la laurea.

Nel rileggere il blog, riesco anche quasi a identificarlo, questo periodo. Probabilmente un po' prima e un po' dopo di quando ho scritto questo post. O forse è arrivato più tardi, o ancora forse era così già da un po' di tempo, ma è più o meno in quell'epoca che me ne sono accorto.

Vabbe', forse ho fatto un po' troppi giri di parole un po' campati in aria. In ogni caso la laurea vera e propria, il voto che prenderò e la pergamena che mi daranno, sono solo formalità burocratiche che devo portare a termine. Ma quello che cercavo nell'iscrivermi a medicina, per tanti versi, credo di averlo trovato già da un bel pezzo.

Certo è che sarò contentissimo il giorno della discussione della tesi. E se ce la faccio davvero per Luglio, vuol dire che questa estate la passerò in una sorta di beatitudine mentale tra mare, viaggi, vacanze, feste e baccanali e che chi più ne ha più ne metta.

Però - insomma - un po' di preoccupazione per davvero c'è, e un po' di pensieri continuo a farmeli. E credo anche che questa riflessione fosse necessaria.

Simone

25/03/14

Ancora sulle alternative alla specializzazione.

Strumento utile per mettersi in privato.
Oggi ri-parliamo (ancora) delle alternative al percorso standard da medico neo laureato che si abilita, vince il concorso in specializzazione (magari), si specializza, lo chiamano subito ovunque a lavorare (col piffero) e diventa un super luminare della medicina nel proprio campo e tutti lo cercano e lo pagano e scrive libri e fa i convegni... e poi si scopre che invece era tutto un sogno e non ha passato manco il test di ammissione. Ah, ah!

Insomma un elenco di mie idee alternative da - eventualmente - studiarsi meglio e approfondire da qui fino ai prossimi mesi:

ALTERNATIVE ALLA SPECIALIZZAZIONE DOPO LA LAUREA IN MEDICINA (titolone altisonante per raggirare i motori di ricerca):

1) Andare all'estero.

La soluzione più ovvia (si fa per dire!) almeno dal punto di vista delle idee che a uno gli vengono in mente quando sta nel paese proprio e scopre che nel paese proprio non funziona una minchia.

A me piacerebbe un posto col mare e col sole e vicino alla spiaggia e dove si mangia bene e ci sta un sacco di gente simpatica, belle ragazze e cose così... insomma se andassi all'estero me ne fregherebbe poco davvero degli aspetti legati alla medicina e mi concentrerei più sullo scegliere il posto in sé.

Prime idee: Costa Azzurra, la Spagna, i Caraibi, Fregene (quest'ultima era una battuta).

Punto a sfavore: vai all'estero, ricominci da capo, non conosci nessuno, stai da solo: tristessssssssss...

2) Fare dei corsi che diano qualifiche da utilizzare nel privato.

Una prima idea sarebbe un corso da ecografista della SIUMB.

Impari a usare l'ecografo (che già so usare in effetti... diciamo che impari meglio e hai un pezzo di carta). Poi vai in qualche posto a fare le ecografie e ti pagano. La vedo bene anche come una cosa da fare in privato, nel proprio studio.

Punto a sfavore: fai le ecografie. 10, 200, 4000 ecografie. Finisci a guadagnare tanti soldi a fare ecografie di routine e controllo, quello che chiamo sempre la medicina inutile per pazienti sani. E ti fai 2 palle così...

Altri corsi interessanti non ne ho ancora trovati, ma di sicuro ci saranno cose che puoi imparare da te e poi rivenderti. Comunque ammetto qui sono un po' troppo sul vago.

3) Fare un master.

Tra master e corsi, la differenza alla fine non è che sia molta. Ci sono master in endoscopia, in cura del paziente diabetico, in cardiologia, in ecografia (basta!!!!!!) e chi più ne ha più ne metta.

Io farei il master in medicina d'urgenza. Non perché tutto sommato mi attragga in maniera particolarmente travolgente il master in sé e per sé, ma perché essendo già interno a un pronto soccorso e avendo iniziato un certo percorso sarebbe un po' una sorta di "prolungamento" della laurea e della preparazione prima di farmi mandare definitivamente affancuore.

Interessanti anche master di argomento internistico (diabete, cardiologia ecc) sempre nell'ottica di rivendersi poi determinate competenze nel privato.

Punto a sfavore: il master è tipo una specializzazione dove però paghi per seguire, e poi dopo 1 anno ti appendi il diploma alla parete e non ha alcun valore se non il poter dire: "aho, io de 'ste cose ce capisco na cifra: c'ho pure il mastere!"

4) Lavorare in ambulanza.

Con un'esperienza in pronto soccorso e - prima - nel volontariato, fare il medico di ambulanza sarebbe quasi un'evoluzione "naturale". Lo stipendio è buono, le possibilità ci sono... insomma, non è una cattiva idea.

Punti a sfavore: io l'ambulanza l'ho vista sempre come volontariato. Farlo per lavoro un po' mi sembrerebbe di tornare a prima della laurea, solo con tante responsabilità in più. E poi non so quanto si possa "crescere" professionalmente in questo settore, e poi ancora a fare il medico del 118 ti ritrovi da solo, per strada, unico dottore di fronte a qualsiasi cosa: non è che io insomma ambisca eccessivamente a un lavoro del genere, ecco.

4) Lavorare in pronto soccorso.

Lavorare nei pronto soccorso (pronti soccorsi?) da semplice laureato in medicina è impossibile nei grossi ospedali, dove prendono solo specialisti.

Nelle realtà di provincia più piccole però so che lavorano anche medici di base, non specialisti. Per cui con un po' di buona volonta ci si potrebbe spostare un po' e trovare un posto dove farsi qualche periodo da precario in attesa di "meglio" o sperando nei periodici rinnovi dei contratti di collaborazione senza ferie, malattie, permessi e anzianità: evviva!

Punti a sfavore: andare in un piccolo paese non è tanto diverso rispetto ad andare all'estero, visto che lasci comunque tutto e ti ritrovi da solo. Solo che all'estero magari puoi sceglierti una città grande con più "vita", un piccolo paese è un paese piccolo e magari non è così facile costruirsi una vita privata, dei contatti e delle amicizie. Di nuovo, insomma: tristess...

5) Aprire uno studio privato.

Aprirsi lo studio è facile: dici "apro lo studio", e hai fatto. Almeno finché non si inventano che per aprire lo studio occorrono 20 mila ottemperanze burocratiche, una prova a crocette e le fotocopie delle pagelle delle elementari che dimostrino che eri bravo in condotta e in educazione fisica... ma per adesso, no: puoi aprirtelo come ti pare, e basta.

Più difficile trovare i pazienti che vengano da te a pagare cose che magari nella sanità pubblica hanno gratis.

La mia idea è quella di una medicina di base un po' più "approfondita", dove faccio ECG, ecografie e insomma cose che nel pubblico richiederebbero un sacco di tempo e tanti giri tra diversi dottori e specialisti. Pagare un po' di più per un servizio migliore, ecco: l'idea sarebbe quella.

Nella pratica questa cosa dello studio richiede in qualche modo un contatto e una pratica continua in altri posti, magari reparti ospedalieri, dove diventare effettivamente capaci a fare le cose che pretendi di offrire, e dove tenersi comunque aggiornati e in "forma" per affrontare qualche paziente che magari non presenta richieste completamente banali.

Sarebbe insomma un progetto a lungo termine, da associare ai master e corsi vari di cui parlavo in precedenza.

Punti a sfavore: lo studio privato da solo senza alle spalle un modo per fare pratica e aggiornarsi non è destinato a grossi successi. E pure trovarsi i pazienti non è che sia una cosa che fai dall'oggi al domani. E sì: sono cose che avevo già detto. Vero.

In linea di massima, come "inizio" il master in medicina d'urgenza e il corso da ecografista restano le prospettive più "papabili", almeno per iniziare. Poi bisogna cercarsi un posto dove fare pratica, e iniziare a mettere mano allo studio e a tutti i casini che ne conseguono.

Ma insomma, le idee ci sono. E la specializzazione non è davvero l'unica possibilità, secondo me.

Simone

21/03/14

Ancora sulla specializzazione.

Potrei fare il concorso da appenditore di lastre!
Il discorso su cosa (e come) fare dopo 'sta benedetta laurea in medicina l'ho già fatto in passato con qualche post anche abbastanza corposo a riguardo.

Torno a parlarne di nuovo perché me lo hanno chiesto negli ultimi commenti, me lo hanno chiesto via mail, me lo hanno chiesto gli amici che incontro magari per una birretta la sera, me lo chiedono in ospedale... insomma: sarà che è normale visto che stiamo più o meno in dirittura di arrivo, ma me lo chiedono un po' tutti ed è ora forse di parlarne di nuovo.

Bene.

Dopo la laurea, a pensare a una continuazione di una carriera all'interno della sanità pubblica, la cosa più naturale e - credo - normale un po' per tutti sarebbe provare il concorso per la specializzazione.

La specializzazione che farei è forse medicina d'urgenza (dove sono interno) ma forse anche una chirurgia generale o d'urgenza e forse ancora - come mi avevano consigliato in molti - anestesia.

Mi piace lavorare in pronto soccorso. Credo che sia l'unica medicina che mi piace davvvero. Intervenire sulle persone che stanno male, nella fase acuta della malattia: niente attese infinite per esami e analisi, niente malattie croniche dove non si capisce bene cosa fare o non fare, niente vedere e rivedere sempre gli stessi pazienti per mesi e poi anni...

C'è tutta una medicina che si occupa di cure inutili per pazienti sani, secondo me. E non dico che non serva (anche se l'ho appena chiamata inutile) o che non sia forse più importante impedire che qualcuno si ammali davvero piuttosto che aiutarlo dopo, quando è un casino... ma insomma, a me non mi ha ancora preso particolarmente.

Credo che la mia personale "indole" sia proprio compatibile con alcune cose e totalmente incompatibile con altre: mi annoio di tutto, mi scoccia la ripetitività, mi sono rotto di fare l'ingegnere, di fare lo scrittore e di mille altri interessi che alla fine diventavano la solita noia.

La medicina del pronto soccorso presenta invece sempre una componente di novità, scoperta, curiosità... anche solo per capire quali tra le 10 patologie che ormai conosci a memoria ha il nuovo paziente appena arrivato.

Ancora: vedere tanti pazienti e tante cose diverse, utilizzando strumenti e procedure differenti, ti dà anche la possibilità di crescere e imparare sempre qualcosa di nuovo. Ci sono dottori che si "fermano" e praticano sempre lo stesso intervento sugli stessi pazienti per 10, 100, 10 mila volte, fino alla pensione. Sono i più bravi nel lavoro che fanno, e la gente li cerca e se dovessi farmi curare da qualcuno anch'io non sceglierei nessun altro. Però, se dovessi essere io al posto loro... che palle.

Non ho finito. In pronto soccorso (ma forse questa cosa è in comune anche con altri medici) se stai attento alle pubblicazioni e alle ultime ricerche trovi sempre qualcosa che poco prima non c'era: procedure, strumenti, tecnologie... c'è sempre l'ultimo ritrovato o l'ultimo giocattolo da scartare. E se una volta impazzivo dietro a computer, digitale e robe elettroniche ora vedo le pubblicità dei nuovi ecografi o di qualche altra diavoleria medica e mi immagino quanto sarebbe fantastico metterci sopra le mani e poterla utilizzare.

E insomma: tutto bello, bellissimo, fantastico. Vai, avanti così e senza problemi.

Be', insomma:

Intanto, inizierei la specializzazione (nella migliore delle ipotesi) a 40 anni dovendo quasi sicuramente trasferirmi in un'altra città... e davvero ancora ricominciare da zero a fare qualcosa non mi pare - davvero - una prospettiva esaltante.

Poi diciamoci la verità: coi voti che ho (non arrivo a 27 di media) partirei già mezzo azzoppato in un concorso di per sé difficilissimo anche per chi non si troverà a gareggiare con dei punti di svantaggio. E io penso che bisogna guardare in faccia la realtà, e accettare che probabilmente i pochi posti in specializzazione andranno alle persone più brave a memorizzare l'Harrison (il manuale di medicina più famoso) e che tra quelle persone non ci sono io.

Provate a fare una gara con un vostro nipote di 15 anni di meno a chi corre più veloce o a chi si arrampica prima, e dategli pure un bel po' di vantaggio, e chiedetevi che possibilità avete di vincere. Per la memoria non è proprio la stessa cosa uguale identica, ma insomma... quasi.

Ora spero non si torni ai soliti 20 mila commenti sul concorso e sui posti in specializzazione, che tanto ormai i giochi sono fatti e ha pure poco senso parlarne. Ma capisco che è colpa mia che ho tirato di nuovo fuori l'argomento... per cui, non lo so: fate voi :)

Io aggiungo infine che le scuole di specializzazione non sono poi necessariamente tutte così esaltanti: dipende da dove capiti e cosa ti mettono a fare. Potresti stare 5 anni a scrivere lettere di dimissione, copiare terapie e reggere ferri in sala operatoria. O in un ambulatorio noioso o in una scuola dove chissà perché si occupano di 2 patologie e mezza e le altre non te le fanno manco vedere.

Non è che ti specializzi in chirurgia e sai fare il chirurgo, o ti specializzi in una clinica e il giorno dopo ti assumono in ospedale. C'è la forte e concreta possibilità che il post specializzazione sia tale e quale al post laurea senza sicurezze o altro.

Insomma, mi pare del tutto sensato e soprattutto razionale pensare a un percorso non specialistico, con prospettive sicuramente ridotte ma senza il rischio di perdere ancora altro tempo e ritrovarmi senza niente in mano, a ricominciare da zero ancora e ancora a un'età più prossima a quella della pensione che a quella in cui qualuno inizia a cercarsi finalmente un lavoro "vero".

Anche di altri percorsi e alternative ho già parlato nei vecchi post, ed evidentemente mi toccherà farlo ancora. Per adesso vi lascio con queste riflessioni, che ho già scritto troppo e vi ho anche temo fin troppo annoiato.

Per chiudere con una nota positiva, comunque, la tesi è quasi terminata e tra un po' potrei anche potermi permettere di lasciarla da una parte, bella e impacchettata, per concentrarmi sugli ultimi esami.

Tutto sommato, per adesso la priorità è comunque quella.

Simone

10/02/14

Sbagliare, da medico.

Forse conviene iniziare con qualcosa di facile...
L'altro giorno - che poi anzi era ieri - il prof. mi passa l'elettrocardiogramma di un paziente appena arrivato in pronto soccorso (e che io non ho ancora visto) e mi fa:

«Quarda un po' questo. Che cos'ha, secondo te?»

Io guardo l'ECG. Vedo una, due, tre derivazioni sovraslivellate e penso "sarà un infarto".

Do uno sguardo anche alle altre derivazioni, e vedo che sovra o sottoslivellano quasi tutte. L'ECG è tutto completamente "mosso".

Una vocina dentro la testa si ricorda di una cosa sentita o letta da qualche parte, e mi fa:

«Non può essere un infarto con tutte le derivazioni mosse» mi dice con la sua vocina da vocina, ovviamente. «E poi ti pare che ti chiedeva una cosa così facile? Secondo me, è una pericardite».

Insomma, il prof. mi ha presentato un caso difficile convinto che sarei caduto nella trappola. Ma io - tranquilli - non ci casco.

«Ci sono tutte le derivazioni alterate» rispondo convintissmissimissimi... insomma: molto convinto. «Perciò è una pericardite».

Detto questo punto i pugni sui fianchi, allargo i gomiti, gonfio il petto e guardo lontano come a cercare le mie glorie future: nessuno mi frega sull'ECG, a me.

La risposta del professore, però, parrebbe vagamente smontarmi:

«Ma che minchia c'entra la pericardite?!? Non lo vedi che sopraslivella? È un infarto».

Poi prende la cartella e la mette via, con un gesto che suona tipo: "fammi togliere 'sta roba prima che questo fa qualche casino".

Segue intenso momento di grande sconforto: avevo appena iniziavo a sperare di capirci qualcosa... e invece, ho toppato.

Continua la giornata in reparto, e io ci penso e ci ripenso: chi mi aveva raccontato la storia della pericardite?! 'Tacci sua! Quando uno sbaglia, l'importante è - prima di ogni altra cosa - trovare qualcun altro a cui dare la colpa. E prima o poi chi cavolo era me lo ricorderò. Forse.

Ma insomma, al di là di trovare o meno un buon capro espiatorio, ho pur sempre sbagliato io. E ho sbagliato pure di brutto, del tipo che era una cosa seria e io l'ho scambiata per un'altra cosa sempre seria, ma forse un po' meno seria dell'altra. E insomma: se ci stavo io, da solo, rischiavo che erano cazzi.

Che a me poi delle denunce che possono arrivarti o tutto il resto non me ne frega nulla: cioè, fuori da certi reparti trovi le pubblicità degli studi legali che invitano i pazienti a fare causa ai dottori, e che un medico anche bravo e che non sbaglia mai si ritrovi a combattere con avvocati e impicci legali è quasi un dato di fatto che uno accetta al momento dell'iscrizione all'università.

Ma fare qualcosa di sbagliato che danneggia un paziente - parlando insomma del fatto in sé - è ovviamente... o almeno voglio sperare che sia ovviamente, una delle preoccupazioni più grandi di tutti gli studenti e aspiranti dottori.

Poco male. Ieri, intendo. Ho sbagliato una cosa, ho riflettuto sul perché ho sbagliato, e penso di aver individuato qualche punto su cui riflettere per ridurre la possibilità che succeda di nuvo.

Che poi il post doveva essere quello: una minima introduzione, e poi un elenco di motivi che ti fanno sbagliare... ma alla fine mi sono dilungato troppo, e a voi è toccato sciropparvi questo.

È comunqe sostanzialmente questione di fare tanta pratica, ed è importante davvero iniziare avendo accanto un "paracadute" più esperto di te che ti acchiappa un attimo prima di aver combinato qualche casino.

Poi, magari, se volete ne riparliamo.

Simone

12/12/13

Giovani Medici Day, per restare in Italia.

E pensa che io nell'armadio c'ho pure il tecnigrafo!
Oggi si sono svolti in tutta Italia una serie di cortei a s-favore della recente riforma per l'austerità varata dall'attuale governo.

In particolare, quello che non piace troppo a tanti studenti e neo-laureati in medicina è il taglio alle borse di specializzazione per i futuri specializzandi.

Per sintetizzare, dai 5000 circa posti in specializzazione disponibili al momento della nostra iscrizione a medicina, successivamente già ridotti, si passa a 2000 posti in totale per il prossimo concorso.

Facendo qualche calcolo (non mio, ma letto non so bene dove), al prossimo concorso ci saranno dalle 9 alle 12 mila domande di aspiranti specializzandi, contro appunto i 2000 posti.

Al concorso successivo - quello al quale dovrei partecipare eventualmente io - ci saranno 20 mila domande. Per circa insomma un medico specialista ogni 10 dottori laureati.

Purtroppo io non capisco davvero molto di politica o di economia. Praticamente ho sempre votato per il partito più sbagliato di tutti, ed economicamente se vedete a 38 anni sto ancora qui a fare l'università... e insomma la mia opinione è per lo meno poco affidabile, ecco.

Quello che penso è che mi girano un po' le scatole dopo 5 anni e passa che dico "il problema non è tanto il concorso quanto il numero di posti". E invece arriva il nuovo ministro, sembra il salvatore degli studenti di medicina portando finalmente all'approvazione del nuovo concorso nazionale per l'entrata in specializzazione... ma poi dopo manco mezzo minuto prende e ci tira questa bordata micidiale.

Che davvero - a questo punto - le possibilità non è che siano poi tanto variegate:

- C'è chi come me sulla specializzazione non ha mai realmente contato, e va bene: è comunque una possibilità di meno.

- C'è chi riesce a entrare, e loro insomma sono quasi fortunati (il motivo del quasi ve lo spiego dopo).

- C'è chi non entra, ma vuole comunque fare il chirurgo o un certo tipo di dottore nella vita. E allora? E allora se ne deve - semplicemente - andare all'estero.

Il tutto pensando che c'è penuria già ora di medici specialisti (e ce ne sarà di più in futuro) col risultato ridicolo di un paese che manda via i propri medici laureati, per poi assumerne altri stranieri o che si sono formati da soli per poi - verrebbe da chiedersi perché - tornare in italia al termine della loro preparazione.

Chi entrerà tra i 2000 eletti - come dicevo - si troverà a lavorare in un sistema sanitario con sempre meno personale e sempre meno medici "anziani" sui quali fare affidamento.

Non è impossibile pensare che, in piccole realtà, un solo specialista a studi appena terminati si troverà a lavorare DA SOLO facendo cose che in sostanza nessun collega più esperto gli ha mai realmente insegnato. Schiacciato da un numero sproporzionato di pazienti da seguire e da sempre più magagne burocratiche da dover sbrigare.

Un crollo del livello già precario della sanità, delle possibilità per gli studenti, della salute pubblica e - perché negarlo - della già sgangherata immagine degli italiani all'estero: che penseranno, i nostri colleghi tedeschi, spagnoli, austriaci... vedendoci arrivare in massa con la laurea sotto braccio da una parte e la scatola di cartone come valigia dall'altra?

"Ariecco gli italiani", questo penseranno. "Sempre a suonare mandolino, mangiare spaghetti e andare all'estero a specializzarsi... che da loro, il sistema sanitario nazionale è veramente n@mm€rd@".

Simone

02/12/13

Non impossibile.

Laureato in Medicina, ing. Civile e...no! Fisica, no.
Periodo di tutt'altro che entusiasmo tra tesi, lezioni, tirocini, prossimi esami... e insomma con tutto quello che riguarda l'università in generale.

Ma di questo riparleremo magari nel prossimo immediato futuro, che c'è tempo.

Per adesso mi limito a dirvi che - come promettevo qualche aggiornamento addietro - ho parlato con chi organizza il master in medicina d'urgenza della mia facoltà.

Gli ho parlato spiegandogli abbastanza chiaramente che:

- Non mi pare verosimile riuscire a entrare in specializzazione.

- Non mi pare interessante intraprendere un altro percorso lunghissimo dopo la laurea.

- Vorrei comunque lavorare in pronto soccorso per fare esperienza come medico, e per tale motivo stavo valutando l'eventualità di considerare la possibile iscrizione al master (così un po' sul vago, per non dare l'idea di sbilanciarmi troppo).

Ora capite che se il master lo organizza lui è evidente che più di tanto non potrà s-consigliarmelo... ma è pure vero che se provo a farlo o meno non gli cambia niente uguale, visto che i posti sono sempre comunque tutti presi (per cui c'è il rischio di non entrare manco lì, tra parentesi).

Gli ho chiesto anche senza mezzi termini se è vero - come mi ha detto quello del management sanitario - che senza una specializzazione non potrò mai e in ogni caso trovarmi uno spazio in un pronto soccorso se non - eventualmente - su una barella. Così, tanto perché era ora di saperlo: via il dente e via il dolore.

La risposta è stata che: "generalmente nei grossi ospedali è così. Però, nelle realtà più piccole, fare qualcosa senza specializzazione non è impossibile".

Punto.

Ora non sono stato (e non starò) a indagare su cosa faccia di preciso un non specialista. Su quali siano queste realtà piccole (i castelli romani o l'armadietto dei medicinali di una piattaforma petrolifera in mezzo all'oceano?) e se convenga o meno andarsi a impelagare con lavori precari con posti e orari e stipendi assurdi per ottenere alla fine non si sa bene nemmeno cosa.

Non ho chiesto, non ho indagato, e semplicemente non ho ancora assolutamente chiaro che cosa debba o possa succedere di preciso con una laurea in medicina, dopo quella in ingegneria, a quasi quarant'anni.

Ma diciamo che - per ora - il fatto che il mio non sia un progetto proprio impossibile, mi basta.

L'altro giorno ho parlato con un amico su Facebook, e lui mi ha fatto capire che forse mi stavo smontando un po' troppo da solo, e che era il caso di pensare in maniera più positiva. E dopo qualche altra riflessione ho realizzato una cosa importante:

Ho realizzato che pure quando ho deciso di provare il test di ammissione per medicina, di punti di vista negativi ne ho sentiti il doppio di troppi.

Da chi prevedeva una vita da studente, a chi votava per l'abbandono alla prima sessione d'esami. Da chi mi vedeva a svenire al primo prelievo, fino a chi mi ha dato del coglione per aver deciso che la vita che facevo non mi piaceva e di aver avuto le possibilità (perché anche quelle servono) e il coraggio per provare a metterci una pezza.

Nella psicosi che m'è presa ultimamente di pensare al dopo-laurea, ho riconosciuto i miei stessi pensieri autodistruttivi di 5 anni fa: non potrò farcela, andrà male, è impossibile.

Ma invece eccomi qua, un sacco di mesi e un sacco di esami dopo: laurea o non laurea, un po' dottore sento che forse ci sono già diventato. E tutti questi milioni di esami e impicci burocratici che parevano impossibili, invece, non lo erano.

Come ho detto anche un secolo e mezzo fa, forse su queste pagine o forse da qualche altra parte, al mondo c'è una specie di macchina della sfiga che ti butta giù al minimo dubbio e non ti fa fare e combinare un cazzo.

E non perché non sei capace o per altri motivi ma perché - semplicemente - appena una cosa ti pare un minimo più impegnativa o che vada a intaccare determinati equilibri da una parte c'è chi ti gufa o ti fa sentire una merda, da una parte ci stai tu che ti fai le paranoie e te la fai sotto, e in mezzo a tutto questo rimane la tua solita triste vita e il solito triste mondo dove non cambia mai assolutamente niente.

E insomma penso che laurearmi, fare una qualsiasi cazzo di cosa tanto per dire "ho un titolo post-laurea" e diventare un buon medico e fare quello che mi piace non sarà facile, non sarà semplice e non sara forse nemmeno così veloce come speravo.

Però sarà non-impossibile, di questo sono abbastanza convinto. E ho deciso di farmelo bastare.

Simone

07/11/13

Dopo la laurea, niente.

Medici non entrati in specializzazione.
Post scritto e lasciato a "riposare" già da un po' di tempo, ma che con le notizie degli ultimi giorni (è passato il concorso nazionale per le scuole di specializzazione) diventa credo anche più attuale di quando l'ho scritto:

Durante uno degli ultimi tirocini, mi è capitato di discutere con una sorta di direttore sanitario, dirigente ospedaliero o insomma una persona di quelle che conoscono i meccanismi dell'ospedale.

E non so come, è venuto fuori il discorso lavoro/specializzazione.

«Ho sentito dire di una persona» gli ho detto io, «che dopo la laurea ha lavorato in un piccolo pronto soccorso con un contratto di collaborazione e con partita IVA».

Lui, però, è stato abbastanza lapidario.

«Non è possibile. Per lavorare in una struttura sanitaria, anche con un contratto precario e temporaneo, c'è bisogno comunque e in ogni caso di una specializzazione».

Capito? Io, a dire il vero, no: o questa persona di cui mi hanno parlato in effetti non lavora in pronto soccorso, e se l'è inventato (cosa - a mio parere - tutto sommato non impossibile). Oppure i dirigenti ospedalieri non sanno come funziona il posto che dirigono... che se ci penso, ahimé, non trovo del tutto impossibile nemmeno questa.

Ma, ok, cambiamo del tutto situazione e scenario. Andiamo tra gli studenti:

«Che specializzazione vuoi fare?» è la classica domanda che - presto o tardi - viene sempre fuori.

«Proverò a entrare nella specializzazione X" è l'ancor più classica risposta.

Un po' meno scontata è forse la domanda successiva, che faccio io ogni tanto:

«Cosa farai, se non entri?»

«Se non entro nella specializzazione X, allora proverò l'anno successivo a entrare nella specializzazione X»

Dove X ovviamente = X, la stessa specializzazione di prima.

Il senso del discorso, è che nessuno dice "se non riesco a entrare, provo qualcos'altro". Gli studenti di medicina sono tutti puntati e concentrati sulla loro specializzazione (che magari hanno dovuto scegliere 2 o 3 anni prima della laurea) e al di fuori di diventare medici specialisti non hanno altro progetto che quello di diventare specialisti medici.

Che a me pare giustissimo, no? Mi piace fare una cosa, per cui voglio fare quella: non c'è da discuterne.

Solo che i posti in specializzazione sono meno dei medici che si laureano. Ora non so farvi bene i conti precisi, ma a fronte di 10 mila posti al test di ammissione in medicina, si scende a 3500 borse di specializzazione per lo scorso anno che - così ho sentito dire - verranno ulteriormente ridotte a 2500 già dal prossimo concorso.

Cioè a seconda dei numeri che cambiano di continuo un medico su 2, su 3 o addirittura un medico su 4 trova posto in una scuola di specialità, mentre gli altri no.

E cosa fanno, questi altri rimasti fuori? Chiediamoglielo!

«Cosa farete, se non entrerete in specializzazione?»

«Se non entriamo in specializzazione, proveremo il concorso per entrare in specializzazione».

Ci siamo?

Da un lato, c'è la dirigenza, la parte organizzativa dell'ospedale, che non concepisce l'idea che qualcuno lavori in mancanza di un titolo specialistico. Non è proprio assolutamente minimamente pensabile che un non specialista si occupi di medicina. Lasciate proprio perdere.

Che poi, se vogliamo, è come se volessero dire che ti laurei in un ospedale che non ti rende in grado di lavorare nel medesimo ospedale che ti ha formato (perché - esplicitamente - se non ottieni dei titoli aggiuntivi loro non accettano di lavorare con te)... ma non cambiamo argomento, che se no non ne usciamo più.

Dall'altro lato - dicevo - i futuri medici non hanno un piano B: se non mi specializzo, mi specializzo. Altrimenti mi specializzo. Se no - dicevo - penserò a una specializzazione.

E poi, sopra tutto quanto, c'è uno Stato che ha creato un meccanismo dove prima mette un numero chiuso a monte, con il test di ammissione in medicina. Ma poi a valle non ha più i fondi per portare a termine la formazione di tutti, e impone una seconda scrematura, lasciando chissà quanti medici con una formazione incompleta.

Ma insomma. Ammettendo che tutto sommato di cosa faranno i miei colleghi medici è forse meglio che si interessino loro, parliamo piuttosto di me: che farò io che a specializzarmi dopo la laurea non vorrei provarci nemmeno?

Finora mi andavano bene i corsi da ecografista, un paio di master, e poi quel che succede si vede. Ma confesso che - di fronte all'assoluta certezza e determinazione di tante persone che ritengono che una specializzazione sia più che indispensabile - un po' mi sto preoccupando.

Io sono ancora deciso a seguire i miei progetti, infischiandomene di tutto e di tutti. Ma non è che sono così fuori di testa da non dare minimamente ascolto a nessun altro: e se poi - davvero - non basta?

Se davvero dopo la laurea in medicina, con la laurea in medicina non ci faccio niente? Non mi toccherà mica tornare a fare l'ingegnere?!

Meno male che - per lo meno - non ho mai cancellato l'iscrizione all'ordine...

Simone

27/10/13

Il dottore del futuro.

Io sarò - sicuramente - così.
Io me la sono sempre immaginata a questo modo:

Un paese un po' fuori mano, magari in campagna. Qualche casa, a malapena due o tre negozi per le cose essenziali, una corriera che passa poche volte al giorno.

Qualcuno che sta male. Giovane o vecchio, sano o già malato. Non si sa che cos'abbia: sta semplicemente male.

Si chiama il dottore. E magari di dottore ce ne sta uno a un'ora di viaggio di distanza, o magari ce ne sta uno che abita proprio nella casa lì dietro, a un tiro di schioppo. In certi paesi del nord è ancora un po' così: se c'è l'ambulanza dei volontari di un paese vicino magari arriva subito, mentre se deve arrivare dalla città è capace che aspetti anche un'ora.

E insomma, va bene, torniamo al nostro discorso: posto un po' isolato, qualcuno sta male, e arriva il dottore.

E a quel punto, che ha un medico a sua disposizione? Che può fare?

Prima di tutto, la semeiotica: saper riconoscere una malattia, dal suo aspetto. Da come si comporta il paziente. Da dove è localizzato un dolore, da una rigidità, da come si muove l'ammalato.

Ora a noi sembrano minchiate, ma la tomografia assiale computerizzata - la cosiddetta TAC - è stata usata per la prima volta nel 1975. E ve l'immaginate a fare tutto senza una TAC? Senza endoscopia, senza ecografo, senza magari nemmeno una miserissima lastra del torace?

La semeiotica, appunto, e nient'altro.

Non che oggi come oggi la semeiotica si studi chissà quanto, intendiamoci. C'è che da un lato tante cose ancora sono importanti: e allora fai il Mingazzini, fai il Babinsky, fai il Murphy... e insomma una mezza idea ancora te la fai.

Però oggi se arriva uno in pronto soccorso e la TAC non gliela fai... apriti cielo! Se poco poco aveva una costola incrinata e non gliel'hai detto è capace che ti denuncia. Oggi ci sono le linee guida, le direttive dell'ospedale, i colleghi che se fai una cosa fuori dal comune ti guardano con gli occhi di fuori dalle orbite. La TAC se c'è anche mezzo dubbio la devi fare e basta. Per cui la semeiotica: sì, ok, tutto bello e interessante. Però facciamo la TAC e nella semeioica al limite vedremo i segni che confermano quello che si vede con le immagini.

Ma torniamo al nostro dottore di campagna. Solo, in un buco sperduto di paese, col paziente che sta male.

Lo visita col potere della semeiotica e trova, mettiamo, che il paziente ha una roba... che ne so: il segno del Giordano positivo.

Fico, no? Il paziente sta male, Giordano positivo... e insomma che avrà? I calcoli!

E ok. Qui finisce la semeiotica, e comincia tutta un'altra parte della medicina.

- Se ha i calcoli, perché il paziente sta male?

- Ci sono dei farmaci che possono aiutarmi?

- Il paziente può restare a casa, o andrà ricoverato?

- Devo dare un antibiotico? E se sì, che tipo? In quali dosi?

La parte mnemonica. La cultura medica. Il fatto stesso che vuol dire che sei dotto, e gli altri ti chiamano dottore. E magari ti pagano pure... ma non ci giurerei.

Che una volta era così, no? Se lo sapevi, lo sapevi. Se non lo sapevi ti attaccavi al tram: che magari sì un manualetto da qualche parte te lo portavi pure, ma più di tanto non è che poteva esserci scritto e l'idea stessa che da qualche parte ci potessero essere delle nozioni più aggiornate rispetto alle tue - apprese magari 20 o 30 anni prima - era già difficilmente concepibile: il paziente ha i calcoli e i calcoli si curano così. Se lo sai, lo sai. Se non lo sai - semplicemente - non sei un dottore.

E ok. Bello. Ma oggi?

Oggi il paziente prende il cellulare, va a cercarsi su internet la propria patologia, trova un sito pieno di una montagna di cazzate... e metà del lavoro del medico è litigare coi pazienti e convincerli a dargli retta e a espletare operazioni burocratiche assolutamente inutili da un punto di vista sanitario, ma che minimizzano il rischio di essere denunciato.

Oggi se pure sai tutto l'Harrison a memoria non è che hai realizzato chissà cosa: perché la gente non è più formata (unicamente) da contadini e analfabeti: le persone hanno una cultura mediamente abbastanza elevata da essere in grado di trovare lo stesso materiale che trovi tu, e capirlo magari allo stesso modo con dei limiti dettati solo dalla minore esperienza.

Ho visto pazienti curarsi da soli, e poi andare dal medico a chiedere prescrizioni con valore retroattivo. Ho visto parenti di persone ammalate ascoltare quello che diceva il dottore, e due secondi dopo correre su Internet con l'iPad a cercare qualcosa di meglio, perché comunque di lui più di tanto non si fidavano. So di amici che vanno dallo specialista e si trovano loro a spiegare le cose a lui, oppure lo vedono controllare su google prima di dargli una risposta.

E insomma, la tecnologia moderna ha cambiato la mia - forse - futura professione fino a un punto che rende quasi ridicola, obsoleta e fuori tempo quella che era l'immagine classica del dottore di una volta. E se togliamo la semeiotica, se le immagini che abbiamo sono sempre più illuminanti e se la cultura medica è di giorno in giorno di migliore accessibilità, nonchè azzerata e completamente riscritta in cicli di pochi anni... della professione medica, cosa rimane?

Chi è il medico bravo? Cosa è? Cosa sa fare e cosa si aspettano le persone da lui? Vi chiederò di più: cosa può fare di concreto un medico per i propri pazienti?

Da un lato, penso alla chirurgia e dico: ok, questo è uno. Un tipo di medico. Che la gente comune non sa certamente fare un intervento chirurgico. Ci vuole esperienza, ci vuole manualità... e mi pare scontato: un chirurgo bravo, non ha paura di google, della TAC o dell'applicazione del prontuario farmacologico che puoi portarti sempre in tasca. Il chirurgo è il chirurgo, e nessuno può addormentarsi e operarsi da solo. La chirurgia - sempre più moderna e raffinata - rimarrà sempre.

Poi penso a tutte queste nuove tecnologie. Penso all'ecografo tascabile che ho visto su Youtube e che rende un inutile pezzo di plastica pure il fonendoscopio. Penso alla Risonanza Magnetica che da un lato pare tanto semplice, ma che uno deve essere poi in grado di saper leggere e interpretare. Penso ai computer e a Internet con una infinità di informazioni di carattere medico. Studi e pubblicazioni di ogni tipo, forma e genere. E pure lì: se sai gestire le cose, se sai cercare, se sai cosa devi trovare di preciso... allora ok. Però devi esserne capace.

E insomma: un chirurgo che è anche bravo a usare Internet. O un bravo diagnosta che sa leggere ECG TAC ECO RMN e tutti gli altri acronimi di 'sto mondo. E allo stesso tempo un po' burocrate, e un po' avvocato. Con la mentalità aperta di uno che gli dicono: ehi guarda c'è una cosa meglio di quella che facevi tu! E lui, tranquillo, se trova una cosa meglio se la impara. Senza stare lì a farsi chissà quali problemi.

Eccolo qua: il dottore del futuro. Prossimo. Di domani, o già di oggi stesso magari. O addirittura anche di ieri, che qualcuno così è già da un po' che farebbe comodo.

Ci ho preso? Ho sbagliato? Una via di mezzo? Non lo so, io penso - un pochino - di sì. Ma dite la vostra anche voi.

Simone

06/07/13

Come studiare, mantenersi, e possibilmente dormire la notte? La lettera di Monica!

Ma non dormire troppo... che poi non passi il test!
Ciao simone,

ti scrivo perchè non ho nessuno con cui parlare di argomenti del genere, nessuno sembra di capire cosa voglia dire per me tentare almeno di diventare dottoressa.

Ho 23 anni e dopo moltissima fatica ad aprile finalmente ho trovato un lavoro molto umile anche se sinceramente non lo trovo per nulla male. Lavoro in un calzaturificio di lusso.

Il punto è che ho davvero necessità di lavorare dato che vivo separata dai miei genitori, quindi ho le spese della casa, della macchina etc... ma puntualmente come arriva l'estate tutti i benedetti anni mi trovo a vivere con angoscia questo periodo, perchè penso che avrei almeno dovuto tentare il test di medicina.

Leggendo il tuo blog mi sono presa coraggio e ho comprato tutti i libri alpha test e sto cercando di studiare qualcosina, che mi esce molto difficile dato che lavoro full time e la sera sono sempre cotta.

Il punto è: se per qualche miracolo riuscissi ad immatricolarmi, come potrei fare per tirare su i soldi che mi servono per vivere e per mantenere gli studi?!

La notte non dormo più. Combatto tra cuore e mente. Ho sempre sognato di fare la pediatra, e abbandonare questo sogno così... mi mette tristezza, molta.

Ti prego, tu con qualche esperienza in più rispetto a me cosa mi consigli? Come uscire da questa tortura?

non sono affatto brava a scrivere, perdonami, è una mail scritta di getto.

Monica

12/05/13

Fare il medico, senza specializzazione.

Strumento tipico di una specializzazione, che non farò.
Ormai ci penso da un sacco di tempo, e a questo punto penso di aver più o meno una mezza idea di cosa fare dopo la laurea.

Principalmente non vorrei fare una specializzazione. E il fatto che io non lo voglia non vuole necessariamente significare che non ci proverò nemmeno, visto che nella vita uno progetta le cose e poi però succede esattamente il contrario.

Però insomma non mi prende troppo l'idea di specializzarmi per tanti motivi, tra cui - elencando i primi che mi vengono in mente - ci sono:

- Sono veramente molto pessimista sulla possibilità di entrare. Le scuole sono affollatissime, e di aspettare anni per un posto non mi va.

- Non mi laureerò con 110 e lode e tutti i 30 negli esami giusti, e questo rende il discorso specializzazione ancora più utopico specialmente nell'ottica di una possibile riforma che darà ancora più peso a voti e domande a crocette.

- Se mi laureo a 39 anni farò il concorso a 40 anni e - nella migliore delle ipotesi - mi specializzerò a 45. E a me l'idea di passare altri 6 anni a fare lo studente non mi esalta troppo.

- Non sono sinceramente convinto che con una specializzazione si diventi sempre dei medici "migliori". Per me meglio frequentare certi reparti anche solo per imparare, piuttosto che specializzarsi in certi altri per poi trovarsi un titolo senza però le dovute capacità.

- Purtroppo gli studenti (compreso il sottoscritto) sono così spaventati dall'idea di non entrare in specializzazione che vivono l'intero corso di studi come i preparativi per il concorso, piuttosto che come una strada che li porti a diventare prima dei tutto dei bravi medici. Io ho scelto un reparto che mi garantisse più una preparazione che delle possibilità professionali future. Ho fatto bene? Penso di sì, ma continuando su questo percorso dovrò adattarmi alle conseguenze.

- Nell'idea di una chirurgia, dopo la specializzazione serve comunque un periodo di formazione ulteriore, magari all'estero. E iniziare a fare il chirurgo a 50 anni è un po' folle come idea.

- Non sono sicuro che mi piacerebbe lavorare come medico ospedaliero, ma preferirei di più un tipo di lavoro in una struttura o in uno studio privati.

- Che una volta specializzati si venga "assunti" e si trovi il fantomatico lavoro della vita e si sarà soddisfatti e felici di quello che si è ottenuto è auspicabile. Ma le mie esperienze di chi è già passato per studenti che si laureano e vanno a lavorare mi assicurano che non sarà così, o almeno non per tutti: alla fine chi farà il dottore e lavorerà e avrà pazienti e si sentirà gratificato dal proprio lavoro sarà chi avrà più passione, voglia di fare, capacità di adattarsi, intelligenza, umanità e tanto altro.

Purtroppo l'università ti propone la cosa come se con i giusti voti ti sarà dovuto un titolo e con il giusto titolo ti sarà dovuto un futuro professionale e con la giusta professione ti sentirai completo e realizzato... ma questo non è vero. Almeno, non per tutti.

- Io mi vedo come una specie di medico di base con alcune competenze specialistiche: faccio una visita, un ECG, un'ecografia, la gestione di alcune patologie internistiche... ma per la chirurgia o per interventi più complessi mi rivolgerò sempre a un collega specializzato in quel senso.

Penso insomma che lavorare come medico di base/generale privato (non quello che ha fatto il corso triennale ed è entrato in graduatoria e tutto il resto) sia una prospettiva possibile. Difficile ma possibile, e con le dovute capacità penso anche di poter offire realmente un giusto servizio a chi deciderà di affidarsi a me.

Il mio progetto attuale (nel senso che potrà sicuramente cambiare più volte) è di laurearmi in corso. Di fare il tirocinio e iscrizione all'albo. Di fare un master (probabilmente in medicina di emergenza o similare) e di fare i corsi da ecografista. In concomitanza, frequenterò un pronto soccorso e/o uno studio medico o ambulatori o altro.

Così insomma il primo anno post laurea che i miei "colleghi" passeranno a studiare per quelle cazzo di crocette, io lo passerò a formarmi un po' meglio.

Il secondo anno - e i successivi fino alla morte - li passerei facendo magari dei corsi di natura più specifica per patologie internistiche (un master sul diabete, così per dirne una) frequentando una struttura dove fare pratica anche sempre e assolutamente in maniera gratuita, e iniziando ad avviare una attività libero professionale.

Da notare che molti dei miei colleghi - almeno quelli che sono entrati in specializzazione - a quel punto staranno facendo il cosiddetto "tronco comune", frequentando cioè reparti diversi dal loro. Per quanto ne so, a quel punto qualcuno sarà già discretamente bravo (e sarà sempre più bravo di me) e userà questa possibilità per migliorare ancora. Qualcun altro continuerà a reggere i muri e a guardare il lavoro degli altri. Alla fine, insomma, sarà tutta questione dell'impegno che uno ci mette.

Sembra fattibile? A me insomma su due piedi direi di sì. Ma voglio parlarne ancora bene con dei medici più esperti, e magari anche con alcuni dei miei professori.

Simone

17/03/13

Studiare e lavorare allo stesso tempo: Matteo ci racconta come ha fatto lui.

Studente in bulloni si mantiene facendo il chirurgo.
Ciao Simone, con molto piacere ti racconto brevemente la mia piccola storia accademica:

Quando decisi di tentare il test a medicina (circa sette anni fa) avevo 28 anni e lavoravo a tempo pieno in una libreria. Ero fidanzato e abbastanza soddisfatto della vita, anche se da sempre ho avuto il pallino di studiare medicina.

Non l'ho mai potuto fare sopratutto perchè non avevo (e non ho) una famiglia che mi potesse mantenere all'università. Scritto così potrebbe sembrare che io attribuisca una colpa più o meno implicita alla mia famiglia, ma ci tengo a sottolineare che così non è.

Come tante famiglie della Napoli ''non bene'' (ma direi come tante famiglie della Italia ''non bene'') mandare avanti i figli è proprio dura, e troppo dura se questi vogliono continuare a studiare dopo la terza media e impossibile se questi poi vogliono fare l'università. Comunque, per farla breve, massimo dopo il diploma bisogna trovare un lavoro, magari anche emigrando.

Io sono stato fortunato perchè subito trovai un piccolo posto in una libreria, che tra l'altro trattava testi di medicina ormai in disuso che mi attiravano sempre particolarmente... ma mi accorgo che sto dilungando troppo e allora sarò schematico: a 28 anni supero il test e m'iscrivo a medicina. Per i primi due anni ho continuato a lavorare in libreria solo di pomeriggio, poiché ero riuscito a farmi mettere part time.

Dal terzo anno in poi è stata dura. Licenziato dalla libreria e lasciato dalla fidanzata (si voleva giustamente sposare, a 30 anni!) ho iniziato a dedicare il 70% della giornata a corsi e studio, mentre facevo pulizie negli uffici del centro direzionale, a nero, tutte le sere dalle 19 alle 24.

Guadagnavo giusto per l'iscrizione all'università, libri, fotocopie, cancelleria, e tutto ciò che mi restava in mano lo lasciavo a casa. Infatti io da casa non me ne sono mai andato, e questo forse è stato il fatto determinante.

Sono andato avanti per altri due anni con questo lavoro serale, ma poi il lavoro è finito mentre gli impegni universitari aumentavano. Allora ho trovato un lavoro in un pub solo per il fine settimana (venerdì, sabato e domenica) che è comodo dal punto di vista temporale ma che comunque è poco remunerativo, e soprattutto stagionale perché il pub non funziona in estate.

Allora in estate ho avuto la fortuna di trovare un lavoro come guardiano 24h/24h in un garage in una località balneare che mi ha permesso (e mi permette) di arrivare a due esami dalla laurea.

La nostra vita è fatta di sogni, e nessuno ce li deve rubare. Se perseguire questi sogni comporta sacrifici non bisogna mai aver paura, sono tutti crediti che si accumulano con la vita.

Matteo (aspirante medico).