21/02/13

Diventare dottori: l'equilibrio tra studio teorico e pratica in reparto.

In tutto ci vuole equilibrio. O una bilancia truccata.
Riporto l'inizio di una discussione nata in questi giorni tra me e Sandro, un lettore del blog. Credo che Sandro abbia sollevato un problema importantissimo (nonché molto sentito da me e - credo - molti altri studenti, non solo di medicina) e mi piacerebbe tanto leggere la vostra opinione a riguardo:

Ciao Simone, anch'io studio medicina, a Napoli. Ho notato una cosa leggendo i vari post di questo tuo blog: mi sembra che lo studio della medicina in se non ti esalti tanto, nel senso che preferiresti molta più pratica.

Posto che è il sentimento della maggior parte degli studenti di medicina, non credi però che ciò che dovrebbe differenziare un medico da un buon operatore sanitario laureato a vocazione molto più pragmatica (figure vitali per una corretta assistenza sanitaria) sia proprio l'acquisizione di una cultura la più ampia possibile capace di metterti in condizioni di sapere dove cercare una risposta ad un quesito complesso?

In fondo non c'è bisogno di sapere pagine intere di anatomia patologica per fare un emogas, oppure non ci vuole l'Harrison per diagnosticare una frattura esposta. In fondo in un annetto di reparto impari a fare benissimo tutte le pratiche medico infermieristiche, ma non ci vuole certo un annetto di reparto per farti una cultura medica sufficiente.

Ovviamente ti parlo così perchè a me piace proprio studiarla, la medicina, e potrei anche fare solo questo nella vita. Spero di non essere stato troppo vago e confuso. Complimenti per tutto.

Sandro

La mia risposta iniziale (visto che la discussione è andata avanti e abbiamo raggiunto una sorta di accordo) è stata la seguente:

A dire il vero hai ragione, studiare non mi piace molto e vorrei fare più pratica.

Purtroppo penso che lo studio teorico a medicina sia eccessivo, e se da un certo verso è importante sapere più cose possibile, da un altro punto di vista a volte si rischia di concentrarsi su nozioni secondarie o francamente limitate solo al superamento dell'esame prima di essere scordate.

Quando ho fatto Biochimica dovevo saper disegnare gli aminoacidi riconoscendo le relative abbreviazioni, oppure mi vengono chiesti dettagli di esami diagnostici che nella pratica non mi fanno vedere (e vedendoli certi dettagli sarebbero ovvi)... ma di esempi ne potrei fare a decine.

Secondo te 3 anni di lezioni per anatomia patologica per uno che non farà il patologo hanno senso? E 2200 pagine di cardio/pneumo per un esame dove nessuno ti chiede di leggere un elettrocardiogramma ma devi sapere i geni mutati in questa o quell'altra patologia?

Insomma trovo che ci sia un equilibrio tra teoria e pratica, ma che si sia decisamente crollati verso la teoria e che quello che viene fuori non è un medico preparato, ma uno con la testa zeppa di nozioni che non potrà che scordare se non vengono fissate con la realtà pratica.

Ancora, penso che una persona che ha studiato (visto che comunque lo studio serve) e che sa anche seguire l'aspetto pratico è in grado da sé di aggiornarsi e cercare pubblicazioni e quello che serve sulle problematiche che si trova ad affrontare. Mi chiedo invece se chi si è fatto imboccare per sei anni memorizzando tutto acriticamente saprà fare lo stesso.

E chi non prova fatica nello studio certamente lo invidio anche, ma anche i pazienti sanno usare google e possono studiarsi le loro malattie giorno e notte, e nel momento che sanno quello che sai tu se dalla tua non c'è anche un saper fare che fa la differenza rischi di essere solo quello da cui vanno quando gli serve una ricetta medica.

Simone

15 commenti:

Engelium ha detto...

Io penso di poter parlare ormai con cognizione di causa quando dico che dall'università si esce del tutto impreparati ad affrontare il lavoro per cui, in teoria, hai studiato 6 anni...

Perchè è vero che una buona conoscenza di base distingue un buon medico da un semplice "tuttofare", e lo rende in grado di ragionare (o almeno dovrebbe) al volo su un gran numero di variabili a volte anche piuttosto spiazzanti... ma a questo purtroppo non ci arrivi al termine dei 6 anni, ma solo dopo essere uscito dall'università come un omino che corre nudo nel campo della realtà, ed aver affrontato un altro periodo della vita a capire come usare parte di quelle conoscenze nel lavoro vero... ed è frustrante a volte...

IMHO andrebbe usata la mannaia su almeno il 70% dei corsi dei primi 3 anni... forse non saprò in che amminoacido si traduce una determinata tripletta, ma magari saprò leggere un ECG che diamine!

Simone ha detto...

Engelium: secondo me quello della scarsa "relazione" col lavoro che si farà dopo è un problema comune, e anche per ingegneria è stato in parte così. Pensa che di tutti i lavori che ho fatto (antincendio e isolamenti termici in particolare) non avevo sostenuto nemmeno un esame ed erano perciò argomenti che ho dovuto imparare a seguire completamente da solo dopo la laurea.

Simone

Vero ha detto...

Ciao, parlo da paziente, per me è stato fondamentale trovare un medico, un' equipe in verità, che sapesse rispondere a ogni domanda che ponevo, anche non inerente alla lesione in atto, mi ha dato sicurezza, mi sono sentita accudita, in buone mani insomma, perciò credo che per essere un medico credibile ci debbano essere lo studio a 360°, il coraggio di uscire dal protocollo se le cose non quadrano, il sapersi rapportare al paziente capendone il carattere e tanta umanità. :)

Simone ha detto...

Vero: grazie del contributo! Purtroppo avere una conoscenza a 360° è difficile, perché fin dagli ultimi anni di università si "spinge" molto affinché gli studenti si specializzino in un singolo campo molto ristretto... e credo che uno dei grossi ostacoli sia proprio questo: uscire dalla super-specializzazione proposta dalla facoltà e costruirsi - purtroppo spesso da soli - una conoscenza medica che comprenda il paziente nella sua interezza.

Capire i pazienti e sapersi rapportare a loro è un'altra dote fondamentale, ma forse qui dipende più da caratteristiche personali che da cosa si studia. Forse ci sono dottori e dottori, e non tutti anche allo stesso livello di preparazione sanno fare il loro lavoro allo stesso modo.

Grazie ancora!

Simone

Valerio ha detto...

Ciao Simone, ho trovato per caso il tuo blog e devo dire lo trovo interessante. Per quel che riguarda la formazione da "cugino" (sono farmacista) devo dire che anche per noi è la stessa cosa: nei ns 5 anni studiamo tante cose che per il 50% non ci serviranno e per il 70% dimentichiamo dopo l'esame.Però credo sia giusto (in parte) per due motivi: 1. La parte che userà il collega in farmacia non è proprio al 100% la stessa che userà il direttore tecnico di un grossista, che a sua volta usa in buona parte altre nozioni rispetto al clinical monitor di una casa farmaceutica, e così via fino agli ospedalieri, ai radiofarmacisti, etcetc

Valerio ha detto...

Stavo scordando il secondo motivo: molto di quel che dimentichi nel dettaglio ti serve comunque come concetto generale a grandi linee per capire cose che dovrai imparare sul campo

Simone ha detto...

Valerio: certo, studiare un programma "vasto" è utile per trovarsi sempre preparati. Resta il fatto secondo me che non so come sia per i farmacisti, ma io davvero adesso per andare in reparto tolgo tempo allo studio del prossimo esame... e non è tanto giusto, credo :)

Grazie dell'esperienza!

Simone

Valerio ha detto...

Ciao Simone....da come interpretavo il tuo punto di vistaperò quasi avresti dovuto scrivere il contrario: è studiare per l'esame che toglie tempo al reparto!! :) Come funzioni per noi in realtà non lo so bene neanche io, nel senso che "l'internato" lo fa solo quel 10-20% di farmacisti che dopo i cinque anni fanno i quattro anni di una specializzazione (in genere per fare gli ospedalieri), quasi tutti gli altri "stanno bene" dopo i cinque anni, al massimo si fa un master biennale in un argomento che ti interessa particolarmente, ma in generale si preferiscono corsi più brevi perchè è nella nostra natura non poterci focalizzare più di tanto su un singolo aspetto (a meno che questo aspetto non sia "il farmaco" in sè, chiaro). In bocca al lupo!!!

Simone ha detto...

Valerio: certo l'esame toglie il tempo al reparto... solo che mentre il reparto lo puoi lasciar perdere se non studi per l'esame invece ti bocciano. Insomma è poco giusto secondo me che l'impegno dedicato alla parte pratica non sia riconosciuto e alla fine sia anche deleterio dal punto di vista dei risultati universitari.

Crepi il lupo!

Simone

Anonimo ha detto...

Ciao Simone , sono contento che il nostro feedback sul dualismo teoria/pratica sia diventato un post. Ti volevo solo riportare un caso a cui ho assistito solo qualche giorno fa. Riguarda una signora che era da anni a caccia di una diagnosi ma che nessun tipo di specialista è mai stato in grado di fornire. Soffriva di insufficienza vascolare agli arti inferiori, con porpora, ulcere e ipertensione. Curata da decenni con vari farmaci non è mai riuscita a star meglio, finché non giunge all'ambulatorio di chirurgia vascolare, dove sto facendo delle ADE. Quel giorno a dirigere le visite c'era una giovane specializzanda dell'ultimo anno che, dopo una accuratissima anamnesi, correla l'HCV positivo della signora ad una probabile diagnosi: crioglobulinemia mista essenziale. Gli esami effettuati nei giorni seguenti confermano. La signora si è fatta una settimana a reumatologia col giusto cortisone e adesso può pure dormire senza dolore la notte. cosa voglio dire con questa cosa? Forse studiare bene e tanto può tornare utile qualche volta. Mi chiedo perchè tutti quei super specialisti, che magari sono dei geni nella pratica della loro specialità, non hanno centrato la diagnosi prima.
sandro

Simone ha detto...

Sandro: grazie a te per esserti "prestato" al post :)

Quello che presenti è un discorso forse "parallelo a questo". A parte che la crioglobulinemia mista si studia (segno che molti dottori studiano cose che poi nella realtà non sanno riconoscere) quello che racconti è forse un segno di qualcos'altro che non funziona bene.

Purtroppo c'è una tendenza a specializzarsi già dal quarto quinto anno di università e di mettere molto in secondo piano i medici di base. Per cui se vai dal dottore "giusto" trovi la diagnosi giusta, altriemnti rischi di non trovare qualcuno che capisce che cos'hai perché semplicemente non ha mai visto il tuo problema.

Io poi devo ammettere che tante cose le leggo sui libri ma non sono assolutamente in grado di immaginarle su un paziente reale e di riconoscerle e gestirle nella realtà. Per me i libri sono solo teoria e al limite puoi tornare al libro per cercare altri dettagli o terapie su cose che vedi in reparto.

Al contrario se durante un ADE in qualche reparto, come è successo a te, vedo una malattia particolare, è molto più facile che mi rimanga impressa e che un domani possa riconoscerne una simile.

Purtroppo oggi si tende a sapere tutto di poche cose, o anche di una cosa sola, e fare connessioni o "salti" da una specialità all'altra diventa difficile.

Ciao e grazie ancora!

Simone

Valerio ha detto...

Per quanto vale il mio parere concordo, non so chi disse che a furia di specializzazioni si finirà a sapere tutto su niente (l'altro giorno parlavo con un collega che fa il farmacista di reparto a in cardiologia a "le Molinette", e persino lui che si dovrebbe interessare già come indirizzo settoriale di farmaci essendo farmacista mi diceva che dopo due anni asssegnato a cardiologia ormai mastica quasi solo di cardiovascolari e per il resto interazioni con aree diverse, ma la farmacodinamica e cinetica delle altre aree l'ha già persa in discreta parte.
D'altra parte è vero che la mole delle nozioni è ormai talmente vasta che nessuno può veramente "sapere di tutto", ma al massimo avere la cultura per "comprendere di tutto".

Vero ha detto...

Ciao di nuovo, credo che il dilemma teoria-pratica sia comune a tutte le professioni in cui serve un tirocinio o una specializzazione, quando ti misuri col lavoro vero capisci che la pratica è indispensabile, è tutto nuovo, ma col passare del tempo e con la tua professionalità che cresce ti rendi conto che lo studio ti è servito, fa la differenza tra capire cosa stai facendo e quindi poter avere un giudizio critico sul da farsi e farlo meccanicamente. Nessuno pretende che un medico sappia tutto di tutto, non è possibile, ma da esso ci si aspetta che sappia molto di ciò che ha scelto. E poi esiste lo scambio di conoscenze tra colleghi, Ippocrate insegna.

Anonimo ha detto...

Psicologia è uguale, nei cinque anni di università è tutta teoria, zero pratica, poi devi per forza la scuola di specializzazione in psicoterapia se vuoi imparare a fare il mestiere pratico e curare il paziente, ma che senso ha? Infatti spuntano come funghi coach, counsellour vari che con una formazione più breve e pratica possono lavorare in tempi più brevi e chissà, forse essere anche più efficaci, perché "pratici". L'università italiana è davvero troppo teorica, non so se è davvero utile per lo sviluppo della società futura, mi sembra che siamo rimasti indietro anche su questo.

Anonimo ha detto...

A distanza di otto anni, ritorno sull'argomento. Sono uno studente del sesto anno ed ho quasi finito le 300 ore di """"""tirocinio abilitante"""""" e mi sto rendendo conto, che si può studiare quanto si vuole, ma alla fine alla specializzazione vengono da subito richieste alcune competenze di base (saper visitare un paziente, anamnesi, prelievi, saper fare ECG, mettere e togliere punti ecc). Sono sempre stato della scuola che prima di fare una cosa bisogna conoscerla. Per conoscenza non si intende la memorizzazione, ma il ragionamento e la comprensione, studiare anche più di quello richiesto (cose che comunque aiutano molto). Tornassi indietro starei più in reparto e meno sui libri, ma così è andata e cercherò di recuperare prima che sia troppo tardi.