17/05/13

In mezzo a due mondi.

Questo con l'emogas non c'entra nulla.
NOTA: se vi fanno impressione i prelievi, leggere questo post potrebbe uccidervi. Io vi ho avvisati...

Pomeriggio in reparto un po' caotico: pazienti da tutte le parti, troppi dottori e interni e specializzandi e tirocinanti e infermieri che entrano e escono dai box.

Gente che passa per i corridoi, barellieri, personaggi misteriosi che appaiono e scompaiono di tanto in tanto, e che in quasi un anno non ho ancora capito chi sono. La solita confusione del Pronto Soccorso, insomma.

Non è che oggi stia combinando molto: ho letto un elettrocardiogramma che mi hanno dovuto spiegare, ho seguito un'ecografia della quale ho capito poco. Ho spostato qualche barella e visto una TAC... ma insomma, davvero niente di che.

A una certa ora c'è da fare l'ennesimo emogas (il prelievo dall'arteria del polso) a uno dei pazienti sotto osservazione.

«Chi vuole farlo?» chiede il professore, rivolto genericamente al gruppo di studenti e specializzandi che stanno lì in quel momento.

Attimo di tensione cruciale:

Dovrei dirgli che voglio farlo io. Penso. Però e se poi faccio un casino e sono pure passato avanti a chi era più bravo, e magari il paziente è uno che si lamenta o ci sono i parenti incazzosi... come faccio?

E nel frattempo che io produco tutto questo impavido ragionamento, uno degli specializzandi ha già preso la siringa e l'ovatta col disinfettante e il cerotto. E mentre io sto ancora visualizzando la scenetta delle mie paranoie mentali come nei telefilm sugli ingegneri che si iscrivono a medicina, lui è già lì accanto al paziente. E vabbe', c'ho pensato troppo: sarà per la prossima volta.

Decido comunque di fare presenza. Raggiungo lo specializzando, e lo trovo che sta sentendo il polso del malato per cercare l'arteria e decidere dove bucare.

«Posso sentire pure io, così imparo?» chiedo.

«Certo!» fa lui, scansandosi per farmi spazio.

Io metto due dita, e inizio a cercare il battito. Il paziente non è gran che collaborante, e ha pure un polso molto leggero di quelli che non si sentono: già fare gli emogas è di per sé un casino, ma questo insomma è peggio del solito.

«Non è tanto semplice» dice lo specializzando, leggendomi tipo il pensiero.

Io penso che in effetti non è semplice manco per niente, ma facendo appello a tutte le conoscenze anatomo-chirurgiche impartitemi dagli infermieri del reparto penso che - secondo me - io l'arteria la sento abbastanza bene.

«Sta qua» dico, puntando le dita in punti privi di un interesse anatomico sufficiente a meritarsi un nome. «Pulsa piano, ma è questa».

«Vuoi provarci tu?»

Altra tensione, crucialissima.

Adesso, oltre a fare una figuraccia, passo pure per quello che fa tutta la scena che dice che lui è capace a fare le cose... ma poi, invece, no.

«Certo» riesco a rispondere, stavolta all'interno del limite oltre il quale è tardi e lo fa un altro.

Ora qui c'era tutta la descrizione di come metto i guanti e il disinfettante, e di come i vasi si trovano meglio coi polpastrelli liberi perché col guanto sopra non senti niente e tutto il resto, ma ve l'ho cancellata che era anche più inutile di quest'ultima frase.

Salto invece subito al momento in cui in una mano ho la siringa, mentre coi polpastrelli dell'altra sento l'arteria radiale che pulsa sotto le dita. Ho bene in mente l'infermiera brava che mi ha spiegato che non devo infilare l'ago sperando di prenderci per caso, ma devo sentire la pulsazione e puntare a seguire quella. Per cui insomma mi concentro, sento il punto giusto e prendo bene la mira.

Infilo l'ago. Sento il paziente che si lamenta mentre la punta di ferro buca la pelle e va dentro ai tessuti. Vado giù fino al punto dove mi sembra che dovremmo esserci... ma niente: niente sangue. Non l'ho beccata.

Restiamo calmi.

Le dita stanno sempre sull'arteria, e la siringa è sempre nel polso. Solo che le due cose non si sono incontrate. Ma è una situazione normalissima, e non c'è niente che non va: solo gli infermieri super esperti ci prendono al primo colpo, a tutti gli altri succede sempre così.

Torno un po' indietro con l'ago, come mi hanno insegnato. Cambio l'inclinazione puntando dove sento ancora pulsare, e affondo di nuovo.

Ed ecco cha nella punta della siringa compare uno schizzetto rosso. Vuol dire che sta volta ci siamo, ho fatto centro.

Il sangue esce da solo a pressione, rosso brillante, e riempie in fretta quei 2 millilitri scarsi che ci servono.

«Queste sono le soddisfazioni della vita» ridacchio, sollevato, rivolgendomi allo specializzando. «Penso di avere finalmente capito come si fa».

Finito. Tolgo l'ago, metto ovatta e cerotto e vado col campione verso la sala dove c'è la macchina per l'analisi. Non mi pare nemmeno di camminare, ma mi sento tipo a mezzo metro da terra.

E nell'altra sala, trovo una paziente che è deceduta.

Il marito che abbraccia la salma. I figli subito dietro, in lacrime.

Sento le mie emozioni che fanno le montagne russe: vorrei essere felice e triste allo stesso tempo. Vorrei sia fregarmene che provare compassione. Vorrei solo pensare ai cazzi miei, ma anche sentirmi una merda.

Sono finito in un vortice dimensionale dove i mondi collidono e si possono vivere due esperienze antitetiche in una botta sola. O forse questo è solo il mondo reale così com'è e come funziona e io - per la prima volta forse nella mia vita - sono riuscito a viverne interamente un pezzettino.

Non lo so. Mi sento come se oggi mi fosse successo qualcosa che non capita sempre, ma che in fondo dimostra un'ovvietà. Eppure davvero non so descriverlo meglio. A parole non so spiegarlo - nemmeno a me stesso - meglio di così.

Simone

12 commenti:

Alessandro ha detto...

Come al solito sei stato bravissimo..
E' sempre un piacere leggerti. Complimenti

Temistocle Gravina ha detto...

Volevo fare una battuta sulla prima parte del post, ma poi la chiusa mi ha frenato. Come dici tu sono le due facce della stessa medaglia che è la vita. E penso che la strada che hai scelto te le riproporrà ogni giorno. Nella sala d'attesa del mio medico c'è una piastrella decorata con su un pensiero che dice più o meno così: sorridi se puoi quando entri nello studio del tuo dottore, perché lui è costretto ogni giorno a vedere le facce tristi dei suoi pazienti.

Dama Arwen ha detto...

Ho una reazione tipo quella di TIM…
Posso dirti solo questo: hai fatto un piccolo passo nelle arti mediche, anche solo a saper infilzare un ago in un'arteria del polso.
Fai bene a giorie del piccolo grande progresso: non ti dico di restare indifferente alla morte, ma pensa che ogni tuo piccolo passo ti poterà ad essere un buon medico che in futuro potrà anche salvare le vite altrui.
Non puoi - ancora - farci nulla oggi.
Non potrai mai fare i miracoli e la morte a causa di malattie o altro ci sarà per sempre.
Ma non deve essere motivo di ansia, solo di sprone per fare meglio.

E pensa a noialtri, che manco una puntura sulle chiappe sappiamo fare!

Vero ha detto...

Ciao, penso di conoscere quella sensazione, stati d' animo contrastanti che fanno brulicare la testa come se ci fosse un teatrino in pieno svolgimento, ho imparato che, nonostante si ripresenti sempre allo stesso modo e sempre per il solito motivo, poi passa e ogni emozione trova la giusta collocazione per poter essere elaborata con calma.
E ogni volta, dopo, sto meglio della precedente.
Mi associo a Dama: gioisci del prelievo riuscito, che non è da tutti, io riesco a preparare una puntura con tanto di ticchettio per togliere le bolle d' aria ma quando arrivo a infilzarla nelle chiappe mi si rigira lo stomaco e scappo :)
Veronica

Simone ha detto...

Alessandro: grazie! Io ci provo, piano piano... speriamo di continuare così!

TIM: sì, credo che il "finale" cambi completamente il senso del post... e di conseguenza anche le impressioni di chi legge.

Comunque ci sono pazienti che sorridono, altri tristi, altri arrabbiati, altri rassegnati... e lo stesso vale per i dottori e per gli infermieri. Visto che comunque vada la conclusione è sempre la stessa, credo che dovremmo sorridere tutti un po' di più, pazienti dottori e gente sana che ha altri impegni.

Dama: alla fine l'idea era più mostrare questo "contrasto" che capita di vivere in ospedale, che dire di aver fatto chissà cosa (in fondo è una procedura banalissima che tanti infermieri fanno a occhi chiusi!). Ma è vero che la strada più o meno è questa ed ero contento sul serio.

Per l'altro discorso, io penso che il dottore applica conoscenze e procedure note e riconosciute. Alla fine non è che "salvi" nessuno, secondo me: se c'è qualcosa che si può fare la fai, ma è come essere un operatore di una struttura molto più vasta fatta di ricercatori, aziende, studenti, politici e di tutti quelli che mandano avanti questa specie di carrozzone.

Certo che se invece sbagli hai fatto un guaio... e da qui nasce pure un po' d'ansia quando fai le cose, perché la gente si aspetta e merita che tu faccia tutto perfettamente. Anche se poi non sbagliare mai è impossibile, e prima o poi succede per forza.

Grazie a tutti!

Simone

Simone ha detto...

Vero: sì, penso di dovero proprio elaborare il tutto, come dici tu.

Per il resto, pensa che io le prime volte che vedevo fare questa cosa del racconto mi girava la testa e guardavo dall'altra parte! :)

Simone

dc ha detto...

bravo..un piccolo passo in entrambe le direzioni,uno verso una nuova cosa che sai fare,l'altro verso quello che sarà poi,se farai certe scelte,il succo del lavoro:il confronto quotidiano con l'alternanza tra vita e morte,inizio e fine.Cinicamente,dopo quasi 20 anni di lavoro in strada non ci faccio più caso e mi accorgo che è una gran cosa avere il mio bagaglio di esperienze in confronto dei miei "colleghi" studenti,che si trovano raffrontati per le prime volte con questi aspetti della professione che nessuno ti potrà mai insegnare,spiegare o esaminare.un passo per volta,lo faccio ancora oggi dopo 20 anni e mi ritrovo a vedere che il più delle volte funziona...(al primo EGA o alla prima sutura era un tremore unico,oggi per fortuna meno :-) ).
sempre bello leggerti.
Daniele.

Simone ha detto...

Daniele: grazie! E' vero certe cose non te le insegna nessuno... almeno non durante gli esami.

Simone

Simo! ha detto...

Complimenti Simone!! Uno dei migliori post che tu abbia scritto, mi è piaciuto davvero molto, e il titolo "In mezzo ai due mondi" dice già tutto. A parte il dualismo di cui parli alla fine, ho apprezzato tantissimo lo stile con cui hai descritto il prelievo: mi sembrava quasi di essere lì a vederti!! Continua così!! ;)

Simone ha detto...

Simo! Grazie! Io spero di mettere a buon uso le capacità sviluppate (con scarsi risultati) quando provavo a fare lo scrittore... e pure con i prelievi mi sto impegnando per farli bene :)

Simone

Aliprando Guasto ha detto...

dal titolo alla fine del racconto mi sono venute in mente le immagini di un libro di qualche tempo fa, letto poco fa.

parla di una contrapposizione di pensieri, di desideri, di tempo.

una avventura di un anno dove, come nel tuo racconto, si parte da una immagini quasi leggere per poi affrontare una crisi data dalla contrapposizione di questi due mondi che convivono, e che si scoprono un po' alla volta.
ma sono due mondi contrapposti e conviventi anche la storia che c'è stata prima di questa avventura descritta nel libro, e il dopo.

non ti dico altro, non ti dico di che parla, la trama (quando troverai il titolo completo sarà tutto molto più chiaro...) ma penso che se avrai voglia di provare a leggerlo, lo berrai in poche ore, o pochi giorni.

il libro è:

"Maloca, maloca" di Michela Sonego.

Simone ha detto...

Grazie, bel consiglio lo cercherò!

Simone