29/11/10

Emergenza in corsia.

Il semestre inizia ad avvicinarsi alla fine, e uno degli ultimi tirocini lo facciamo in un reparto di medicina clinica. Sarebbe la medicina interna, quella dove i malati stanno a letto per un tempo interminabile mentre i dottori cercano di capire che cos'hanno che non va. Quello che tutto sommato - e per il momento - vorrei saper fare come si deve io, una volta che dovessi laurearmi e diventare medico per davvero.

Questa volta non sono nemmeno troppo in ritardo, e arrivo che gli altri si stanno ancora finendo di preparare. Mollo borsa e giacca, prendo il fonendoscopio e mentre indosso il camice stavolta non ci sono emozioni particolari o chissà quali riflessioni che mi vengono in mente: sta già tutto diventando una nuova routine, e ormai mi sono quasi abituato.

Ci accompagnano in reparto, dove pare che una volta tanto ci lasceranno assistere al giro visite.

"Se vedete le visite non dovete aprire bocca e non deve volare una mosca" minaccia la professoressa. Tutto sommato, mi pare anche giusto.

Non facciamo nemmeno in tempo a iniziare, che ci interrompono: uno dei pazienti non sta bene, probabilmente è il cuore. E' un'emergenza.

La professoressa parte lungo il corridoio, gli altri medici le vanno dietro, dietro di loro gli specializzandi, poi gli altri tirocinanti e alla fine vado pure io. E tutti insieme entriamo in una stanza non dico piccola, ma che in linea di massima sarebbe adatta a contenere un quarto delle persone. In un letto, l'unico, c'è un signore molto anziano. E' agitato, dice che non respira, che si sente male e qualcos'altro che non capisco.

La professoressa si mette accanto a lui, dall'altro lato del letto ci sono gli specializzandi e noialtri stiamo tutti ammucchiati poco più indietro. Di scene con gente che sta male alla Croce Rossa ne ho già viste tante e devo dire che non mi fanno più un grosso effetto, ma il fatto di essere così in tanti mi dà fastidio: un po' perché non è che 20 persone lavorino meglio di 10, o di 3, e mi pare di stare in mezzo alle scatole. E un po' perché con tutta questa gente va a finire che il paziente pensa che chissà cosa gli sta succedendo, e si spaventa: anche questo mi è già capitato, sempre con la Croce Rossa. Magari un'altra volta ve lo racconto meglio.

E insomma, viene fuori che per fortuna Mario, il paziente, non aveva nulla di grave. Cioè, niente di più grave di quello che lo teneva ricoverato lì dentro, intendo. Che poi se ci avessi capito qualcosa ve lo direi anche, ma come mi pare sia lampante c'era un po' troppo casino e alla fine mi sono limitato a guardare. In ogni caso insomma l'emergenza non era niente di che, e la professoressa con medici al seguito decide di riprendere il giro delle visite... con tanto di coda di studenti, specializzandi e chi altro capitava raccattato per strada.

Il gruppo attraversa il corridoio ed entra in un'altra stanza, mentre io resto un po' indietro. Sarà che non mi piace stare in mezzo, sarà che ho le manie di protagonismo, comunque se ci fate caso me ne sto sempre un po' in disparte e anche qui non faccio eccezione. E stando indietro sento Mario che piange mentre parla con un dottore che è rimasto con lui.

"Sto per morire?" gli domanda. Ha visto 30 tizi col camice che entravano tutti insieme per vedere lui, e adesso è terrorizzato. Come da copione.

Io un po' vorrei provare a consolare il paziente, ma che cavolo gli dico? Un altro po' vorrei tornare nel gruppo a vedere gli altri malati e forse addirittura finire anche per imparare qualcosa. Mi affaccio nella loro stanza, e vedo 20 camici bianchi stipati attorno a un letto, mentre per capire anche solo il sesso della persona che stanno visitando penso che ci vorrebbe un binocolo.

E alla fine decido che quel paziente posso anche passarlo, e vado da Mario. Gli hanno messo la maschera dell'ossigeno, e sta lì che piange da solo mentre guarda fuori dalla finestra. E non è che ci diciamo molto: mi spiega che non voleva prendere non so che farmaco che gli hanno dato, e io gli dico che la professoressa gli avrà dato quello che gli serviva e che poi tanto era un farmaco leggero. Mi dice che la moglie è in ritardo, e io commento che in effetti c'era traffico e ho fatto tardi pure io. Si lamenta che ha le mani così fredde da non sentirsele più, e io vorrei tanto non stare solo al terzo anno e capire che cavolo ha... ma questo no, non glielo dico: tocco solo una sua mano gelida, e non dico niente.

Alla fine insomma niente di che. Però già dopo qualche minuto mi pare che Mario si sia un po' calmato, e l'idea che da qualche parte c'è una moglie che deve arrivare consola un po' anche me e torno tra gli altri tirocinanti senza troppi sensi di colpa.

Più avanti vediamo altri pazienti, proviamo qualcosa di pratico tipo polso e pressione e mi fanno anche prendere l'elettrocardiogramma a una signora anziana. Sto in mezzo al gruppo, ma continuo a sentirmi lontano e la realtà di non essere proprio amalgamato né con gli studenti e né coi professori non mi è parsa mai tanto evidente.

Se resti nel gruppo puoi fare tutte le cazzate che vuoi, ma tutto sommato non puoi davvero sbagliare. Segui il binario, stai con la massa e alla fine avrai quello che hanno tutti, senza pensieri e senza problemi. Io quando ho fatto quel cavolo di test di ammissione lo sapevo che il binario ormai era perso di brutto, e che un gruppo mio - inteso come insieme di persone nelle quali riconoscersi per trarre sicurezza - non ce l'avrei avuto mai più.

Ma questa non è una lamentela, un dispiacere o una preoccupazione. E' solo un dato di fatto che ora che scrivo queste righe mi pare assolutamente chiaro. Che cosa comporterà, questo, nel lungo periodo, forse posso presagirlo ma non posso davvero immaginarmelo più di tanto. E vorrei dire che non me ne frega niente, perché un po' tutto sommato è così, ma non è davvero così facile.

Per lo meno, oggi, non mi è parso facile per niente.

Simone

9 commenti:

Temistocle Gravina ha detto...

Penso che ognuno svolga la propria professione come meglio crede e sa. Adesso si tratta di fare 'il trenino' in corsia, senza magari sapere se chi c'è davanti è maschio o femmina; ma ci sarà tanto tempo, ti auguro, per trattare i pazienti com essere umani e non numeri di codice o semplici fruitori di medicine.
Temistocle

Simone ha detto...

Speriamo che sia così!

Simone

Anonimo ha detto...

Crescendo come medico, purtoppo, diventerai anche tu un po' così... inizierai a sentire gli altri sempre più distanti e a preoccuparti meno delle mogli di anziani malati intrappolate nel traffico...
Non si riesce a fare questo lavoro senza essere un minimo freddi, è inevitabile. Non hai bisogno di un gruppo nel quale riconoscerti, la catergoria "medici" è la peggiore, questo è quello che dice sempre mio padre che fa il medico da 30 anni :) tu devi fare questo lavoro nel migliore dei modi, ma non cercare negli altri qualcosa che non ti sapranno mai dare.

Simone ha detto...

Anonimo: penso anche io che un medico debba prima di tutto saper fare il proprio lavoro, e che il resto sia tutto sommato secondario.

Riguardo alla storia del "gruppo", non so se già mi conosci o se sei qui per caso (visto che non so chi sei! ^^) ma mi riferisco ovviamente al fatto che da ingegnere mi sono iscritto a medicina passati i 30 anni, uscendo insomma un po' dalle statistiche e appunto dalla maggioranza.

Ciao!

Simone

Eddy ha detto...

Posso immaginare cosa significhi sentirsi fuori dal gruppo.anche perchè lo vivo quotidianamente con alcuni dei miei colleghi di specializzazione che per varie vicende hanno raggiunto la laurea a quasi 40 anni: per loro immagino che sia stata dura, anche perchè alcuni di essi hanno messo su famiglia durante la laurea ed hanno dovuto affrontare problematiche varie. io credo che tu abbia dei valori aggiunti: quali già una laurea ed un lavoro che costituiscono cmque una sicurezza e l'esperienza della croce rossa che ti mette su di un piano diverso rispetto agli studenti di medicina...e non è poco
detto questo in bocca lupo !

Simone ha detto...

Eddy: grazie. Per assurdo è proprio il fatto della laurea e tutto il resto che mi allontana anche da altri studenti "anziani", che comunque ci sono anche da me. O forse mi faccio solo troppi problemi pure quando evidentemente non ce ne sarebbero, eh! ^^

Crepi!

Simone

Claudia ha detto...

Ciao Simone!
Mi piacerebbe scambiare con te delle esperienze di vita universitaria, se ti va.
Mi daresti un recapito dove poterti scrivere in privato, sempre che tu ne abbia voglia?

Simone ha detto...

Claudia: forse è poco visibile, comunque in basso da qualche parte c'è la mia email. Comunque è:

simone.navarra - CHIOCCIOLA - virgilio.it

Simone

Simone ha detto...

- CHIOCCIOLA - sarebbe ovviamente @, serve per evitare che qualche programmino automatico mi riempia di spam! ^^

Simone