03/03/14

Dodici codici rossi.

Capito perché vogliono iscriversi tutti a medicina?!
In genere, quando ho il turno di pomeriggio arrivo un pochino dopo le 2. Così si trova parcheggio davanti all'ospedale, e non mi tocca girare mezz'ora e farmi 2 km a piedi.

Alle 2 e 30 circa sono comunque al mio posto in pronto soccorso. Entro, saluto il mio professore, mentre il medico del turno smontante mi guarda e mi fa:

«Meno male che ci stai pure tu».

Che tradotto potrebbe voler dire: "meno male che c'è uno bravo che ci dà una mano". Ma che tradotto un po' più pignolamente potrebbe anche significare: "meno male che c'è uno che ci dà una mano. Uno qualunque. Pure te".

Questo non lo sapremo mai. Comunque sia guardo lo scaffale dove tengono le cartelle dei pazienti, e mi prende un colpo: abbiamo ricoverato 12 codici rossi. Roba che già quando di codici rossi ce ne hai 5-6 sembra di stare in guerra sotto alle bombe all'uranio impoverito e al plasma termitico... ma 12 davvero è una roba che si avvicina più all'Apocalisse che a un giorno di tirocinio.

E nell'incomprensibile organizzazione dell'ospedale, se arrivano 12 codici rossi e ai codici rossi ci stai tu, te li devi seguire tutti da solo... mentre gli altri 10 mila dottori di tutti gli altri 10 mila reparti dell'ospedale possono pure giocare a farmville su facebook o andarsi a intimeggiare nei locali appositamente adibiti, come da comunicazione allegata.

Insomma ci sta il prof, ci stanno gli infermieri, e - per fortuna insomma meno male - ci sto pure io. E poi, basta.

«Iniziamo a prendere i parametri» mi fa il professore.

Iniziamo.

Misuro la pressione a questo, prendo la temperatura a quello.

«Fai l'emogas a uno» mi chiedono. «Porta l'ecografo per l'altro».

E io lì tra un paziente e l'altro, con l'ecografo e le siringhe e il cerotto adesivo e le garze e l'ovatta e il fonendoscopio e lo sfigmomanometro e tutto il resto, che paro il profugo della medicina d'urgenza.

«Bisogna rifare l'elettrocardiogramma. A lui i bicarbonati, a l'altro c'è da accompagnarlo alla TAC».

Avanti così, dietro a una serie infinita di patologie e complicazioni. Una, due, tre ore: vedi un paziente, e fai appena in tempo ad aggiornare la terapia o a mandarlo in reparto, che magari ti chiamano dal triage:

«Dispnea ingravescente in paziente cardiopatico: codice rosso!»

A quanto siamo arrivati? 13, 15, 20?! Comunque sia molli tutto, e corri dal paziente nuovo.

«Crepitii basali bilaterali» dico, ascoltando il torace. «Edemi declivi... ha uno scompenso cardiaco».

Il prof. annuisce, che ci ho preso, ma vabbe': questo era facile. Cardiopatico con la dispnea, che altro poteva avere? E infatti vi dirò un segreto: se andate in sala rossa e dite "scompenso cardiaco", non vi sbagliate mai. Ce l'hanno tutti, e fate sempre bella figura. Altro che quella minchiata del Lupus!

Comunque sia: diagnosi fatta. E ora di corsa i prelievi. Fai l'emogas. Metti il monitor. Chiedi l'RX, fai l'ecografia. Elettrocardiogramma. Temperatura corporea... e subito dopo già ne arriva un altro, mentre quelli che dovevi rivedere stanno ancora lì e non fai in tempo manco a guardarli.

In tutto questo, ogni - in media - trenta secondi - ti chiama qualcuno.

«I parenti del paziente X possono entrare?» chiedono dalla sala d'attesa.

Io mi stringo nelle spalle, che qui su queste cose non decido io.

«Chiedo al professore» dico. E lo vado a cercare.

«Mio padre può mangiare?» domanda una signora che accudisce un vecchietto. «Può alzarsi per andare in bagno? Può controllare la flebo che è finita? E quando va in reparto?»

E io «non lo so, non lo so, la flebo gliela chiudo io, in reparto ci va quando ci chiamano loro». Non ho le risposte a tutto... e anzi più che altro ho sempre un sacco paura di dire stronzate, per cui ci vado proprio coi piedi di piombo e la bocca serrata col rischio magari che qualcuno non capisce e si offende pure, del tipo che crede che lo sto ignorando.

Per dire, l'altra volta ho visto l'elettrocardiogramma e le analisi di uno che c'aveva un infarto, e quello:

«Ma che, dottore, ho l'infarto»?

E ora sì - io ero abbastanza convinto che l'infarto insomma ce l'avesse - ma vaglielo a dire se poi dopo invece ti sei sbagliato? E ho capito che la medicina difensiva fa schifo e tutto il resto. Però, prima di farmi denunciare, alla laurea vorrei per lo meno arrivarci.

In tutto questo, altre infinite domande e richieste di pazienti che - poracci - stanno lì da tutto il giorno, o da due giorni, o da una settimana, e alla fine insomma qualcosa ogni tanto la vorranno pure loro. Mangiare, spostarsi sulla barella, essere cambiati... o anche solo una voce cordiale per scambiare due chiacchiere con qualcuno.

Oppure - semplicemente - vogliono insultarti, spingerti, strapparsi tutti gli aghi e le flebo e cateteri, fuggire dall'ospedale, darti dell'idiota coglione incompetente o - più candidamente - picchiarti.

Io quando ho a che fare con quelli più aggressivi mi tolgo il cartellino e lo nascondo, che ho paura che ricordandosi il nome mi vengano a cercare per pugnalarmi o cose del genere. E detto da uno col nome scritto in alto su un blog... ma ora non venite a pugnalarmi pure voi: per favore.

Pure oggi, insomma, arriva uno che gli rode di stare in pronto soccorso e sfascia mezzo ospedale. Minaccia di malmenare tutti. Fa il gesto di dare una testata a un infermiere (nel senso che gli dà una testata, ma non lo prende) e quello - l'infermiere - dice tipo: "ah cavolo porca paletta!" tirandosi indietro appena in tempo.

Ed ecco che sbuca un paziente dal gruppo delle persone in attesa.

«Voi non dovete permettervi di insultare le persone!» grida, sdegnato dal comportamento del personale dell'ospedale inadatto a subire in silenzio violenti traumi facciali. «Guardate la sanità in che mani è finita!»

Capito? I pazienti ti picchiano e altri pazienti li difendono. Il che - tutto sommato - mi pare che abbia un suo certo senso logico.

La confusione sembra toccare i livelli massimi, e non pare possibile che le cose peggiorino ulteriormente. Ma - purtroppo - lo fanno. Altra emergenza, questa volta grave: una donna anziana in arresto cardiaco.

Corsa generale. Io massaggio, l'anestesista fa l'adrenalina, il prof tiene i tempi, uno specializzando ventila. Il monitor suona, gente che ci chiama perché non ha capito che - insomma - non è proprio la sua la situazione più urgente. Sento il paziente di prima - in un altro punto del reparto - che litiga di nuovo col personale gridando che vuole uccidere tutti... e io c'ho il terrore che irrompa dalla nostra parte e provi a farlo davvero.

Quando vedo E.R. o merdanatomy o quelle robe lì vedo certe scene e penso "ammazza che boiata, pare che capitano tutte a loro!". E invece, insomma, non c'è limite al peggio: la porta si apre, e il figlio della donna che stiamo rianimando si affaccia nella stanza.

«Non può stare qui!» gli grida un infermiere. «Aspetti fuori!»

 Ma lui resta lì, fermo. Scuote la testa.

«Voglio restare a vedere» dice, asciugandosi le lacrime col dorso della mano.

Una specie di gelo, misto a imbarazzo e senso di "adesso che cazzo famo?" si spande tra il personale sanitario attorno a me. Anche se loro sono più abituati a certe cose, è chiaro che la situazione è complicata per tutti.

Il professore si avvicina all'uomo accanto alla porta. Inizia a spiegargli cosa stiamo facendo, cerca di rincuorarlo un po'... se mai fosse possibile

«L'ho accudita da solo per anni» spiega il figlio, sempre in lacrime. «Ci devo essere anche ora, capite?»

Io non so davvero se capisco, ma insomma: sto lì che ancora comprimo il torace, alzo la testa per guardarlo meglio. Avrà praticamente la mia età, giusto qualcosa di più.

«Ok» gli faccio, prendendo un'iniziativa che tutto sommato non dovrei avere. «Se vuoi restare, resta. Per me va bene».

Lui fa il giro della sala, e si ferma alle mie spalle. E noi continuiamo la rianimazione seguendo la procedura con una tensione che crepa i muri della stanza. La donna in arresto cardiaco sotto di me. Il figlio alle mie spalle che sta lì, che piange, ma non ha paura di guardare.

Vorrei dirvi che è finita bene. Che è andata alla grande. Che il cuore è ripartito e siamo tornati a casa contenti e coi complimenti e gli applausi di tutti e che il giorno dopo mi ha chiamato il proprietario dell'ospedale dicendomi: "bravo, 30 e lode a medicina d'urgenza, domani entri subito in specializzazione!"

La verità è che le cose che scrivo qui, un pochino le cambio sempre, e che quello che leggete non è proprio quasi mai uguale uguale al 100% alla storia vera. Ma cose completamente inventate, sul blog, non ne ho scritte mai: di 30 e lode non ne ho mai presi. In un ospedale pubblico non lavorerò mai, e tutte le esperienze belle o brutte prima o poi finiscono come la laurea, come il pronto soccorso... e come la vita. E scusate questa retorica da fucilazione alle spalle, ma stavolta - davvero - mi è venuta così.

Arrivano le 8 di sera, e arriva il nostro cambio.

Esco dal pronto soccorso per andarmi a cambiare, e lungo il corridoio che separa i reparti incontro il ragazzo di poco prima, il figlio della donna che abbiamo provato a rianimare. Sta parlando con una dottoressa, e il suo aspetto... be': immaginatevelo da voi.

«Condoglianze» gli dico, avvicinandomi per salutarlo. «Mi dispiace»,

Lui mi guarda negli occhi.

«Grazie».

Detto questo mi prende la mano, e la stringe.

Forte.

Simone

18 commenti:

Anonimo ha detto...

grande post simone!..ironico a tagliente e alla fine..toccante!
spero proprio verrai smentito e che in qualche ospedale pubblico andrai a fare questo lavoro per cui, non c 'è dubbio, sei nato

mario

Anonimo ha detto...

caro simone...nella vita e nel lavoro di tutti ci sono giornate si e giornate no...chi ha un negozio ha una giornata sì se gli si riempi il negozio, una giornata no se non entra neanche un cane; un ingegnere ha una giornata si se riesce a finire e a incassare due-tre progetti in un giorno solo, una giornata no se in 24 ore deve fare, rifare, ri-ri-rifare e ri-ri-ri-ri-......fare la stessa cosa..... e il medico???? non cambia niente, solo che le giornate no sono molto ma molto tristi...e su questo ti dó pienamente ragione...quindi pensa positivo, che magari domani sarà un giorno migliore (cit.!)

riki

Nimbus ha detto...

l'importante è averci provato nel migliore dei modi, è impossibile pensare di salvare tutti, soprattutto quando le condizioni del paziente non lo consentono... purtroppo in reparto ti rendi conto che i parenti sarebbero disposti a tenere in vita persino dei cadaveri, pur di potere stare loro accanto per qualche altro giorno, e lo dico io che non sono in un reparto impegnativo e logorante come il tuo...

Simone ha detto...

Mario: grazie. Un po' sono anche io che un giorno vorrei fare 10 mila cose, e un giorno mi scoraggio e rivedo tutto... sarà la crisi degli ultimi esami? :)

Riki: hai perfettamente ragione, ogni lavoro ha un andamento simile, cambiano solo le situazioni. Restiamo positivi allora!

Nimbus: questa persona capiva benissimo la situazione, voleva solo esserci. Altre volte è come dici tu, ma dipende ognuno alla fine a modo suo è differente... poi mi dici che già stai in reparto?! Hai appena iniziato! Cavoli se stai bruciando le tappe... :)

Simone

Anonimo ha detto...

Bellissimo post, mi hai quasi fatto piangere...

Nicoletta

Simone ha detto...

Nicoletta: scusa!!! :)

Anonimo ha detto...

Perdonami se di questo bel post commento la cosa più scema, ma il cartello della foto fa troppo ridere!! è veramente da voi in ospedale?? ahah

Simone ha detto...

Unabottadivita: gira su facebook, pare sia vero... e comunque il post era una scusa per pubblicare la foto del cartello, e non viceversa!

Simone

Anonimo ha detto...

Anche io ho pianto, ma sono dalla lacrima facile...
stefania

Giulia ha detto...

La lacrimuccia alla fine é scesa. Gran bel post Simone.

Simone ha detto...

Ok, allora è assodato che come scrittore faccio piangere!!! :)

La prossima volta prometto qualcosa di più allegro allora!

Simone

Dama Arwen ha detto...

Stronzo, mi hai fatta piangere!
:-*

Anonimo ha detto...

...eh si vede proprio la vena dello scrittore in questo post...soprattutto alla fine...
emozionante! ..bisognerebbe che tutti i medici avessero la tua stessa sensibilità!..purtroppo non è così: pensa che io, quando mia nonna era in fin di vita in ospedale e ho visto in lei un improvviso peggioramento che la avrebbe portata di lì a pochi minuti alla morte, ho subito chiamato il primario. Lui (che mi ha vista palesemente scioccata, in lacrime e molto turbata per il forte legame) se ne è andato subito senza dirmi nulla. Io pensavo che fosse andato a prendere qc che gli serviva per rianimar mia nonna e che sarebbe tornato subito di corsa per fare qc in quella situazione drammatica (per me). Ma vedo che non torna e lo vado a cercare in lacrime disperata. Io non sapevo cosa fare!! poteva almeno restare lì con me e dirmi: "purtroppo se ne sta andando, tienile la mano.." o non so una cosa così! Lui invece era davanti al computer a pensare a tutt'altro e mi guarda scocciato: "signorina ma si è vista, si dia una calmata! arrivo arrivo!" scocciato è tornato e con un'infermiera hanno provato a fare qc...mia mamma è arrivata dopo e non avendo visto la scena precedente si è prodigata in abbracci e ringraziamenti al medico, nonostante fosse accaduto l'inevitabile. Io nel grande dolore del momento invece sono anche rimasta male per tanta inumanità...ok che lui non può star male per tutti gli anziani che muoiono, però neanche trattare così la gente, mostrando gelido distacco e non vicinanza ai famigliari...forse è vero che + le persone arrivano in alto e + umanamente valgono zero!...i veri grandi sono quelli come te!!
Una domanda, ma perchè scrivi "In un ospedale pubblico non lavorerò mai"?...è una tua volontà di non lavorarci o è una sorta di rassegnazione (o scaramanzia) per il fatto che è difficile trovare un posto in un ospedale pubblico oggi come oggi... Cecilia

Anonimo ha detto...

Ben detto Cecilia. Capiamo il giusto distacco dei medici delle situazioni, ma anche il lato umano è molto importante in certe circostanze, soprattutto se si è a contatto con i familiari dei pazienti.
Stefania

Simone ha detto...

Dama: scusaaaaa! :)

Cecilia: dici cose giustissime. Alle volte purtroppo per i medici tante cose diventano routine, al punto da non rendersi conto più nemmeno di cosa provano le persone che hanno davanti.

Io stesso per dire le prime volte in reparto mi capitava di ripensare ai pazienti anche dopo, e mi è capitato di starci male o di non dormirci bene la notte. Adesso è già diverso e la maggior parte delle volte vivo le situazioni con più distacco. Immagino che il rischio alla lunga sia di diventare proprio come la persona che hai descritto tu... e comunque mi dispiace.

Il "non lavorare in un ospedale pubblico" è un po' tutte le cose che dici. Io intanto non so se vorrei stare a vita in un reparto... almeno non in alcuni, e non è detto poter avere il "lusso" di scegliere.

Un po' rassegnazione perché col nuovo concorso mi pare che per uno come me che su domande a crocette e voti e nozioni a memoria se la cava così così non ci siano gli estremi per poter competere con tanti altri.

Un po' pure scaramanzia... che nella vita non si sa mai :)

Stefania: il lato umano è importante, è vero. Non fa parte del piano di studi o delle qualità "richieste" per lavorare in ospedale, per cui non è detto che si riesca a trovarlo.

Simone

Anonimo ha detto...

grazie Stefania e grazie Simone per avermi risposto con parole di sostegno!!! Certo nel reparto di medicina è pieno di anziani e molti di essi probabilmente non ce la faranno, però appunto ritengo che la mia esperienza in quanto a umanità sia stata pessima (e sì che parlo di un ospedale della Lombardia, regione dove si dice che la sanità sia se non altro meno peggio che in altre regioni). Si trattava di un primario di una certa età (già in pensione mi pare di aver capito quindi in teoria continuava a esercitare per passione...mah!) e saccenza e ho anche pensato che si sia sentito infastidito x' lo ho chiamato dicendo "dottore venga per favore" ma dai miei occhi si evinceva anche un "dai muoviti cazzo che cazzo fai qui davanti a un computer vieni a fare il tuo lavoro!!" (oltre a un "mi sta crollando il mondo addosso e non sono pronta!"), però di fronte a una ragazza disperata penso che in un medico prima di un sentimento di scocciatura si dovrebbe accendere un sentimento di volontà di aiuto. ...tra l'altro devo esser stata proprio sfigata x' anche le infermiere che avevo chiamato prima del medico minimizzavano "ma no è solo un po' di catarro non ha niente!"...non so a questo punto se fossero delle incompetenti o se invece fossero semplicemente assuefatte a questa filosofia del menefreghismo e del faccio finta di niente! io non sono né infermiera né medico ma sapevo da subito dentro di me che non era solo catarro...

..Un po' spero che con le nuove generazioni di medici si troveranno andando avanti persone migliori e leggere questo blog mi ci fa sperare sempre di +; forse i vecchi medici fanno ancora parte di una cultura in cui solo pochi potevano permettersi l'università tanto + medicina e si sentono un po' dei baroni....mi sbaglierò ma lo spero!! Cecilia

Anonimo ha detto...

All'anonimo sopra, i medici vivono nello schifo dalla mattina alla sera, il loro carattere si abbruttisce per forza di cose, ed è un meccanismo naturale, che serve a minimizzare la sofferenza. Per cui, se a questo si somma una predisposizione negativa al prossimo...tira tu le somme

doc.francesco ha detto...

questo è forse uno dei tuoi migliori post. almeno per me!