17/12/09

Come quel pompiere

Era proprio un pompiere come quelli che si vedono nei film, nei fumetti o nei cartoni animati: un fisico perfetto, l'espressione allegra, sempre gentile e disponibile con tutti. Affacciandomi alle finestre dell'ufficio dove stavo io, lo vedevo scherzare in cortile con gli ausiliari del centralino, e poi correre come un razzo al primo suono del campanello che annunciava gli interventi.

Durante il mio periodo di ferma come vigile del fuoco, non ero assegnato a una cosiddetta partenza. Non ero cioè accanto a quelli che vanno a spegnere gli incendi, a rischiare di morire per salvare un gatto (con tanto di folla sotto che applaude... al gatto, ovviamente) o - cosa ben più comune - ad aprire la porta di casa a qualcuno che s'è chiuso fuori. Un po' come accadeva a tutti gli altri miei colleghi militari, la mia inestimabile presenza gratuita era ritenuta più adatta a rispondere al telefono, imbustare la corrispondenza, fare la fila per i biglietti al posto di qualcuno che non c'aveva voglia o - nel caso si richiedessero abilità eccezionali - per scarrozzare in macchina qualche impiegato del Ministero.

Se però a partecipare a qualche intervento ci tenevi proprio (molti erano più contenti di sedere per ore fissando il vuoto) c'era comunque una possibilità: quando l'ufficio dove ti avevano assegnato chiudeva, piuttosto che andartene a casa potevi chiedere al Caposquadra di turno il permesso di andare insieme a loro.

Erano in pochi a dirti di no. Magari con scuse stupide, come il fatto che una persona di più sul mezzo faceva sentire caldo. Oppure perché era uno di quelli che stavano sempre incavolati o perché - semplicemente - gli stavi antipatico tu come persona specifica. Gli altri ausiliari se li portava sempre ma te - invece - no.

A qualche altro Caposquadra, forse, la cosa scocciava lo stesso: in fondo eri solo uno che sarebbe stato lì solo per qualche mese, che non sapeva fare niente e che toccava pure tenere d'occhio. Però credo che gli piacesse provare a insegnarti qualcosa, e quando c'era da uscire lasciavano salire sul mezzo anche te.

«Vuoi venire sulla partenza con me?» mi ha detto invece lui, quasi come se non gli sembrasse possibile, la volta che sono andato a chiederglielo. «Davvero?»

L'avevano fatto Caposquadra da pochissimi giorni. Forse ero il primo ausiliario a chiedergli di andare con lui, e la cosa gli sarà parsa in qualche modo speciale. O forse gli stavo semplicemente simpatico, questo non lo saprò mai.

In ogni caso non ricordo eventi particolari di quella giornata, per cui si vede che è andato tutto bene. Avremo fatto i soliti tre o quattro interventi standard: un soffitto macchiato d'acqua, qualche calcinaccio caduto, al limite un cassonetto bruciato. E poi, me ne sono andato a casa.

Qualche tempo dopo io mi sono congedato, e quel Caposquadra è stato trasferito in un altro distaccamento. E il resto della storia, purtroppo, lo conoscerete un po' tutti: una notte per strada c'è puzza di gas, ma i pompieri non trovano niente. La mattina dopo li chiamano di nuovo, loro ovviamente tornano di corsa, e nel giro di cinque minuti viene giù un intero palazzo.

Alla fine, la verità è che di quella persona non so davvero nulla. L'ho conosciuto troppo poco, e l'unico suo ricordo che mi è rimasto è quello che ho provato a raccontare qui sopra. E se per me è stato un eroe, è semplicemente perché era una persona che faceva il proprio lavoro con passione, con umiltà e con allegria. Non servono divise per questo, secondo me, e non serve nemmeno avere un lavoro speciale o pericoloso.

Io a entrare nei vigili del fuoco c'ho anche provato, ma alla fine la mia vita è andata da un'altra parte. Da grande, semplicemente, ho fatto tutt'altro, e quella divisa non la indosserò mai più.

Ma spero tanto di assomigliare, almeno un po', a quel pompiere.

Simone

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