27/04/10

Tre anni fa.

Tipica mattinata primaverile: c'è un bel sole, fa giusto un po' caldo e io, come di consueto, lascio la Smart davanti all'ingresso del comune. In divieto assoluto di sosta.

Salgo con un singolo passo i tre gradini che mi separano dall'entrata, supero un paio di tecnici incravattati che chiacchierano e vado dentro. Il portiere non mi degna di uno sguardo. Faccio giusto qualche metro, svolto a sinistra aprendo una porta a vetri troppo pesante per dare l'idea di un benvenuto, ed eccomi nell'ufficio protocollo.

Con me ho una 10/91. In gergo meno tecnico: la pratica relativa all'adeguamento di un edificio da civile abitazione alla legge n°10 del 91. In soldoni si tratta del progettino di un impianto di riscaldamento, e per l'esattezza sono quattro copie.

L'impiegato prende il mezzo metro di fogli che gli ho portato, toglie l'elastico che li tiene insieme e si mette a timbrare tutto quanto. Alla fine scrive qualcosa su di un registro, e mi restituisce la mia copia protocollata. Io ringrazio, torno alla macchina e chiamo il cliente con il cellulare:

"Pronto?" riconosco subito la voce del professore che mi ha commissionato il lavoro. Un fisico o non so cosa che mi racconta sempre di essere tanto malato, anche se a vederlo non si direbbe.

"Sono Navarra" dico al telefono. "Ho consegnato la sua Legge 10. Se vuole, passo subito a portarle la copia protocollata".

"Grazie, ingegnere! Venga pure, che l'aspetto".

"Le ricordo che c'era anche la fattura da saldare, per cui già che ci siamo gliela porto. A tra poco, allora!"

Il mio interlocutore non dice nient'altro, ma ho il sentore che la parola fattura non gli sia suonata troppo bene. In ogni caso monto sulla Smart, accendo motore, stereo e aria condizionata e parto. Tempo venti minuti, e sono sotto casa del cliente: un edificio ben tenuto, in una zona residenziale tutta parchi e strade coi sensi unici regolamente opposti a quelli che farebbero comodo a me. Trovo un buco in cui entrerebbe a malapena un cassonetto, e ci infilo la macchina salendo con le ruote posteriori sul marciapiede: un vero parcheggio da manuale.

Mi avvicino all'ingresso per citofonare, ma trovo il portone aperto e sento qualcuno che mi chiama.

"Ingegner Navarra" è la voce del professore che arriva dal primo piano. "Si sbrighi!"

Un po' confuso, entro nel palazzo. Percorro in fretta la rampa di scale che mi separa dal mio cliente, e mi ritrovo davanti a questo signore di sessanta e rotti anni, capelli arruffatti e completo di una taglia che non pare la sua e che mi aspetta sulla porta di casa.

"Ho un appuntamento dal dottore" mi dice, in un tono sofferente. "Meno male che è arrivato, perché stavo scappando".

Io capisco subito dove andremo a parare, visto che del resto già me l'aspettavo.

"Le ho portato il lavoro" spiego, mostrando le carte che ho in mano. "Come le ho detto al telefono, ci sarebbe anche la fattura da pagare".

"Ma certo! Mi lasci pure tutto, ingegnere. Grazie".

Con un gesto di pura maestria il professore mi sfila la roba dalle mani senza che io accenni nemmeno a oppormi. Appoggia il tutto su un mobile dell'ingresso, poi torna sul pianerottolo e chiude la porta dietro di sé".

"Ora la ringrazio, ma devo scappare dal dottore" dice, facendo per scendere le scale.

"Va bene. E per la fattura, come facciamo?"

Sono momenti di tensione veri, questi, altro che le cavolate tutte effetti speciali che si vedono al cinema, elezioni, campionati, scudetti e tutto il resto. E lo so che sono stato un idiota, e che il progetto non dovevo darglielo. Ma che potevo fare: strapparglielo dalle mani quando ha provato a sfilarmelo, e poi dargli una testata?

Si tratta di una situazione senza scampo: se gli dico nun ce provà, niente soldi e niente progetto! faccio io la figura di quello che non si fida di un povero vecchio malato e trasandato. E pure laureato in Fisica, poraccio lui! E tanto, se vuole, mi frega lo stesso: del resto, esistono anche gli assegni scoperti.

Potrei semplicemente mollargli uno spintone, e mandarlo giù per le scale. Così - se non altro - il medico gli servirà per davvero.

In ogni caso, il professore sembra intuire il mio stato emotivo, perchè si preoccupa di rassicurarmi:

"Non abbia timore" mi dice. "Domani stesso vengo in ufficio da lei, e le porto i soldi".

Che nel dialetto della gente che si finge malata pur di non pagarti, si potrebbe tradurre: ormai il lavoro me lo sono preso, per cui col cazzo che te lo pago!

E a tutti gli effetti il professore non si fece mai più vedere o sentire. Io evitai la patetica situazione di tornare sotto casa sua a battere cassa per poi sentirmi prendere per i fondelli in qualche altro modo, e alla fine per quel lavoro non presi una lira. Ma forse, chi lo sa: magari era malato davvero, ed è morto dieci minuti dopo che ci siamo incontrati. E io che sto pure qui a parlarne male, poverino!

Ma finiamo il racconto di quella giornata. Tornato alla mia macchina con le classiche pive nel sacco riaccendo il solito stereo, aria e motore, e faccio rotta verso l'ufficio. Sulla tangenziale c'è una fila che potete anche immaginarvi da soli, visto che sarà mezzogiorno, e per forza di cose mi ritrovo a riflettere sul mio lavoro.

Non che me la fossi presa più di tanto per questa storia della fattura: un cliente ogni tanto che non paga è nella norma, e fa parte della libera professione. Una volta non prendi una lira perché ti hanno fregato, una volta c'è da pagare una multa che azzera ogni guadagno, ma la terza volta magari va tutto più o meno bene, e più o meno le cose vanno avanti così.

Insomma, non sono i soldi il problema. È un po' il concetto di tutto lavoro in sé: a fare un impianto termico ci metto un paio di giorni. Poi faccio le fotocopie che finiscono in parte al Comune, in qualche archivio dove nessuno le vedrà mai, e in parte al cliente che non si prenderà nemmeno la briga di dargli una letta: a lui non serve tanto il progetto nella sua forma concreta, quanto il numero di protocollo che ci hanno messo sopra.

Ma insomma non è che ci voglia chissà quale impegno e chissà quale abilità, e a questo punto della mia vita penso che potrei scegliere di buttarmi completamente nella mia professione: potrei fare tante fotocopie con tante firme, e avere tanti protocolli da rivendere a chi ne ha bisogno per richiedere altri pezzi di carta. Che poi i soldi sono fatti di carta anche loro, così come le fatture. Per cui è un po' come se dalla stampante del mio computer uscisse direttamente del denaro, con la sola rottura di scatole che al Comune non si trova mai parcheggio e mi tocca lasciare la macchina in divieto di sosta.

Mi domando se gli altri lavori sono tutti così. Certamente il mio è particolarmente immerso in questa sorta di catena alimentare cartacea, ma oggi come oggi viviamo un po' tutti tra timbri e fotocopie, fatture e fascicoli, protocolli e fogli stampati. La burocrazia è diventata una specie di realtà alternativa in cui tutti hanno qualcosa da fare. Un mondo finto nel quale ognuno di noi può farsi scudo dei suoi pezzi di carta timbrati e firmati al punto giusto, ma dove sostanzialmente non si combina un cazzo.

La radio manda una canzone che non conosco. La tangenziale è un tira e molla di macchine che fanno tre metri e poi si fermano. Altri tre metri e poi si fermano di nuovo, da qui fino a casa.

Provo a immaginarmi come sarò tra dieci anni, e vedo una persona stressata e insoddisfatta che passa le giornate a inseguire scartoffie, burocrazia e gente che non vuole pagare. Mi domando se è davvero il mio destino, o se è solo una possibilità. Se sono ormai intrappolato in tutto questo, o se esiste ancora un modo per rientrare nel mondo reale e occuparmi di qualcosa di più concreto.

Mi chiedo se sono ancora in tempo per mandare tutto al Diavolo e cambiare strada, o se al contrario, a trent'anni, è già troppo tardi.

E, alla fine, la risposta è che non lo so. Non lo so. Per davvero.

Non lo so.

O forse mi manca solo il coraggio.

Simone

Nota: questo è il "seguito" di quest'altro post.

17 commenti:

sgerwk ha detto...

Cioe', fammi capire... hai una smart?!

Cancello subito questo blog dai preferiti. :D

Simone ha detto...

Avevo una smart, che poi mi hanno fregato. Adesso ho una 500 che va benissimo... ma per roma era meglio la smart che parcheggiavo ovunque! ^^

Simone

Mirco ha detto...

Anch'io lavoro in proprio. Mi hanno fregato una volta con la stessa frase: sì sì domani ti mando il bonifico. Non ho visto il bonifico e non ho più visto la donna che me lo doveva dare. Ma lo sai che è sparita davvero e neanche il mio avvocato l'ha trovata?
Vabbè, poi è capitato che non volessero pagarmi allora ho tirato per le lunghe e sono riuscito a farmi dare almeno due acconti. Quando ho chiesto il saldo non ho visto una lira e il lavoro (un portale) l'ho cancellato.
Adesso al massimo spreco benzina. Senza acconto non mi alzo dalla sedia manco se viene un terremoto.
Acconto è la parola chiave per i liberi professionisti.

Dreaming and running ha detto...

Sante parole!! Con i privati non ci lavoro praticamente più, ma tra Imprese ed Enti il discorso, negli ultimi anni è solo peggiorato. Gli squali sono sempre più feroci e se decidono di non pagarti non ci sono praticamente santi, a meno di non foraggiare fisso un avvocato (e qui bisogna decidere solo da quale squalo farsi mordere prima ^_^). Acconti??? Cosa sono? So cosa è l'IVA che verso in anticipo e lo stipendio di una dozzina di persone, che a conti fatti, guadagnano tutti più di me.
Figurati che ai neolaureati che passano di qua, carichi di speranze ed aspettative consiglio invece di fare... lo scrittore!!!!
D&R

paroleperaria ha detto...

I liberi professionisti siamo (quasi) tutti sulla stessa barca, credo. Ogni tanto decido quello che fa Mirco, cioè di muovermi solo con l'acconto pagato in anticipo, ma poi... devo rinunciare. Fino ad oggi sono stata così fortunata da essere sempre pagata, solo sempre dopo parecchio tempo (a volte anche anni).
Ma tu... poi ormai... che ti frega? tu "da grande" farai il medico!! :))

Dama Arwen ha detto...

Secondo me è una tia vecchia riflessione e da lì (non nell'immediato forse) è nata la tua idea di iscriverti a medicina.

C'è un altro post a cui non feci a tempo a commentare che mi fece capire qosa di + sulla tua seconda laurea, e del perché. Nonostante io odi l'università ti capisco e dico solo che hai fatto bene.

Il finto vecchio malato: magari te lo troverai davanti in fin di vita in ospedale e sarai tu a dargli "casualmente" il colpo di grazia, ricordandogli x bene che eri colui che non fu mai pagato x il progetto!

Simone ha detto...

Mirco: sì, ma pure a farti dare un acconto ce ne vuole... poi dipende da quanto è grosso il lavoro. Comunque farsi pagare è una dote che fa parte della professione ^^.

Dreaming: almeno come scrittore non ti pagano a priori... per cui ti metti l'anima in pace ^^.

Fra: anche come medico temo che rimarrò libero professionista... chissà se mi pagheranno mai?

Dama: ti ricordi quale post era? La decisione è nata da questo episodio come da tanti altri e da altre riflessioni, che alla fine mi hanno capito che non era quello il lavoro che volevo fare per sempre.

Come medico sarò buonissimo e curerò tutti, non lo so forse sono solo un po' fesso ma è una cosa che vorrei fare più per piacere che per l'eventuale stipendio... comunque più che il vecchietto mi aspetto di incontrare il professore con cui ho fatto la tesi e al quale ho fatto venire un mezzo esauirimento nervoso. Mi vedrà vestito da medico e gli verrà un colpo! ^^

Simone

Temistocle Gravina ha detto...

Non so se ti può consolare. Ho lavorato per 10 anni in una cooperativa (la cooperativa è solo un modo per legalizzare la schiavitù) dove ero pagato con 20 gg. - un mese di ritardo e spesso si andava avanti ad acconti. Alla fine mi sono stancato di passare 8-10 ore al giorno a fare il facchino per 1000 euro al mese, così ho mollato e mi sono messo a lavorare in una cartoleria; di soldi, per il momento, non ne vedo ma almeno non mi spacco la schiena. Il punto è che devo ancora avere dalla cooperativa circa 8000 euro di arretrati, e per recuperarli, ho dovuto mettere il 'famoso' avvocato che mi costerà almeno il 25% del tutto. A proposito: il mio ex presidente viaggia con un Porche Boxter, una BMW F5, una Mito e, pare da voci di corridoio, abbia comprato una Maserati, ma solo di seconda mano. Poverino!!
Temistocle.

Dreaming and running ha detto...

Una piccola aggiunta. Il tuo post, caro ingegnere, aveva un punto molto serio alla fine che mi ha dato da pensare. Ma per non invadere troppo spazi non miei, me le sono cantate e suonate nel mio blog.
Dimmi che ne pensi, se ti va.
D&R

Simone ha detto...

Tim: non mi consola di certo... ma che il mondo fosse pieno di gente che ti fa lavorare e poi non ti paga già lo sapevo per cui almeno non mi sento l'unico fesso. In bocca al lupo!

Dreaming: ora lo leggo!

Simone

CyberLuke ha detto...

Spero vivamente che si verifichi la possibilità paventata da Dama Arwen.
Sorridi, mentre gli regali una giusta eutanasia.

Anonimo ha detto...

Ciao Simone, perchè pensi che da medico potrai fare solo il libero professionista? Potresti venire assunto in ospedale per esempio!

Andrea

Simone ha detto...

Andrea: il discorso è un po' complesso. Intanto una volta laureato, a 39 (almeno) anni e con una media non troppo alta sarà già una bella impresa entrare in una specializzazione, per cui non mi aspetto che in ospedale mi accolgano a braccia aperte.

Poi nella mia idea, almeno in quella che ho adesso, preferirei davvero imparare tutto l'imparabile e diventare un bravo dottore, anche frequentando i reparti gratuitamente, per poi avere i miei pazienti e lavorare per conto mio.

Ancora, davvero non mi aspetto di avere chissà quale carriera da dottore. Se inizi tardi, in tutte le cose, poi necessariamente finisci per trovarti svantaggiato. Per ora mi piacerebbe almeno sfruttarla bene questa laurea, o entrambe, lavorando anche gratis nel volontariato ma facendo almeno qualcosa di realmente utile. Insomma questo "cambiamento" è nato anche nell'ottica di fare un lavoro che servisse e che mi desse più soddisfazioni, poi se arriverà anche uno stipendio e un posto "buono" ben venga, ci mancherebbe...

Simone

Anonimo ha detto...

ho capito.:-) comunque fidati che fare il libero prof da medico è molto diverso che farlo da ingegnere.. Il medico si paga prima e non dopo la visita eh eh... Ciao sei forte.:-) chissà se riuscirò anch'io a fare la tua strada.!!

Andrea

dactylium ha detto...

Tu Simo mi ricordi un po' il John Carter di ER: non aveva realmente bisogno di lavorare, però per lui fare il medico era una sorta di missione.

Io penso che diventerai un ottimo dottore, proprio perché la tua è stata una decisione tardiva, quindi matura, e soprattutto perché stai infondendo passione nel percorrere questa strada.

Un tempo questa professione era davvero una scelta di vita, ora è sempre più un mezzo per ottenere buoni guadagni, spogliato del tutto dell'interesse umano che dovrebbe sottendere.
È bello invece constatare che alcuni, come te, considerino ancora questo impiego come un modo per aiutare in primo luogo gli altri.

Invidio la tua passione e la tua generosità.

Un saluto, dacty

Simone ha detto...

Andrea: grazie! ^^

Dacty: oddio... ora, secondo me, uno che dice faccio il medico o faccio volontariato per "aiutare gli altri" forse ha un atteggiamento in cui non mi riconosco al 100 per 100. Cioè, che fai un lavoro di un certo tipo è anche vero, ma alla fine è una catena in cui vai a inserirti e nella quale nessuno è insostituibile e nessuno fa tutto da solo.

Per il momento spero di fare qualcosa che mi appassioni... poi se qualcuno si sentirà "aiutato" allora sì, sarebbe fantastico. Ma l'approccio che dici tu "alla Carter" forse eticamente è da aspirare, ma rischia di lasciarti insoddisfatto o di illuderti. Perché su 100 pazienti che incontri poi magari sei davvero utile per uno o due, e se volevi salvare il mondo ti ritrovi come l'ingegnere che firma le fotocopie.

Poi io penso anche che "il bene", per buttarla proprio in questi termini, si può fare comunque e con qualunque lavoro. Il modo in cui uno si accosta al prossimo fa parte della persona e non del mestiere che fa... su questa cosa dovevo scriverci un racconto già da un po', grazie di avermelo ricordato! ^^

Simone

dactylium ha detto...

Condivido ciò che dici, però penso che il medico, più di altre professioni, consente di essere di aiuto agli altri (ma questo vale anche per il volontariato, di qualsiasi genere sia).
Non permette di salvare il mondo, certo, e neppure da solo, però accorda la possibilità di poter dare un contributo che, per quanto piccolo, resta comunque importante.

Naturalmente, poi, quanto a fare del "bene", si può davvero fare anche con piccole azioni, come un sorriso a una persona, un ringraziamento sincero o un semplice gesto di buona educazione.

Forse questo secondo aspetto è un po' sottovalutato, e allora sì che chi si sforza di comportarsi sempre correttamente vede infrangersi le proprie buone intenzioni contro un muro di incivile indifferenza.

Un saluto, dacty