08/04/13

Diventare medico, e affrontare la sofferenza dei pazienti: la paura di Francesco.

Veterinario atterrito da animali ipertiroidei.
Ciao Simone, innanzitutto scusami per il disturbo: immagino tu sia impegnatissimo con lo studio.

Insomma è da un bel po' che seguo il tuo blog, e solo ora mi è venuta l'idea di raccontarti un po' della mia (brevissima) storia universitaria, forse anche un po' per sfogo personale, con la speranza magari di ricevere qualche consiglio o non so che.

Sono uno studente di medicina del 1 anno, per ora a posto con gli esami del primo semestre. Media che neanche io so come ho fatto a raggiungere ma vabbè, questa è un'altra storia.

Il fatto è che io sono convintissimo di voler andare avanti con questi studi, e non mi spaventa l'idea di doverci passare le notti e tutto il resto.

Quello che mi piace di più della medicina, credo (anche se forse è troppo presto per parlarne perché non ho ancora fatto niente e amalapena riesco a riconoscere i vetrini a istologia) è il rapporto con il paziente. Però è anche quello che mi spaventa di più.

Mi spiego meglio: io credo che questo tipo di percorso sia un grande impegno a livello culturale-scientifico, però quello che lo rende unico rispetto a tutte le altre cose è il doversi rapportare con la persona che sta male, la persona che soffre.

Non so se io sono troppo sensibile o se sono una mezza checca o vattelapesca: il fatto è che un po' di tempo fa ci hanno portato in reparto, in gruppi di 4-5, per farci vedere un po' come funzionava.

Siamo stati in terza clinica chirurgica al policlinico e, insomma, ci hanno fatto vedere come medicavano i pazienti che avevano subito una colonstomia, e come si faceva un'anamnesi.

Insomma c'erano un paio di assistenti, o non so che, che seguivamo e ci facevano vedere un po' come funzionavano le cose. Dopo parlando anche con gli altri tutti quanti erano supereccitati per il privilegio ricevuto, cioè di poter entrare subito in reparto, e anche io sì, lo ammetto, ero contento.

Però a distanza di giorni la differenza è che io sono veramente rimasto sconvolto anche dal vedere i volti dei pazienti, come la malattia li stava consumando e tutto il resto. Ed è un po' che cerco di capire se riuscirò ad essere forte e superare questa sensazione, o no.

Il fatto di dover affrontare la sofferenza e la morte mi spaventa tantissimo, e non so neanche se sia possibile o giusto 'abituarcisi' anche se probabilmente alla fine il medico deve farsi forza per il paziente, perché un medico fragile forse non serve a molto.

Insomma a me spaventa tantissimo questa mia fragilità. Per me il problema non è guardare una ferita squarciata o vattelapesca: per me il problema è la faccia del paziente, e ogni volta mi si stringe quasi il cuore se mi rimetto a pensare a queste cose.

Magari sarà capitato anche a te o a qualcun altro di provare sensazioni simili, non so...

Se hai tempo di leggere tutta questa pappardella ti ringrazio tantissimo. In bocca al lupo per i tuoi studi e per tutto il resto!

Francesco

9 commenti:

Simone ha detto...

Ciao Francesco!

Intanto grazie per avermi scritto! Ma fammi capire: per te sarebbe normale vedere una persona che soffre molto e non rimanere toccato? Che razza di persona va in reparto e rimane insensibile a tutto?

Non è che un medico debba essere per forza una macchina senza emozioni... qualcuno dei tuoi colleghi magari sarà già così, ma io non so quanto sia un pregio.

Sei appena all'inizio, accetta le tue emozioni e impara a controllarle e gestirle. E poi col tempo capirai cosa puoi davvero 'sopportare' e cosa invece non fa davvero per te.

Simone

Valerio ha detto...

C'è chi è più sensibile e chi meno, e in generale essere empatico credo sia bene per un sanitario. Ora dirò cose forse un filo ciniche ma vi assicuro vere: "il callo" chi più chi meno se lo fanno tutti, a un certo punto ti rendi conto che non sta a te salvare il mondo e comunque non potresti, in più lo stress aiuta ad arrivare a dire "faccio il meglio che posso, poi sará quel che deve essere".

Anonimo ha detto...

Mi permetto di dirti ciò: quello che tu chiami fragilità, in realtà e' una grande dote, dote che dovrai saper coltivare nella maniera piu' corretta. Col passare del tempo, cerca di non perderla o soffocarla ma smussa gli angoli piu' appuntiti; non cacciarla ma cerca di farla rendere, in modo che potrai avere quel "nonsoche" che fa la difenda fra un medico e un medico che tutti vorrebbero avere.
Buona fortuna
A.

Anonimo ha detto...

....ovviamente avrei voluto scrivere " che fa la differenza"...
A.

Simone ha detto...

Be', mi pare che - al momento - 3 opinioni su 3 ritengano che questa reazione sia tutto sommato un fatto positivo... :)

Simone

Vero ha detto...

Ciao, rapportarsi col dolore altrui è sempre difficile, e porsi il problema è già un' ottima base di partenza per avere l' atteggiamento giusto, denota attenzione, sensibilità e rispetto, doti non scontate ma fondamentali nel rapporto medico-paziente, in ogni rapporto a dire il vero.
Un segreto: la maggior parte dei pazienti, sembra assurdo ma quelli con patologie "importanti" di più, imparano a convivere con la malattia e il suo evolversi, si crea una specie di bolla al cui interno le sensazioni sono, prima annientate poi amplificate, ma che al tempo stesso attutisce gli attacchi che provengono dall' esterno, quindi forti della famosa bolla si è più protetti di chiunque altro. Il medico non deve entrare in quella bolla, non è il suo compito, essere partecipe della sofferenza dei tuoi pazienti non significa in alcun modo farsene carico, ma vuol dire mettere a loro disposizione la tua professionalità con umanità.
In bocca al lupo :)
Veronica

Anonimo ha detto...

Ciao Francesco.
Mi unisco al coro, concordo con gli altri!
Aggiungo solo che la sensibilità non cambia negli anni ma il modo di affrontarla sì. Crescendo, avrai più strutture e strumenti dentro di te a cui attingere.
In bocca al lupo!

Romina
Ciao Simone :-)

Simone ha detto...

Ciao Romina :)

Anonimo ha detto...

"Sensibilità" non è sinonimo di "debolezza" e nemmeno di "non essere portati". Sensibilità vuol dire non rimanere indifferente al dolore dei pazienti e cercare di fare il possibile anche solo per diminuire parzialmente quella sensazione. Dopo aver visto miliardi di tesi (purtroppo utopiche) sulla corretta gestione del dolore e miliardi di medici infischiarsene del fatto che il paziente possa soffrire le pene dell'inferno ti posso assicurare che un po' di sensibilità non fa male a nessuno.
Se non facessi il medico, di sicuro, troveresti altri limiti da superare perché i problemi fanno sempre parte della vita, che non è mai perfetta. Imparerai a reagire positivamente!

Nicolò