28/12/12

Finire gli studi "tardi", e i progetti a lungo termine.

Puoi anche metterci un po' di più per alzare la media.
Quando ho deciso di iniziare Medicina a 33 anni, la cosa che mi faceva un po' girare la testa era che - nella migliore delle ipotesi - avrei finito all'età di 39.

39 o 40 anni fa più o meno lo stesso. E insomma visualizzarmi a finire un percorso all'età di 40 anni in un momento in cui me ne sentivo 30 appena compiuti mi metteva davvero agitazione.

Era un po' come se iscrivendomi all'università stessi progettando un qualcosa che mi avrebbe portato a passare di colpo una lunga parte della mia vita. Come se stessi per ritrovarmi all'improvviso molto più vecchio, solo per una scelta che stavo per fare.

E questa lettera che ho ricevuto un paio di giorni fa si riallaccia proprio a questo discorso:

Ciao Simone, mi chiamo Irene e sono capitata per caso sul tuo blog dopo che mi è saltata in mente la "pazza" idea di reiscrivermi all'università alla veneranda età di 34 anni.

Mi ero iscritta a Medicina Veterinaria appena finito il liceo ma - aihmè - l'ho abbandonata dopo tre anni per cominciare a lavorare. Sarà stata la voglia di indipendenza, anche economica, lo studio che reputavo troppo impegnativo, la voglia di studiare che via via andava scarseggiando.... e così, per fortuna o purtroppo, ho trovato subito un impiego.

Ma eccomi qui, dopo 10 anni e più, a rimpiangere quello che ho lasciato e soprattutto a non sentirmi soddisfatta di quello che sto facendo ora!

Mi interessava sapere la tua esperienza nell'esserti ributtato sullo studio dopo i 30. La mia maggior preoccupazione è: se dovesse andare bene e riuscissi a dare tutti gli esami nei tempi prefissati, dovrei laurearmi a 40 anni. Tu ci hai mai pensato? E la riposta che ti sei dato? :-)

Irene


Proprio la stessa domanda che mi facevo io, non trovate? Solo che - per quanto mi riguarda - la mia risposta l'ho trovata già un po' di tempo fa:

Iniziare una cosa con l'idea di finirla a un'età molto più "avanzata" è un'idea che mette davvero un bel po' d'ansia e su questo purtroppo non ci piove e ci sono poche risposte da darsi. Ma il fatto è che sia che uno si iscriva all'università, sia che magari cambi lavoro o che continui piuttosto a occuparsi sempre delle stesse cose, gli anni passano comunque.

E più passa il tempo e più rimettersi in gioco si fa difficile, perché invece che 40 anni devi pensare che magari alla fine ce ne hai 50 o 60 o chissà quanti mentre il tempo necessario a realizzare determinate cose rimane sempre lo stesso.

La risposta che mi sono dato io, allora, è che qualsiasi scelta uno faccia purtroppo il tempo non si ferma in ogni caso. E quello che ci spaventa davvero non sono lo studio o il lavoro, quanto purtroppo la vita stessa che in ogni caso va avanti senza aspettare che prendiamo o meno le nostre decisioni.
 
Alla fine insomma i miei 40 anni arriveranno sia se avessi continuato a fare l'ingegnere, e sia adesso che sto studiando per diventare dottore. L'unica differenza qui è che una persona può arrivare a una qualunque età facendo quello che voleva fare, oppure arrivarci portandosi dietro i rimpianti per le cose che non ha provato a ottenere.

Vista in quest'ottica, credo che la scelta sia molto più facile di quanto non mi fosse sembrato all'inizio. E quando avrò davvero 40 anni - magari - ve ne darò conferma.

Simone

24/12/12

Un buon Natale anatomopatologico!

Che ti ha portato Babbo Natale? 1200 pagine di libro più le slide!!! :(
Ora in questo esatto momento sto studiando Anatomia Patologica, "target" per dare l'esame il 14 Gennaio per lo scritto e il 17 l'orale.

Che non mi piace questo esame l'avrete capito, cioè una volta forse mi piaceva pure ma dopo 3 anni che riesce fuori in tutte le salse ha davvero un po' superato il limite umano di sopportazione.

Ma vabbe' ormai è quasi giunto il momento, e se non sarà Gennaio sarà Febbraio ma ci leveremo pure quest'altra.

Un po' triste solo non pensare per niente a quello che lo studio può darmi come preparazione e professionalità futura, ma vederlo solo come impegno nell'ottica di superare un esame. Purtroppo l'università è anche questo. Parti con tutta la passione, l'entusiasmo e l'interesse del mondo, e piano piano ti ritrovi a imparare a memoria roba di cui non te ne frega proprio più niente e soltanto perché lo devi fare e perché se no ti bocciano.

Ma forse questo atteggiamento ha anche un qualcosa di positivo: tutto sommato c'è questa sensazione sempre più forte di essere quasi in dirittura di arrivo e di doversi scaricare solo degli ultimi mattoni, e ci sta bene credo anche un po' di insofferenza. Uno non si iscrive a medicina per studiare medicina, ma per diventare dottore, e se mi fossi appassionato tanto alle materie e guardassi già con nostalgia i vecchi esami e le giornate passate a studiare... quello sì che sarebbe patologico. Specialmente quando si sta in vacanza e sotto le feste.

Comunque sia, in questi giorni andrò un po' anche in reparto. Non che ci debba andare per forza (non penso che nessun professore si sognerebbe mai di obbligarmi) ma ci voglio andare io e alla fine è pure un bel modo di staccare tra lo studio e le abbuffate con amici e parenti. Evidentemente sono uno che è più portato per le cose un po' più pratiche rispetto allo studiare e imparare e comprendere. Sarà che da questo punto di vista sono rimasto molto più "ingegnere"? O sarò bravo come medico anche se per memorizzare quattro cavolate mi ci vogliono gli anni?

E vabbe': che poi non volevo parlare di questo, ma avevo aperto il blog al volo solo per farvi gli auguri. E lo so che non è niente di che andare a cercare un albero di Natale su Internet e linkarvelo qui, ma almeno c'è stato il pensiero e spero che sia un pochino apprezzato :)

Insomma buon Natale, buona fine, buon principio, a voi e alle vostre famiglie... e se non mi vedete aggiornare fino a Capodanno sapete che è perché ho da studiare o perché sto in reparto o ancora perché ho mangiato troppo e sono sul divano in coma a digerire.

È probabile che succeda anche questo.

Simone

19/12/12

Quando sono stato male.

Malato dell'800: l'iPad aveva una connessione lentissima.
La sera prima la passo - come tutte le sere degli ultimi tempi - a cercare dettagli relativi alla mia operazione su Internet.

Vengono fuori certi filmati che ti cadono tutti i capelli. Siti che raccolgono opinioni contrarie e angoscianti. Esperienze di gente che si lamenta di sequele, inesattezze, dolori, traumi, effetti collaterali e chi più ne ha più ne metta.

Mi ripeto che su Internet ci vanno solo quelli che hanno da lamentarsi. Gli insoddisfatti e gli insicuri. Su Internet ci scrivono i coglioni come me o chi ha voglia di prendere per il culo la gente o chi tanto non sarà contento mai. Questa consapevolezza mi rassicura un po'. Un pochino. Ma la notte comunque dormo poco.

Sono in clinica alle 9 della mattina successiva. Qualche formalità burocratica, poi mi accompagnano in camera e mi danno un letto.

Verso le 10 iniziano a portare i pazienti in sala operatoria. Le barelle passano per il corridoio fino all'ascensore, e poi di nuovo dall'ascensore fino alle stanze. Spero ogni volta che tocchi a me, ma invece tocca sempre a qualcun altro mentre quel corridoio l'imparo a memoria ripercorrendolo una, dieci, cento volte avanti e indietro.

Le ore non passano mai. Ogni minuto che aspetto è un minuto in più di convalescenza che mi toccherà scontare dopo. Non si può bere, non si può mangiare, non ci si può nemmeno accendere una sigaretta. Sei come in una specie di limbo dove non succede e non puoi fare nulla a parte passeggiare o farti venire sonno davanti ai programmi della mattina in TV.

Verso le 2 un'infermiera entra in stanza e mi dice che è il mio turno. Mi affretto a indossare quel camice ridicolo che ti lascia tutto scoperto come ti muovi un attimo di troppo. Poi entro nel letto e mi infilo sotto alle coperte.

Si parte: mia mamma mi saluta accarezzandomi sulla fronte, mentre mi spingono verso l'ascensore. Le luci del corridoio passano sopra di me, mentre a destra e a sinistra i numeri delle varie stanze scorrono all'indietro in una specie di conto alla rovescia.

Saliamo con l'ascensore, e mi lasciano in una specie di sala d'attesa. Sento i dottori che parlano, qualcuno telefona e altri sono indaffarati a spostare barelle o a discutere di interventi o di chissà che cosa. Mi tiro su le coperte fino al collo, perché fa un freddo della Madonna.

«Io sono l'anestesista» un signore si accosta al letto e mi dà la mano. Poi mi attacca degli elettrodi per il monitor dell'elettrocardiogramma e se ne va.

Arriva una seconda barella con sopra una ragazzina sui 14 anni. Ha la faccia di una che la madre gli ha appena buttato al cesso tutti i trucchi comprati di nascosto e il ragazzo l'ha mollata e le sue amiche non la cercano più e la sua vita è finita e che suo padre gli ha detto che vuole che studi Ingegneria. Vorrei provare a tranquillizzarla un po', ma due infermiere aprono un separé tra noi due e non riesco più a vederla.

Passeranno un paio di minuti, poi l'anestesista torna al mio letto e mi spinge verso la sala operatoria vera e propria.

Mi fanno scivolare su un lettino più piccolo, e in un attimo sono circondato da persone con tute azzurre, verdi, blu, rosa... ma quanti sono? Sembra una specie di film del terrore, ci manca solo la musica col teremin o qualche scala di tastiera superveloce per essere davvero tale e quale.

Qualcuno mi allenta il camice. Qualcun altro mi sposta tirandomi come se fossi un sacco. Mi posizionano un saturimetro su un dito, mentre nell'altra mano mi infilano un ago cannula e sento un male cane che davvero non me l'aspettavo.

«Adesso rilassati mentre il farmaco fa effetto» mi dice l'anestesista. «Così ti addormenti».

«Ma non dovevo fare prima la spinale?» chiedo.

Lo so che sembro l'apoteosi del rompicoglioni all'ennesima potenza, che non si sta buono manco con 10 persone intorno armati di aghi e lame taglienti. Però pensavo di aver capito diversamente.

«No, ti addormentiamo. Niente spinale».

A quel punto io specifico chiaramente il nome del mio intervento, assicurandomi che comunque non è che per caso ci fosse stato uno sbaglio. Lo so: ho visto veramente troppi telefilm coi dottori del cazzo, e comunque mi addormento senza nemmeno sentire la risposta.

Dormo che è una favola. Sogno qualcosa anche, ma non ricordo cosa. Mi pare di aver dormito per ore, come quando sei proprio stremato e dormi che te lo gusti che non ti pare vero... e poi però a un certo punto ti svegliano che non volevi, e hai ancora troppo sonno.

«Abbiamo finito» il chirurgo mi sveglia con una carezza. E poi sparisce, o mi riaddormento io. Non lo so, non ci sto capendo un cazzo.

La prima cosa che riesco a razionalizzare, è che ho un dolore terribile. Una roba che pensi solo che non è possibile che ti faccia davvero così male: capita che uno prende una botta col mignolo su uno spigolo o una storta giocando a calcetto e allora dice che s'è fatto male e sta lì che si lamenta e pare chissà che cosa... ecco, avete presente? Be', invece no: è una cosa troppo peggio. È un dolore assurdo come non l'hai sentito mai, che sta lì e che non passa e per quanto ti agiti e ti lamenti mi sa che a calcetto non ci rigiochi comunque per un bel po'.

«Come va?» l'anestesista mi sta spingendo di nuovo nella sala d'attesa. «L'intervento è andato benissimo».

«Mi fa male. Ho un dolore importante».

Questa espressione del dolore importante non me l'ero manco preparata. Un termine entrato dentro in qualche modo da qualche reparto, e rispuntato fuori dal mio subconscio che anche in un momento del genere non voleva bruciarsi l'occasione di spararsi le pose da studente di medicina secchione sfigato. Il subconscio - non per niente - sta sulle palle un po' a tutti.

L'anestesista indica una pallina di plastica che mi hanno appiccicato al braccio.

«Hai già l'antidolorifoco, adesso ti diamo qualcos'altro».

Quello che ricordo dopo sono una serie di scene tra la sala operatoria e la mia stanza, perché lo spostamento ci sarà stato ma non è che mi ricordo tanto che cosa è successo. So solo che a un certo punto stavo con le flebo, gli antidolorifici e tutta la droga del mondo, con mia mamma da una parte che pregava e io che ogni tre secondi facevo un grugnito come uno che lo sgozzano e mi giravo e rigiravo per trovare una posizione nella quale mi sentissi un po' meglio, ma che tanto non c'era.

E poi quella sete. Come se avessi masticato delle palline di sale, mentre correvo di corsa al Circo Massimo in pieno Agosto con addosso la tuta da sci. Sugli effetti collaterali dei farmaci ci scrivono cose tipo: neutropenia, neurite periferica, al limite diarrea se proprio uno è fortunato. Non ci scrivono mai: ti viene una sete che manco a li cani, questo no. E vorrei tanto sapere perché.

Ma non mi lasciano bere: non si può, è vietato come qualunque altra cosa lontanamente piacevole all'interno di ospedali, cliniche e areoporti, e comunque ho già una flebo di fisiologica attaccata alla vena. Vedo il tubicino che mi entra nella mano: ripenso a quando spiego ai pazienti che come idratazione basta quella, e che di bere non hanno realmente bisogno... e poi mi mando affanculo da solo.

Passa un'ora, e sto giusto appena un attimino meglio.

Passano due ore, e va meglio. Riesco anche a scambiare qualche parola con mia madre che non prega più, e a scherzarci sopra.

Dopo tre ore gli antidolorifici hanno funzionato, e mi fa ancora male tutto ma è un male che tutto sommato non è più niente di che.

Arriva l'ora di cena, e arrivano una specie di brodino con dentro il niente, e quella che a un esame autoptico potrebbe essere una mela frullata. A portarmi il vassoio è una signora piccolina, anzianotta, non indossa un camice ma una sorta di palandrana che le copre il vestito solo sul davanti e la fa sembrare una cameriera. E io ho tanta di quella fame che vorrei abbracciarla e chiederle di sposarmi e portarmi la pastina e la mela per tutto il resto della nostra vita: noi due, soli e insieme per sempre.

Tirarsi su per mangiare è un'impresa, ma ho un sacco di tempo. Il brodino mi leva quell'arsura demoniaca, e già mi sento rinato. La mela frullata è dolce, e dopo quelle due ore interminabili che sono passate è una sensazione così bella che mi scendono quasi le lacrime.

«Era buonissima» dico alla signora di prima, tornata a recuperare il vassoio. «La cosa più buona che abbia mai mangiato».

Lei si mette a ridere, e scuote un po' la testa come a dire che invece no: non è buona per niente.

«Si vede che avevi proprio fame» dice, prima di andarsene.

La notte dormo mezz'ora ogni ora. Mi addormento e mi sveglio. Mi sveglio e mi riaddormento. A un certo punto - e non so come - il catetere s'intreccia con la flebo, e facendo un movimento col braccio gli do uno strattone con tutta la forza che ho. Ma guardiamone il lato positivo: ogni volta che capiteranno discussioni sugli aneddoti dolorosi per decidere a chi è capitato di farsi più male nel corso della vita, vincerò sempre e sicuramente io.

Al mattino mi visitano di nuovo, e quando mi levano il catatere esclamo il "ma porca troia!" più profondamente sentito della mia esistenza. Poi verso le dieci passa l'infermiera, mi chiede se ho fatto pipì e io niente: non mi scappa.

Alle undici passa di nuovo, e io di nuovo nulla: non la devo fare.

Verso mezzogiorno mi scappa un pochino, ma non riesco a farla.

All'una sono io a cercare l'infermiera perché mi scappa troppo, ma non ci riesco. Lei mi dice che non fa niente, e di riprovare più tardi.

Alle due me la sto facendo sotto ma niente: ci provo e ci riprovo, ma la sensazione è come di dover pisciare attraverso il granito e mi viene da piangere solo al pensiero che mi rimettano il catetere, e che poi - cosa peggiore di tutte - me lo tolgano di nuovo.

Alle due e mezza viene a trovarmi mio fratello. Tempo 3 minuti e mi fa incazzare di brutto, scatenando così anche il miracolo. Esco dal bagno entusiasta per avvisare le infermiere e i medici e gli operatori sanitari. Gli altri pazienti, gli operai che vedo dalla finestra dall'altra parte della strada, tutti quanti devono essere informati che ce l'ho fatta e partecipare ai festeggiamenti: devono saperlo tutti!

E da lì in poi è stata tutta in discesa. Medicazioni, farmaci, visite col chirurgo, dolori da tenere a bada con altre medicine... ma il brutto è stato davvero solo in quelle due ore dopo l'anestesia, un po' la notte e fino alla mattinata successiva, quando pareva impossibile anche l'operazione più banale.

A ripensarci, adesso che queste righe sono poco più di un racconto, penso di poter dire di essere stato male. Poco male - tutto considerato - e per poco tempo, ma è stato così. Diciamo che penso di aver avuto un piccolissimo assaggio di cosa vuol dire dipendere totalmente da qualcun altro, perché da solo non ce la puoi proprio fare. Ho capito che anche un minimo di gentilezza in più può cambiare tanto di come vivi una situazione.

Ho capito che quando qualcuno sta male non è come al cinema o nei film, che pare quasi una cosa figa che poi alla fine sono tutti felici o - male che vada - alla fine muore e non ci si pensa più: c'è un livello di stare male che arriva ad annientare le persone. Le strappa via dal mondo e le porta in una dimensione dove non riescono a interagire con nient'altro se non la propria malattia e i propri bisogni più basilari.

Ogni volta che una persona sta male e non riusciamo ad aiutarla, ogni volta che qualcuno soffre e viene lasciato solo, e ogni volta che guardiamo al dolore degli altri con indifferenza, è una tragedia.

E non bisogna essere medici, o ingegneri, o laureati in chissà che altro per capirlo, per sdegnarsi, per voler fare qualcosa, per voler aiutare e curare. Bisogna semplicemente essere umani.

Simone

14/12/12

L'oste davanti ai buoi... o qualcosa del genere.

Un carro carico carico di... esami!!!!!! :((((((
Parlando e divagando su specializzazioni e futuro post laurea mi sono quasi creduto che fosse davvero finita e che potessi già crogiolarmi nel mio impellente impegno di medico disoccupato.

E invece manco col cavolo: sto solo al quinto anno, mancano diciassette (cacchio, DICIASSETTE) esami e tra manco meno di un niente inizia la prossima sessione.

Il 18 di codesto mese prossimo venturo c'è una prova in itinere barra esonero barra tantononserveanniente di Medicina e Chirurgia 1. Il classico scritto con crocette dove si giudica la maggior consapevolezza su quale aminoacido è maggiormente mutato nella malattia X o quale tra i seguenti farmaci ha maggiori controindicazioni gastrointestinali negli indiani d'america.

La cosa brutta è che se fossi un medico vero penso che prima di dare un farmaco di cui non sono certo magari le linee guida me le riguarderei, ma da studente le devi sapere a memoria e io al momento non me ne ricordo mezza, per cui mi sa tanto che l'esonero andrà mica tanto bene.

La cosa positiva invece è che tanto non vale quasi niente ai fini dell'esame, per cui la prenderò un po' come una specie di ripasso per poi studiare magari meglio gli argomenti che chiederanno.

Poi ci saranno le solite feste da secchione passate a studiare pure il primo dell'anno, e da metà Gennaio in poi iniziano gli esami veri e propri. Medicina e Chirurgia 1, Anatomia Patologica e Diagnostica per immagini tutte da fare appiccicate perché evidentemente è più formativo così.

Inglese e Farmacologia le darò quando le darò, che tanto Inglese chissene frega e Farmacologia l'ho già fatta per 7 moduli su 10 e si può finire quando c'è tempo. Speriamo bene, che se mi rimane troppa roba sul groppone poi il prossimo semestre è già pesante di suo e mi ritrovo un'altra volta a dover recuperare, come l'anno scorso.

Riguardo al reparto spero di poter andare regolarmente anche sotto le feste e sotto esami. Magari non proprio regolarmente nel senso di sempre, ma regolarmente nel senso di spesso... o quando riesco. Sicuro non posso sparire per 2 mesi, che pare anche brutto. Giuro che non lo farò! Spero.

Infine, sul discorso della specializzazione, ho pensato di tenere un po' su le varie ipotesi senza sbilanciarmi ancora troppo: intanto farò la tesi a medicina d'urgenza (a me piace sempre di più quel discorso dei master + corsi di ecografia eccetera) magari cercando di trovare anche un correlatore anestesista, così da non giocarmi totalmente l'eventuale concorso in quella specializzazione.

Chirurgia generale sta lì, ultima spiaggia per tentare magari qualcosa ma - secondo me - troppo lontana dalle effettive possibilità per chi ha iniziato tardi. E infine il test di medicina generale posso provarlo comunque, che non me lo vieta nessuno visto che basta che ti prenoti e vai a provarlo.

Insomma ho lasciato aperte varie ipotesi, e ora smetto di stressarmi col discorso tesi/post laurea e mi stresso solo col discorso esami/altri esami/ancora più esami ancora dopo. E finita questa sessione magari avrò le idee ancora un po' più chiare.

Simone

10/12/12

Laurearsi passati i 30 anni: riflessioni sulle possibilità post-laurea.

Non sono troppo sicuro che stia "pensando".
Lo so che manca ancora un sacco di tempo (2 anni pieni) ma alla fine è un qualcosa alla quale bisogna pensare: cosa farò dopo la - seconda - laurea in Medicina? E che possibilità ci sono, per uno della mia età e senza una media stratosferica? Vediamo:

Specializzazione a Roma: specializzarsi è un grosso problema. Diciamolo chiaramente: io non penso di arrivare a laurearmi con 110 e lode, e questo mi mette in secondo piano rispetto alla stragrande maggioranza degli altri studenti.

Ci sono un 60-70% di futuri medici con medie che vanno dal (considerato molto basso) 28, fino a ben oltre il 29, 29 e mezzo. Se contate poi che per i concorsi vengono valutati i voti di alcuni esami (ogni specializzazione ha i suoi) competere con una media di 26/27 con persone che hanno 30 o 30 e lode a ogni materia dal terzo anno in poi è impensabile.

Dando un'occhiata ai vecchi concorsi, gli indirizzi "perseguibili" sono essenzialmente Anestesia e rianimazione, Chirurgia Generale e davvero poco altro. Medicina d'urgenza ha pochissimi posti, per cui non ha senso nemmeno presentarsi al concorso perché si sovrappone a quello di Medicina Interna dove se non altro c'è qualche minima possibilità in più.

Anestesia non l'ho mai veramente "provata", ma così su due piedi ho l'impressione che mi interessi poco. Io quando ho iniziato questo percorso ho sempre avuto l'idea del medico "classico" dal quale vai quando ti senti male e che ti dice che cosa succede, e l'anestesista mi pare molto diverso dalla mia - chiamiamola pure così che non trovo di meglio - vocazione.

Chirurgia Generale mi piacerebbe già molto di più, ma se uno che inizia a studiare da chirurgo a 18 anni diventa "bravo" passati i 40, per uno di 30 che senso ha? Credo che si tratti di un percorso troppo lungo e che non ne valga la pena se non si è veramente convinti di voler fare proprio quello nella vita.

Specializzazione fuori Roma: nel resto dell'Italia credo che i punteggi minimi per entrare in alcune specializzazioni siano più bassi. C'è il problema di doversi trasferire, e del doverlo fare anche subito perché provare un concorso in qualsiasi ateneo essendosi però laureati da un'altra parte non è per niente un buon biglietto da visita.

Ma ho voglia di andarmene da Roma per specializzarmi - forse - in qualcosa che mi piace di più? È un'idea da prendere in considerazione, ma non è certo il massimo finire a 40 anni in un posto nuovo solo per ritrovarsi un titolo piuttosto che un altro.

Specializzarsi all'estero: andare all'estero è una cosa che non vorrei prendere in considerazione. Io penso che l'Italia sia ormai nello sfacelo più totale, e ho scelto da qualche tempo di restare per cercare di fare quel poco di mio piuttosto che scappare e rivederla solo alla TV quando c'è una disgrazia o quando ci prendono per il culo.

Medicina Generale: questa è una possibilità un po' diversa. 3 anni di corso per essere un medico di base, e poi una vita di concorsi e casini su casini per rimediare qualche paziente che magari vuole solo che gli scrivi le ricette o gli fai il certificato per la palestra.

Poi tutti o quasi quelli che non entrano in specializzazione (cioè metà dei laureati in medicina) si riversano sulla medicina di base, per cui non è che il concorso sia così semplice anche in questo caso. Resta sempre un'ipotesi da valutare.

Non specializzarsi: ora sembra strano, ma forse non lo è. Invece di infilarsi in code, concorsi, attese e poi anni di reparto per imparare non si sa nemmeno bene cosa (non è che essere specialisti sia sinonimo di grande capacità, purtroppo) togli il problema alla radice e non ci provi nemmeno.

A me piace sempre il discorso dell'emergenza e del medico che visita il paziente e lo indirizza a seconda della situazione. Un master in medicina d'urgenza (ce ne sono molti in diverse facoltà) o su temi analoghi - se associato a una frequenza molto intensiva dei reparti associati - può essere un modo per crescere professionalmente. Poi dopo mi farei anche qualcosa con un diverso indirizzo, e già stiamo a 2 anni di esperienza post-laurea.

Ancora, ci sono tanti corsi che i medici anche non specialisti fanno per "imparare" un qualche lavoro. Sicuramente quello da ecografista (ci sono corsi base e poi avanzati e ancora specifici) associato a una medicina generalista, di urgenza o comunque di diagnostica clinica può essere un altro punto in più.

In questo caso però c'è il grosso inconveniente che mentre gli specialisti - a prescindere da qualsiasi reale capacità - possono sempre presentarsi mettendo davanti i loro diplomi con 300 lodi e controlodi varie, chi non ha una specializzazione può ovviamente trovarsi facilmente scavalcato anche se poi si è fatto un mazzo così per studiare e fare pratica.

Altre idee al momento no ne ho, le differenti ipotesi sono queste. Voi, che consigli mi date?

Simone

06/12/12

Seconda laurea in Medicina: arrivano gli esami, ma anche qualche notizia migliore.

Lo vedete, qui, il blocco di branca? Be', manco io.
Le lezioni del quinto, cioè della prima metà ovviamente, sono praticamente terminate, e tra Gennaio e Febbraio dovrei dare i seguenti esami:

- Oncologia: esame piccolino ma molto mnemonico (tutti farmaci, procedure diagnostiche e chirurgiche e classificazioni) e che sinceramente non mi piace molto.

Non che reputi l'oncologia una materia di secondo piano - quando anzi in realtà è importantissima - ma questo esame riprende cose già viste riproponendole da un punto di vista molto specifico e - secondo me - forse un po' troppo specialistico per chi non è ancora un dottore a tutti gli effetti. Ma tanto non è che richiedano il mio parere per farci sostenere l'esame oppue no, per cui io me lo studio e basta.

- Anatomia patologica: questa è la bestia nera dell'intero corso di laurea... insieme a Biochimica, Anatomia, Microbiologia, Patologia 3. Vabbe', una delle tante insomma. Il corso è iniziato al terzo anno con vari moduli inseriti nei diversi esami, e termina solo adesso con l'esame finale dove ci sono i vecchi moduli più altri nuovi.

Dicono che poi non è davvero così difficile come sembra, ma al momento solo vedere la mole di slide che ho sull'hard disk è alquanto scoraggiante e sapere che per il 50% sono cose che ho già studiato (e prontamente dimenticato) negli anni passati mi deprime ancora di più.

- Inglese: be', inglese non è niente di che.

- Farmacologia: esame diviso in 10 esoneri, mi restano da dare gli ultimi 3 e poi è fatta.

- Diagnostica per immagini: qui non c'ho capito molto. C'è un libro, ci sono un po' di slide... ma il libro dice che non va bene e sulle slide manca mezzo programma oppure non si capisce una minchia. Poi 2 scritti, 3 orali, 100 professori, prove pratiche e chi più ne ha più ne metta: un mezzo casino. Credo sarà l'esame più difficile del semestre, ma penso che pure questo si farà. 3 o 4 volte, magari, ma si farà.

Il problema è solo il tempo: 5 esami in un mese e mezzo scarso, quasi tutti con almeno uno scritto e un orale in date diverse, e contando che adesso c'è un altro mese per studiare ma con in mezzo tutte le feste e perdite di tempo varie. Diciamo che gli esami veri e propri sono solo 3, ma è sempre troppa roba troppo ravvicinata.

E certo che potevo pensarci prima e iniziare a studiare con più anticipo... cosa che per tanti versi ho fatto, ma senza impegnarmici sul serio. Alla fine tra reparto, lezioni e tirocini chi c'ha voglia di studiare, se gli appelli non sono imminenti? Non c'ha voglia Nessuno, di certo (apprezzate il mirabolante gioco di parole estratto da un mio vecchio romanzo) e io meno di lui.

Se non altro, l'internato per la tesi procede meglio che mai: col professore che mi segue mi trovo benissimo, e non vorrei fare quello che si dà troppe arie ma ogni tanto arriva pure qualche piccola soddisfazione. Tipo gente che sta a medicina da qualche anno prima di me ma che mi sembra ancora più impedita (e ce ne vuole! :) riconoscere un blocco di branca in un elettrocardiogramma (ma è stato un caso) e cose del genere che magari altri sapevano già fare al primo anno di corso, ma io no.

L'altro giorno - per dirne una ultimissima e poi basta - ho aiutato a fare la visita a un signore che stava in reparto da un sacco di tempo e che è stato finalmente dimesso.

Più tardi, tornando verso casa, l'ho beccato vicino a dove parcheggio, e ci siamo fermati a salutarci: come va e come non va, qualche battuta che è un tipo simpatico, e poi tanto per fare una cosa originale mi chiede com'è che sono più grande degli altri studenti e le solite cose sulla seconda laurea, del perché e del percome e dei soliti cavoli miei che vado sempre in giro a raccontare a tutti.

Niente di particolare, insomma. Però ritrovare qualcosa dell'ospedale fuori dall'ospedale stesso è stato un po' come superare una specie di muro. C'è come uno scalino tra la vita vera e questa specie di esperienza un po' assurda di ricominciare da capo a 30 anni suonati, come se le due cose non si fossero ancora del tutto riamalgamate.

Ma per la prima volta lo scalino era così basso da riuscire a fare il salto da una parte all'altra solo per fare un saluto a qualcuno, anche se poi m'è toccato riscavalcare di corsa dall'altra parte, che c'ho almeno 2000 slide di Anatomia Patologica da memorizzare.

Una volta tornato indietro, però, nel mio mondo da studente anziano plurifuoritempomassimo, ero comunque un bel po' più contento.

Simone

01/12/12

Seconda laurea in Medicina: il tirocinio a radiologia.

Un RX del torace: è vero, non ho avuto alcuna fantasia.
Il tirocinio a radiologia inizia già male: ci dividono in tanti piccoli sotto-gruppi, e a me mi lasciano come unico studente nel laboratorio dove fanno le TAC.

Che già io non è che sia tutto 'sto grande esperto di niente, ma qualche TAC l'ho già vista fare e a medicina d'urgenza l'ultima volta si aspettavano pure che gliela refertassi (cosa che ho fatto sbagliando completamente diagnosi) e stare lì in piedi a non fare nulla non si prospetta come il tirocinio più eccitante del mondo.

Poi alle TAC ci sta un radiologo agitatissimo che si lamenta che lo hanno lasciato solo: litiga e s'incavola con tutti, alza il telefono e sbraita contro non si sa chi, mi guarda e non mi guarda e ogni tanto dice "non posso seguirti, che mi hanno lasciato da solo!" tutto disperato e con le mani tra i capelli.

Essere abbandonato completamente da solo per un radiologo vuol dire che ci stanno solo lui, il tecnico di laboratorio, un tirocinante neolaureato, l'infermiere, gli operatori sanitari, ovviamente il paziente e pure io... che male che vada non so fare un cazzo ma - metti che succede davvero qualcosa - posso comunque aprire la porta e andare a chiamare uno degli altri quarantotto tra dottori e specializzandi che stanno nella stanza lì accanto.

I poracci che fanno la notte al Pronto Soccorso è capace che stanno da soli nel senso che per trovare un altro dottore devi chiamare un'ambulanza e portare il paziente in un altro ospedale. Questo vuol dire restare soli, almeno secondo la mia recrudescente mentalità ingegneristica che ogni tanto fa capolino nei reparti ospedalieri e si domanda: boh?!

Comunque sia alla fine il radiologo si rivela anche simpatico, e una volta che si dà una mezza tranquillizzata è pure gentile e mi spiega un po' di cose che non sapevo sulla radiologia... che magari l'idea di base era proprio quella.

Anche il tecnico di laboratorio è piuttosto disponibile, e mi fa vedere come mettono il paziente sul lettino della TAC, iniettano il mezzo di contrasto (la parte che dà motivi di preoccupazione dal punto di vista medico è proprio questa) sparano un po' di raggi X tanto per, centrano le immagini e programmano i macchinari e tutto quanto, e alla fine fanno l'esame vero e proprio che - per chi non lo sapesse - ricrea al computer una sorta di immagine del paziente fatto a fettine abbastanza dettagliate da poterci riconoscere vasi, organi, ossa, strutture varie e - soprattutto - se c'è qualcosa che sembra un po' fuori posto o che non dovrebbe proprio esserci per niente.

Per la durata di circa venti minuti inizia quasi a piacermi, la radiologia. Certo per entrare alla specializzazione devi avere ventinove e mezzo di media e aspettare 3 anni... ma che problema c'è? È ancora molto più abbordabile di Cardiologia o Pediatria. Alla fine metti la gente sul lettino, premi un po' di bottoni, referti le immagini e hai finito lì. Con i pazienti - se non ne hai voglia - quasi nemmeno ci parli. I tecnici sono bravissimi e gli infermieri ancora meglio, e tutto fila liscio e tranquillo e senza intoppi.

Uno degli ultimi pazienti è una signore sui 40, massimo 45 anni. Ha una di quelle malattie che mi pare fuori luogo anche solo nominare in un blog tutto sommato leggero e superficiale come il mio, ma insomma avrete capito. È stata operato da un po', è in terapia da un altro po' con relativi farmaci chemioterapici e biologici del bisogno, e questo è uno dei tanti controlli periodici ai quali deve sottoporsi.

È talmente abituato al rituale di questi esami che si sdraia sul lettino e aspetta le indicazioni come se stesse prendendo l'autobus o se stesse facendo la fila alla posta. Quando ha finito si sistema i vestiti, saluta tutti e si allontana con la naturalezza di chi passava da quelle parti per caso e ha detto: "tò, c'è una TAC?! Quasi quasi me ne faccio una".

Quando poco più tardi guardiamo il risultato finale, il radiologo scorre le immagini per mostrarmele.

«Vedi?» mi spiega, indicando tante macchioline che riempiono lo spazio del fegato. «Queste cose qui non ci dovrebbero essere. Queste sono tutte schifezze».

E io quando mi trovo di fronte a situazioni del genere rimango sempre un po'... un po' come non saprei dire. Ma è la sensazione che penso provino un po' tutti i medici in questi casi: è come se stessimo tutti camminando dentro a un enorme campo minato, e ogni tanto senti il botto di qualcuno che è appena saltato per aria.

Le schifezze nel fegato non sono una bella scoperta, questo non penso sia necessario spiegarlo a nessuno. In quanto a fare il radiologo, invece, sto bene dove sto adesso e non penso proprio che rientri nei miei progetti per il futuro. Ma pure questa, non penso sia stata chissà quale rivelazione.

Simone

29/11/12

Cambiare o riprendere gli studi universitari: quello che dico un po' a tutti.

Platone convince Aristotele a cambiare facoltà.
Parlando di seconde lauree o semplicemente dell'idea di iscriversi a una determinata facoltà universitaria, mi capita spesso che mi si chieda qualche consiglio, una semplice opinione, o anche quale sia la mia esperienza (essendoci passato) e il mio punto di vista.

Confesso che alle volte mi pare di non essere troppo convinto nemmeno io delle risposte che do alle singole persone: in fondo ognuno di noi è molto diverso, e i consigli che mi sembrano buoni per qualcuno potrebbero tranquillamente rivelarsi pessimi per qualcun altro.

Vorrei però mettere giù qualche punto fisso. Qualcosa che in sostanza si ripete spesso nelle esperienze di chi mi scrive o che mi conosce, e che mi trovo spesso a sottolineare e a ripetere.

Non che questo post voglia essere una risposta generica e universale a tutti, ci mancherebbe... ma insomma, mi piace l'idea di provare a metter giù qualche "paletto", qualche consiglio di base per chi vuole riprendere o modificare i propri studi, che poi magari potrei semplicemente cambiare o rivedere in futuro.

Insomma non prendete niente come oro colato, ma è solo così: per riflettere un po'.

Ha senso iniziare un percorso di studi a X anni?

Secondo me, in linea di principio, mettersi a studiare è sempre una cosa buona e positiva. Poi ci sono modi e modi per studiare, e non tutti - sempre ovviamente nella mia personale opinione - sono analoghi e altrettanto costruttivi.

Se X è un numero piccolo (tipo 20-25) e il percorso di studi porta a possibilità lavorative o di realizzazione personale nuove, non vedo sinceramente che problema ci sia. Più l'età sale e più le cose si fanno complicate, ma alla fine studiare materie utili o che ci realizzano non porta aspetti di per sé negativi, a nessuna età.

Quando però si inizia a studiare, si devono fare comunque dei sacrifici: economici (perché comunque il tempo di studio è tempo non passato a lavorare) di impegno, di libertà, di possibilità di fare altro come per esempio occuparsi della propria famiglia e della vita privata.

Insomma se X inizia a crescere oltre i 30 anni e avete tutta una serie di problemi, difficoltà, bisogni o semplici altri interessi che vengono prima, magari dello studio potreste anche fare a meno. Dovete - ovviamete - deciderlo voi.

Serve prendere una seconda laurea?

A parte che io non posso saperlo (ne ho ancora una soltanto) ci sono 2 tipi di seconde lauree, secondo me:

- La laurea che completa un percorso di studi già fatto o determinate competenze (da un tipo di ingegneria a un'altro, o da un diploma a una laurea attinente, per fare un paio di esempi): qui sicuramente saprete già come sfruttare il nuovo titolo, ed essendo inseriti in un ambiente già favorevole non avrete credo difficoltà a sapere voi per primi come comportarvi. Insomma, un vantaggio molto probabile.

- La laurea "diversa", su argomenti che non avete mai affrontato. Tipo da ingegneria a medicina, tanto per dire la prima cosa che mi è venuta in mente: qui unire le due professioni è molto più difficile, e la seconda laurea ha senso se la vostra idea è quella di abbandonare una strada per percorrerne una differente oppure se avete le idee chiarissime su cosa vorreste fare dopo. Il vantaggio dovete deciderlo voi: quanto vi interessa cambiare, e occuparvi di cose nuove? La scelta è tutta vostra.

Voglio iniziare una seconda laurea dopo questa che sto ancora prendendo. Faccio bene?

Ecco, questa posizione molto ma molto diffusa (forse la percentuale maggiore di lettere che ricevo parla di situazioni come questa) è anche quella che mi mette più in difficoltà.

Io vi direi che "non lo so" se intanto la prima laurea non volete sfruttarla. Cioè va bene finire quello che si è iniziato, ma fare progetti così a lungo termine e studiare tanti anni per cose che non ci interessano davvero... ma a che serve? Ok potreste aver bisogno della prima laurea per lavorare, ma qui le cose si complicano all'infnito: quanto vi serve quel lavoro? No, perché se vi serve davvero davvero tanto, forse la seconda laurea non potreste proprio nemmeno permettervela.

Io vi direi di "non mi pare una buona idea" se per la prima laurea state già arrancando. Se ci mettete 10 anni a fare Ingegneria, che ne durerebbe 5, forse altri 10 anni subito dopo per una laurea in chissà cos'altro andrebbero valutati attentamente. Cioè, magari lo studio non vi piace nemmeno e vi state solo distruggendo la vita sui libri quando ci sono troppe altre cose che vi piacerebbe maggiormente fare al mondo... ci avete pensato?

Io vi direi infine "vai alla grande!" se i due percorsi di studi vi prendono entrambi allo stesso modo e hanno una parvenza di possibilità di poter essere "uniti" in un lavoro futuro che li sfrutti entrambi. Ma certo seguire due passioni e portarle a termine entrambe non è da tutti... per cui in bocca al lupo!

Io vorrei provarci... ma se poi le cose vanno male?

Quando si comincia un percorso lungo come una laurea, ci sono da considerare un'infinità di fattori: prima di tutti quello economico. Poi il tempo. Poi l'età. Poi la difficoltà degli esami. Poi se la nostra determinazione ci porterà fino alla fine, o se si esaurirà a metà strada.

Ma - c'è un ma che vi renderà tutti felici - cosa cazzo ve ne frega?

Se è solo provarci il problema, a provarci non succede niente. Come dico un po' a tutti quelli che mi sembrano un po' troppo preoccupati, non è che se non passi il test muori. Non è che se non diventi medico/ingegnere/marmista è come se ti investissero con la macchina e la tua vita finisce lì.

Provarci e fare una scelta e vedere dove questa ci porta è la cosa più naturale del mondo. Basta ovviamente non fare passi troppo grandi (tipo vendervi la casa per pagare le tasse universitarie :) ma se questo non è il vostro caso, dove sta il problema?

Cioè la paura non è davvero di non passare il test, di non riuscire, di fare una brutta impressione con quei deficienti dei professori o di doversi rassegnare a dire "vabbe', almeno c'ho provato". Io ho spesso l'impressione che la vera paura - tante volte - sia più quella di riuscirci davvero. Di trovarsi in un posto nuovo, con persone nuove e una routine di vita completamente sovvertita.

La paura che avete - secondo me - potrebbe essere proprio quella di avere successo, e di cambiare la vostra vita o per lo meno di provarci per poi rendervi conto che era meglio prima o che è meglio dopo e che le vostre certezze sono comunque da mettere in discussione.

E io credo che la paura del cambiamento sia normale, nonché assolutamente condivisibile. Ma se mi dite "voglio davvero fare questa cosa, ma ho paura di non riuscirci... per cui non ci provo nemmeno" che senso ha? Secondo me non è il non riuscire che vi spaventa, ma è proprio il cambiamento a tenervi ancorati al vostro passato. Nel mio caso, per lo meno, era proprio così.

Simone

23/11/12

I colleghi antipatici.

Studente saccente con l'Harrison incorporato.



Su Facebook, capita che alcuni compagni di corso si lamentino - in modo generico - di come certi studenti siano un branco di palloni gonfiati che si danno un sacco di arie, e che non sono disposti ad aiutare nessuno: né i loro pazienti, né tanto meno i colleghi, che sono visti più come futuri concorrenti che altro.

C'è da stupirsi? Direi di no: il giorno che entri a Medicina lo fai dopo aver passato un test considerato la concezione più elevata dell'umano ingegno dopo lo sbarco sulla luna e la serie TV del Trono di spade. E nonostante il significato prognostico nullo di tale test è già plausibile che un adolescente - magari già un po' montato di suo - solo per averlo superato inizi a credersi il nuovo luminare della scienza moderna.

Poi Medicina è un po' strana. Cioè a Ingegneria per fare un esempio ti insegnavano che dovevi stare zitto e fare bene il tuo lavoro, che chi stava sopra di te (professori, committente, geometri e periti industriali, il lattaio, l'omino che controlla il contatore del gas... insomma chiunque) poteva cazziarti e insultarti quanto gli pareva e tu dovevi fare pippa.

Cioè una buona parte del lavoro dell'ingegnere consiste nel fare la cosa necessaria in mezzo a un branco di coglioni che ti gridano contro e cercano di sabotarti e che poi a lavoro ultimato ti tratteranno anche male, mentre a Medicina invece impari a restare sempre un tantino distaccato: i pazienti li prendi, li spogli, gli metti le mani addosso, decidi cosa li affligge, decidi la terapia e se poco poco hanno qualcosa da ridire significa che sono dei gran rompicoglioni, mentre tra te e loro c'è sempre un camice bianco che - in un certo senso - vi separa.

Che poi la realtà non è questa: ci sono tanti dottori bravissimi e umilissimi che con i pazienti sono degli angeli scesi sulla terra. Ho visto professori fare da cavie per i propri alunni, o specialisti con gli occhi lucidi per una brutta notizia da dare a un paziente. Però da studenti - e per certi studenti direi - l'idea che sei un po' stocazzo può piano piano prendere piede, e a quel punto ritornare sui propri passi è davvero difficile.

Capita poi che questo atteggiamento sia un po' orizzontale, all'interno dell'ospedale, e che non coinvolga cioè solo i dottori e gli studenti di medicina:

Per dire: ho conosciuto iscritti a varie professioni sanitarie che - dopo due mesi di reparto - non ti fanno un favore manco morti perché una volta un dottore gli ha risposto male e adesso ce l'hanno con tutti, oppure perché magari c'è qualche documento che spiega cosa devono o non devono fare e loro si rifiutano di muovere un dito più del dovuto.

Cioè cazzo io a 37 anni mi prendo le pressioni di tutti i malati, provo (sigh) a fare i prelievi, vado nell'altro reparto a sviluppare gli emogas (da noi non c'è la maccina) faccio gli ECG, sistemo le cartelle se c'è da farlo, seguo i professori da tutte le parti in caso gli serva qualcosa... ma che cavolo sto lì da 1 mese e quelli mi insegnano cose che da altre parti semplicemente mi sognavo. Ci sta che provo almeno un po' a prendermi anche qualche rottura di palle e rendermi utile, no?

Invece arrivano questi ragazzini di 12 anni col camicetto appena comprato, il professore più bravo dell'ospedale con 2 pazienti instabili da seguire gli chiede se per favore gli fanno una cosa e quelli "no, non è compito nostro".

Oppure vai nell'altro reparto, trovi una cosa tutta sporca di sangue (!!!) invece di farti gli affari tuoi che tanto le malattie se le prendono loro dici a uno "scusa, qua è tutto sporco di sangue non so magari gli diamo una passata col disinfettante?" con tutta la cortese sottomissione che ho appreso nel rapporto con i geometri del Comune.

E quello "chi sporca pulisce, io non faccio il cameriere, il disinfettante sta lì e puoi usarlo da solo".

Che se andiamo a vedere io lì sono solo uno studente, per cui tutto sommato non c'è nulla che sia veramente compito mio e se lo faccio lo faccio altrimenti amen: ci sarà qualcun altro che deve effettivamente occuparsene lui.

Solo che il non fare è l'anticamera della mediocrità. Prima non fai perché non vuoi, poi dopo un po' perché non sei proprio capace, e alla fine nemmeno te lo chiedono più perché nessuno si aspetta una risposta positiva. E lo stesso penso che valga per i futuri medici arroganti, che finché non escono dal tunnel mentale di sapere tutto loro è difficile che arrivino poi sul serio a fare chissà che cosa.

Che se sei scostante e antipatico e nessuno è felice di lavorare con te ci mettono poco a farti da parte. Hai le tue mansioni, entri e esci dai tuoi turni e dopo 30 anni stai ancora lì da solo in una sorta di reazione granulomatosa della società nei confronti degli stronzi.

La verità per fortuna è che di persone davvero antipatiche e scostanti, all'università come nella vita in generale, ne trovi giusto un 10-20%. Io con i miei colleghi mi sono trovato sempre benissimo, magari perché vendendo "da fuori" certe cose mi sembrano già più normali e me la prendo di meno... chi lo sa? Comunque insomma questa critica vale solo per una minoranza dei dottori o futuri tali, mentre il grosso generalmente si comporta in maniera per lo meno accettabile.

E poi trovi gente come questo signore sulla sessantina: lo vedo ogni tanto che porta le barelle, pulisce i malati, rifà i letti, chiacchiera coi parenti degli ammalati, porta i prelievi in laboratorio... fa un po' quello che serve al momento, insomma.

Sulla targhetta attaccata al camice c'è scritto che è un volontario di non so quale associazione che non mi ricordo, che c'ha un nome strano.

L'altro giorno c'era un paziente che stava malissimo: respirava male, acidosi, cirrotico, edemi da tutte le parti. Non si poteva muovere, non ce la faceva manco a stendere le gambe per quanto gli faceva troppo male tutto, e se ne stava accucciato nel letto tra tubi e fili di ogni genere, solo e dolorante.

Arrivata l'ora di cena il signore di cui parlavo si è messo lì, e con una pazienza che io non potrei avere lo ha aiutato a mangiare quello che poteva essere il suo ultimo pasto a questo mondo.

Credo che nel farlo non si sentisse 'sto grande dottore incompreso, e nemmeno il primo della classe o il salvatore dell'umanità. Sono anzi sinceramente convinto che - di certi discorsi - non gliene fregasse davvero un cazzo.

Simone

20/11/12

Vorrei raccontarvi...

Mio possibile aspetto in attesa di entrare al dottorato di ricerca.
Di come ho finalmente iniziato a studiare medicina e chirurgia 1. Non tanto, giusto un po' questo fine settimana, ma meglio di niente e un po' alla volta mi rimetterò in moto.

Di come in reparto inizio a fare sempre più cose: ECG, pressione, ossigeno... e finalmente ho fatto pure un paio di emogas. Sarebbe il prelievo di sangue dal polso, che ora è lunga spiegarvi come e perché comunque è un po' un casino e ci vorrà un bel po' di pratica prima di saperli fare davvero.

Dalla prossima volta credo farò pure qualche prelievo di quelli "normali", che le infermiere già mi hanno spiegato come si fa e tutto quanto.

Di come i professori non hanno messo appelli a Dicembre per cui mi tocca fare tutto appiccicato a gennaio/febbraio... ma forse l'ho già detto.

Di come ormai seguo i turni del mio professore (sempre in reparto) per cui ci vado pure la sera quando lui ha la notte (ma non mi fermo a dormire) e ogni volta vedo di tutto tra TAC raggi-x ecografie esami o pazienti da visitare e mi pare che in meno di 2 mesi ho imparato più cose che in 4 anni.

Di come l'altro giorno la signora in reparto mi ha detto "lei è il futuro prossimo professore"... ignorando poverina che da qui a una cattedra ci stanno 10 concorsi tutti quanti con 2 posti per 200 candidati, e che quando mi hanno riconosciuto il 20 che avevo all'esame di Fisica fatto a Ingegneria mi sono passati avanti tutti quanti.

Ma si può sempre sognare e pensare diventare il più bravo di tutti e spiegare agli altri le cose lo stesso. Di questo volevo raccontarvi insomma...

Ma è tardi e devo uscire e sono già in ritardo, per cui ora vi saluto e ve lo racconto meglio magari tra qualche giorno.

Simone

16/11/12

Prendere due lauree: c'è anche chi ha le idee molto chiare... fin dall'inizio!

Percorso di destra: 5 anni. A sinistra 6. Dritti per il ricovero.
Caro Simone,

girovagando per internet mi sono imbattuta nel tuo blog, e ne sono molto felice. :)

Primo, perchè mi hai dato nuova determinazione per proseguire i miei studi, secondo perchè mi hai dato nuova determinazione per cominciarne altri.

La mia storia è molto diversa dalla tua: non sono ancora laureata in niente, non ho passato 10 anni a lavorare facendo qualcosa che non mi rendeva felice, e non ho ricominciato a studiare passati i 30 anni. In realtà sono molto giovane, ho 19 anni e studio economia.

Il mio più grande difetto, è che al liceo sono sempre stata troppo brava in tutto, e non ho mai avuto una totale passione per qualcosa di preciso. Per anni ho voluto fare architettura e poi medicina. L'ultimo anno è stata una battaglia tra fisica ed economia.

Alla fine economia ha avuto la meglio e sono al secondo anno, ma quest ultimo periodo sono stata in una totale crisi, perchè mi sono resa conto che - per quanto possa essere interessante l'economia - studiare fisica mi avrebbe reso più felice.

Eppure quando ho scelto economia, se l'ho scelta, era perchè volevo realmente farla, nessuno mi ha costretto, e la cosa brutta è che mi sono pure piaciute certe cose che ho studiato! In una totale confusione e smarrimento, ho passato intere notti a piangere, sognando una volta di essere uno scienziato, e la volta dopo di essere il manager di una qualche azienda famosa, e non riuscivo a capirci niente.

Ora, dopo averne parlato anche con i miei ed aver letto la tua storia, ho deciso che se tutto va bene mi laureo in economia a 23 anni (ho fatto la primina, fiuuu :) ) e voglio farmi almeno una triennale in ingegneria fisica, a discapito di tutti quelli che mi dicono che sono pazza.

Finirò a 26, forse 28 anni, ma almeno avrò fatto ciò che più mi piace. So che economia non c'entra proprio niente con fisica, però che ci posso fare se mi piacciono entrambe? :)

Noi siamo sognatori, ed il mondo appartiene a noi. So che ce la possiamo fare, in bocca al lupo per tutto (da quello che ho capito ti manca poco) e grazie per avermi fatto capire che se si vuole qualcosa veramente, basta imboccarsi le maniche e darsi da fare!

Marcelina.

13/11/12

Seconda laurea a 30 anni: punto della situazione a Novembre 2012.

Non sarà ora di studiare?! Naaaaaa.... :)
Rapido aggiornamento che non facevo da un po', su tutte le varie ed eventuali.

Croce Rossa: oggi comincio con questa! Ho fatto l'aggiornamento (loro la chiamano riqualificazione) per andare in ambulanza. Adesso sono pronto e preparato - o così dicono - per riprendere il servizio col 118, e potrei insomma ricominciare a fare qualche turno.

L'ambulanza dei volontari è una cosiddetta BLS, che ha un infermiere e non un medico. Questo per assurdo vuol dire che nel momento in cui dovessi laurearmi non potrei neanche più salirci sopra, perché per motivi legali su quel tipo di ambulanza un dottore non può in nessun caso svolgere servizio.

Sarebbe da trovare qualche altro posto di Croce Rossa come ambulatori o qualcosa del genere dove imparare a fare un po' più il dottore... ma che io sappia ora come ora non ce ne sono. O forse sono solo informato male? Vedremo.

Medicina d'urgenza: l'internato prosegue a gonfie vele. Sono assegnato a un professore, e quando lui è di turno e io posso andarci (tipo la Domenica mattina!) mi faccio le mie 3-4 ore in reparto.

In poco tempo ho visto un sacco di cose e imparato (o ri-studiato) veramente molto. È che il reparto mal si sposa con gli esami universitari: se devo studiare 2000 pagine di anatomia patologica secondo me sono un pazzo a rileggermi tutto il libro di ematologia. E se hai turni, lezioni, tirocini, seminari eccetera non andarci per seguire il reparto finisce che ti danneggia quando poi devi fare gli esami. Vabbe', è la vita degli studenti di medicina. Credo.

Il blog: il blog riceve ultimamente circa 200 accessi (lettori unici) al giorno. Il vecchio blog sulla scrittura - nei momenti di maggiore successo - arrivava più o meno a 300.

Questo vuol dire che parlando di tutt'altro sono riuscito bene o male ad attirare un numero simile di persone. Per come la vedo io, sono molto più scrittore adesso di quanto non lo fossi prima... se ovviamente pensiamo agli scrittori come persone che scrivono cose degne di essere lette e non di gente (io) che passa la vita a parlare di libri sui gatti o a informare la comunità sulle buffe contraddizioni del meraviglioso mondo dell'editoria.

Penso anche che sia un po' una sorta di meccanismo intrinseco ai blog: dopo un po' arrivi a una certa saturazione che sta sui 300-500 lettori, qualsiasi cosa tu dica o faccia. Cioè è che google alla fine i lettori te li manda per forza a causa delle innumerevoli parole chiave che hai sparpagliato per la rete, e tutto sommato quello che scrivi o racconti in realtà ha un valore davvero bassino.

Penso anche che questa forma di espressione sia molto limitata e abbia già fatto il suo tempo. I blog sono spazi molto personali dove chiunque arriva può giudicarti o mandarti a quel paese e prenderti per il culo da dietro un soprannome inventato, mentre se scrivi una cosa davvero buona molto facilmente affonda giù tra i vecchi post e si perde rapidamente.

Avere un blog col proprio nome e cognome è un po' come mettersi in balcone con le braghe calate e pensare che sia una cosa da artisti, ecco. Credo però che sia importante portare le cose fino alla loro naturale conclusione, e che tanta gente arrivi qui con delle esigenze reali. Penso insomma di chiudere questo blog il giorno della laurea, e tra l'altro questo è un buon motivo per spingermi a finire il prima possibile :)

Esami: i prossimi esami iniziano a gennaio. Sono tutti appiccicati in pochi appelli, i prof non hanno messo sessioni straordinarie o anticipate e alla fine fare 3 materie in un mese e mezzo (sarebbero 5 ma inglese e gli esoneri di farmacologia non li conto nemmeno) sarà un bel casino. Sembra che la burocrazia conti di più delle capacità personali e dell'interesse nel consentire a un futuro dottore di imparare le cose con la dovuta tranquillità. Siamo schiacciati da lezioni obbligatorie, tirocini, prove pratiche, scritti, controscritti e orali vari, e come si chiede un po' di elasticità ci viene risposto che non è possibile e dobbiamo attaccarci al piffero.

La cosa buona è che tutto sommato questi esami non sembrano troppo difficili. La cosa cattiva è che in questo attuale momento non so ancora niente di niente e non ho toccato libro, per cui potrei anche semplicemente aver sottovalutato qualcosa :)

Simone

10/11/12

Il dottore inadeguato.

Il medico televisivo più verosimile.
Reparto di Medicina d'Urgenza.

Hanno da poco ricoverato un paziente nuovo, e io seguo il professore che va a visitarlo.

Il paziente si chiama Stefano, e lo troviamo sul letto che cerca di dormire. Quando ci vede apre gli occhi ma non dice nulla: ha un tubo in gola che gli impedisce di parlare, ed è quasi completamente paralizzato.

«Hai fatto Neurologia?» mi chiede il professore. «Conosci la sindrome di Guillain-Barré?»

Le mie risposte sono «No, e assolutamente no». Iniziamo malissimo.

La Guillain-Barré l'ho già sentita nominare probabilmente in qualche esame del terzo anno, ma non mi ricordo assolutamente nulla. Studiando nel pomeriggio (ri)scoprirò che è una malattia nella quale il sistema immunitario si mangia le guaine che ricoprono i nervi, e sono cavoli amari: piano piano non ti muovi più, e se non si sbrigano a intubarti è capace che muori anche soffocato.

Grazie al cielo in genere si guarisce e si può tornare a una vita normale, ma il nostro paziente stava così da un sacco di tempo e di sicuro non ho cambiato la situazione io... che non sapevo manco che malattia aveva, con tutto che me l'avevano detto.

Altro paziente, altra corsa: questa volta a lezione, un docente ci presenta dei casi clinici da commentare.

«Una signore ha fatto un controllo dove risultava tutto bene tutto a posto e tutto in ordine. Pochissimo tempo dopo però si ritrova un noduletto che gli fa male, e allora torna dal dottore. Che cosa fareste voi, nel caso si trattasse di un vostro paziente?»

«Visto che i controlli così ravvicinati erano buoni» commento io, «si tratterà di un processo infettivo. Per cui rassicuro il paziente e per il momento non richiedo analisi o accertamenti particolari».

Quanto sono figo? Ho capito la situazione, ho preso una decisione e ho anche messo in pratica la cosa aprendo bocca e spiegando a tutti il mio illuminante punto di vista. Fantastico.

Solo che dopo un po' viene fuori che il noduletto infettivo era invece una cosa di quelle proprio cattive che se quando chiami il dottore trovi anche solo il telefono occupato ti ha già fatto fuori, e io ho fatto secco il mio primo paziente.

E meno male che era solo virtuale - come li chiamano loro - che così saranno virtuali pure gli anni di galera. Almeno una ventina da scontare nel Matrix, ma con la buona condotta magari mi passano nel blog, o se mi dice bene addirittura su Facebook. Vabbe' a dire boiate invece resto sempre bravissimo.

E insomma, di casi ce ne starebbero tanti, ma non posso stare qui a raccontarveli uno per uno. Il concetto è che a impararsi i libri a memoria sono capaci tutti (chi più o chi meno, visto che io mi dimentico tutto) e fare gli esami tutto sommato è solo questione di testardaggine e voglia di arrivare alla fine.

A ripetere terapie e linee guida, che cosa ci vuole? Ti compri un bel manuale e all'occorrenza te le rileggi da lì, se proprio non te le ricordi. Anche prelievi, iniezioni e procedure varie possono fare paura, ma nella pratica chi è così impedito da non imparare mai, nemmeno dopo anni?

C'è però quest'altro aspetto della realtà, e del rapporto con le patologie e con i pazienti, che più ci si avvicina al traguardo e più diventa preponderante: il difficile, il difficile vero, è prendere le decisioni.

È mettersi davanti al paziente e sentirsi al posto giusto, sapere le cose e saperle anche mettere in pratica quando servono. Uscire dalla sicurezza del guardare e non toccare, dell'ascoltare e restare zitti. Sbilanciarsi di fronte a qualcuno che potrebbe anche incazzarsi se non facciamo le cose nel modo migliore: ok, guarda. Ho capito la tua situazione, e la soluzione che propongo è questa.

Il senso di inadeguatezza che provo di fronte ai professori e ai pazienti quando non ricordo qualcosa, quando non saprei dove mettere le mani e quando - semplicemente - non so cosa cazzo fare, è forse il gradino più alto alla fine di tutto il percorso.

La differenza credo tra essere uno studente, anche con 30 e lode di media e tutti i baci accademici dalle specializzande fighe, e diventare invece a tutti gli effetti un dottore. Piccolo, non importante, con un campo di azione limitato magari... ma che il suo lavoro lo sa fare bene e sul quale si può fare affidamento.

Spero tanto, col tempo, di superare anche questo.

Simone

08/11/12

Medicina dopo una laurea in lettere: ma poi, quale specializzazione?

Al medico non specialista è consentito GUARDARE i pazienti
(sotto la supervisione di un tutor).
Sarà che questo quinto anno iniziato con la scelta del reparto per la futura tesi ha iniziato a smuovere le acque in tal senso, perché torno ancora sull'argomento post-laurea e specializzazione e lavoro e carriera (o disoccupazione e tragedie varie... ma speriamo di no!)

Lo faccio prendendo spunto dalla lettera di Andrea, che mi scrive questo:

Ciao, sono capitato sul tuo blog per caso e sto vivendo una storia simile alla tua.
Mi sono laureato in lettere, indirizzo cinema, e ho lavorato per 2 anni come tecnico video per una tv privata. 

Quest'anno - a 26 anni - ho superato il test di medicina e ho cominciato a seguire i corsi. Puoi immaginare quali siano state le reazioni dei miei conoscenti, amici ecc. 

Ora mi ritrovo nuovamente sui banchi, in mezzo a ragazzi molto più giovani e a volte anche più preparati di me. Tuttavia sono molto felice della mia scelta.

Ho visto che hai affrontato l'argomento: secondo te quali sono le specializzazioni meno affollate, dove il fattore età potrebbe passare in secondo piano?

Andrea
Ok: niente di trascendentalmente nuovo (ne parlavamo proprio pochi giorni fa) ma vale la pena di dire 2 cose prima di lasciare la parola a qualcuno (si spera) più informato di noi.
1) A 26 anni per me non è che uno ha iniziato tardi: uno ha semplicemente iniziato un po' dopo. Manco tanto. Che se tutto va bene ti laurei a 32 anni e sei specializzato a 37... facciamo 40. E sei ancora perfettamente in un range di tempo tutto sommato normale.
 
Aggiungerei che se uno inizia a 26 anni i suoi professori tante volte manco se ne accorgono che è più grande, visto che di anni ce ne hanno più di 60 e gli studenti gli sembrano tutti dei ragazzini. Certe volte non se ne accorgono nemmeno con me!

Insomma 18-28 anni è un'età normale per iscriversi, dopo i 30 è tutto un po' diverso ma prima tutto sommato non cambia niente... a meno che uno è già sposato con figli e persone varie a carico, mi pare ovvio.

2) Io quali sono le specializzazioni dove "si entra" non lo so. Non l'ho capito, nessuno te lo spiega, da qualche parte dovrebbe esserci una sorta di elenco con i risultati dei vari concorsi per entrare (dai quali ovviamente vedere quante domande ci sono - in media - rispetto ai posti disponibili) ma io in rete non trovo niente.

Io so solo quali sono i posti dove tutto sommato è molto difficile entrare anche per studenti davvero supersecchioni (parlo oltre il 28-29 di media) e che magari capiscono anche qualcosa di medicina. Le specializzazioni blindate, almeno per quanto ne so, sarebbero:

- Pediatria (una studentessa su 2 vuole fare il pediatra).
- Ginecologia (l'altra studentessa su 2 vuole fare il ginecologo).

- Neurologia a seconda dei momenti (un anno volevano fare tutti il neurochirurgo, l'anno dopo nessuno!)

- Cardiologia.

- Dermatologia.

In generale, tutte quelle specializzazioni che ti consentono di avere un tuo studio privato sono mediamente più "piene" di quelle che ti costringono a lavorare principalmente in ospedale. Le cliniche più richieste delle chirurgiche, perché tanti medici del sangue s'impressionano e aprirti la sala operatoria privata tua tutto sommato è complicato.

Le specializzazioni dove invece si entrerebbe come meno difficoltà sono difficili da individuare: un po' perché ogni università ha un diverso numero di posti a disposizione, un po' perché le regole e la situazione cambiano da ateneo ad ateneo e di anno in anno.

Tanto per dire qualcosa, ho sempre sentito parlare "bene" di.

- Anestesia e rianimazione.
- Medicina del lavoro.
- Medicina legale.
- Biochimica clinica.
- Chirurgia generale.
Tra tutte queste, credo che il Medico del lavoro non abbia difficoltà nemmeno a trovare un impiego al di fuori dell'università... ma è un lavoro talmente simile a quello che facevo da ingegnere che non mi attira manco minimamente per niente. Per altri - ovviamente - potrebbe essere diverso.

Aggiungo che almeno a Roma pare che nessuna specializzazione rimanga con posti vacanti. Nel senso che finiti i concorsi tutti i posti sono presi, e chi non è entrato non è entrato e per un anno rimane fuori. Auguri e figli maschi.

Credo anche però che ci sia un po' di terrorismo: è vero che certi indirizzi sono troppo affollati, ma non sempre la situazione è così drammatica e magari non è così difficile trovare un posto in un reparto che ci piace, magari avendo un po' di pazienza e determinazione.

E voi, che ne dite? Si accettano consigli, precisazioni e suggerimenti :)

Simone

05/11/12

Il problema con Anonimo.

Cosa succede quando scarico la posta.
Io in realtà con Anonimo non ho mai avuto nessun problema.

A dire il vero tengo un blog (con alti e bassi) da almeno 5 anni, e se devo essere sincero l'idiota di turno che passa a insultarmi senza particolari motivi l'ho sempre trovato divertente. Cioè a un certo punto avevo iniziato a collezionare gli insulti di tutti quei poveracci che - spinti da chissà quale inganno a leggere i miei libri - cercavano consolazione venendo a "casa mia" e riempiendomi di parolacce.

Alcuni erano fantasiosi, originali, bellissimi addirittura! E poi anche l'insultatore anonimo è sempre meglio del nulla e del silenzio che opprimono tanti blog e tanti articoli online: se stiamo sul cazzo a qualcuno abbiamo pur sempre ottenuto qualcosa. Siamo pur sempre vivi.

Però, a volte, ci sono dei momenti in cui anche le meraviglie dell'anonimato iniziano a pesare un po' a noi ingegneri ex scrittori blogger studenti di medicina: ci siamo riuniti in una sorta di comitato, e abbiamo deciso che la pioggia di email di spam alla quale veniamo sottoposti regolarmente inizia a diventare una vera rottura di coglioni.

Perché voi magari non lo sapete, ma blogger ha un filtro suo: se qualche rompipalle di spammer robot cinese vuole vendermi le pasticche contro l'impotenza o l'unguento magico per lenirsi il deretano, i meravigliosi geni di blogger lo sgamano e cancellano immediatementissimamente il suo commento spammoso, che voi sul blog nemmeno lo vedete.

Solo che a blogger però sono un po' stupidi, perché pure se il commento lo cancellano mi inviano lo stesso la notifica via email: "Anonimo@rompicazzo.com ti scrive che c'hai il pisello piccolo e in Estonia lo sanno tutti, ma noi l'abbiamo scancellato coi poteri dell'antispam". Tante notifiche via mail. 10, 20, anche 50 al giorno. E non se ne può più che c'ho sempre la mail piena di monnezza.

E poi c'è quest'altra cosa, che cioè un sacco di lettori del blog chissà perché non si firmano e non c'hanno voglia manco d'inventarsi un nome inventato, tanto per non farsi riconoscere pur rendendosi tutto sommato riconoscibili.

Che a me sai che mi frega se uno non si firma? Io sono contento dei commenti colle parolacce, già ve l'ho detto! Però tra 200 mail col mittente Anonimo che cancelli rischi che in mezzo ci finisce pure l'Anonimo che non spammava ma era anonimo e basta, e insomma qualche commento te lo perdi.

E un po' me lo chiedo: che sul mio blog non si parla tanto di medicina e ingegneria. Cioè, si parla di quello ovvio. Però l'idea è più di prendere una cosa che ti fa cagare, buttarla via e ricominciare da capo. Un po' un discorso su io che cambio vita e allora, bo', scriviamolo a tutti su Internet.

Per cui l'idea che uno pensi la stessa cosa ma non si firmi, e ci tenga tanto ma tanto a non essere riconoscibile, un po' ci fa capire in che posto di merda viviamo, no? Cioè la tua vita fa schifo ma che vuoi cambiarla è meglio che non lo sappia nessuno, che poi ti criticano, ti rompono un sacco i cosiddetti e semplicemente magari ti pigliano pure per il culo.

È che qui a cambiare il mondo a parole so' boni tutti, ma nella pratica è meglio che non lo dici e ti fai i cazzi tuoi, che sono tutti dei belli ipocriti pronti a tirartela e - soprattutto - a rosicare. Oppure ti spammano il blog coi messaggi porno che poi quando li clikki ti prendono i virus e gli hacker ti rubano tutti i soldi, mortacci loro.

Visto in che mondo viviamo? E a me insomma basterebbe poter rimuovere queste notifiche dello spam che diventano a loro volta uno spam insopportabile, ma non si può.

Di mettere i Captcha non se ne parla perché li odio. Moderare i commenti sarebbe comunque una rottura, e richiedere una registrazione tipo OpenID temo azzererebbe i già pochi commenti che ricevo.

L'unica insomma è dire a blogger di non avvisarmi più dei commenti sul blog, né quelli buoni né quelli cattivi. Così non arrivano più mail e amen, e per vedere se qualcuno mi ha scritto mi collego al blog e vedo direttamente se qualcosa è arrivata.

Il rischio così è perdermi qualche commento sui post vecchi... ma che altro posso fare? È questo - vi dicevo - l'unico problema che ho con Anonimo, o con la gente che scrive stronzate in generale. Che in mezzo a tanto casino e a tante cose senza senso che si dicono, c'è il rischio che si perda pure qualcosa di importante.

Ma come vedete - purtroppo - non c'è rimedio.

Simone

01/11/12

L'internato a Medicina d'Urgenza.

Strumento per riprendersi da un turno di notte.
Grandi notizie. Notizione. Notizie fantastiche, rivoluzionarie. Quasi epocali: ho chiesto l'internato per la tesi nel reparto di Medicina d'Urgenza.

E ok, 'sta cosa già si sapeva (visto che l'avrò detto 48 volte nelle ultime 2 settimane) e come notizia forse non è poi così "voluminosa" come ho fatto credere.

Però insomma adesso ci siamo arrivati davvero: dopo il primo mese di prova in reparto, ho parlato coi professori ed è venuto fuori che mi sono trovato bene io, non hanno curiosamente nulla in contrario loro, e dunque sono ormai ufficialmente interno a Medicina d'Urgenza.

Questo vuol dire che per i prossimi due anni (sperando ovviamente di non intopparmi con gli esami) oltre ai diecimila impegni universitari frequenterò anche questo reparto nell'idea di farci una tesi e - diciamo che l'idea sarebbe quella - laurearmi.

E ok, due parole - due - su come funziona l'internato.

Mi hanno affidato a un professore di quelli davvero disponibili, e qui è già una bella fortuna e probabilmente anche il principale punto a favore.

Ogni mese stampano un calendario con i turni di tutti i professori. Io vedo quando c'è il mio, e se non ho lezione o altri impegni vado in reparto in quegli orari.

Insomma mettiamo che il turno è la mattina: io la mattina alle 8 (facciamo 8 e 15, che sono ritardatario per vocazione) sono già lì e inizio a seguire il giro visite col professore e gli altri studenti.

Durante il giro prendiamo i parametri vitali, sentiamo il cuore, ascoltiamo il torace, eccetera. Poi magari guardiamo TAC, lastre, ecografie, e se non capisco qualcosa - cioè sempre - il professore me le spiega.

Poi se necessario facciamo gli elettrocardiogrammi, provando anche a interpretarli (qui diciamo che sto migliorando) e se serve un emogas o altro si fa insomma tutto quello che serve.

La cosa buona è che - di tutti quelli che ho frequentato - è il reparto dove gli studenti fanno probabilmente più cose. Resta sempre una sorta di vuoto su alcuni argomenti (dermatologia? Pediatria? Per dirne solo un paio) ma l'ospedale è basato su una moltitudine di specialisti e non sul singolo dottore, e questo purtroppo è un problema di tutte le specializzazioni.

Però tutto sommato Medicina d'Urgenza come Medicina Interna o Chirurgia Generale affrontano casistiche abbastanza variegate, e potrei colmare qualche lacuna andandomi a cercare qualche ambulatorio utile allo scopo. L'idea, in effetti, sarebbe quella.

La cosa cattiva è che i turni possono capitare in qualsiasi giorno e in qualsiasi orario. E non è che nessuno ti obblighi ad andare (credo anzi che, almeno per i primi mesi, non vorranno che vada la notte) ma se fai la domanda in un reparto del genere secondo me o ci vai, oppure tanto valeva chiedere da un'altra parte.

Il lavoro per chi si inserisce in questo settore è fatto di turni festivi e di notte, responsabilità, poca possibilità di lavorare nel privato. È evidente insomma perché siano altri i settori più ricercati, dove gli studenti si affollano maggiormente.

Però io non saprei tanto dirvi perché, ma a me piace proprio per questo. Mi piace fare tante cose, mi piace vedere tanti pazienti in un solo turno. Mi piace anche andare in ospedale in orari strani così come facevo quando andavo in ambulanza la Domenica o sotto le feste, vivendola insomma come una strana forma di libertà.

Mi piace perché io ho fatto medicina per imparare a fare il dottore. Per diventare "bravo", con le dovute virgolette e con tutti i limiti e le difficoltà che può avere uno che ha iniziato così tardi. E correre dietro a chissà quale posto ambitissimo solo per avere un determinato titolo non mi interessa... anche perché - tutto sommato - potevo benissimo accontentarmi di quello che avevo già.

Che poi è vero che la specializzazione è importante, e che certi percorsi sono migliori di altri. Non mi faccio illusioni. Ma credo anche che sapere e saper fare le cose sia la base minima su cui costruire una qualsiasi carriera in qualunque ambito, mentre pezzi di carta e titoli vari - quando stiamo di fronte ai fatti concreti - contino solo fino a un certo punto.

Simone

27/10/12

Laurearsi passati i 30 anni: significa rimanere disoccupati?

Figli di medici non entrati in specializzazione.
Riporto la lettera del mio "collega" Giacomo (e la mia relativa risposta) che contiene un discorso che è più o meno all'ordine del giorno tra gli studenti di Medicina, anziani e meno anziani... e anche quelli giovani o che stanno ancora al liceo ma che sentono parlare di crisi, le tasse e compagnia bella e già non ci dormono più la notte.

Lettera di Giacomo:

Ciao Simone,
sono uno tuo collega anziano e ci siamo già scritti. Sono passato pure sul tuo blog che ogni tanto visito.

Sto seguendo il terzo anno, in particolare i tirocini di semeiotica. Ho letto il commento - uno dei tanti - che diceva che siamo un po’ troppo ottimisti e che il lavoro a 45 anni non ce lo darà nessuno.

Io ne ho 35 e sono al terzo, ma certo si può anche perdere tempo e un paio di esami indietro ce l’ho. Quindi la paura ogni tanto c’è, il pessimismo pure e mi capita di chiedermi se nel riprendere gi studi ho fatto una cazzata o meno.

A te qualche prof ti ha detto mai "non troverai lavoro, sei spacciato"? Ora sei al quinto, quindi qualche chiacchierata te la sarai fatta o no? Che t’hanno detto?

Giacomo.

La mia risposta:

Oddio che ansia che mi hai messo! :)

Proprio oggi con gli altri interni parlavo della specializzazione e l'aria era un po' funerea già per loro (molto) più piccoli e con medie (molto) più alte.

I prof non mi dicono nulla, ma secondo me entrare in specializzazione nella nostra facoltà è difficilissimo per tutti non solo a seconda dell'età, ma semplicemente perché è proprio un sistema del cavolo.

Io penso anche però che la specializzazione ambita e la professione da luminare siano un miraggio (per noi 30 e passa enni) ma una specializzazione meno richiesta e un lavoro dignitoso siano fattibili.

Credo poi che se uno impara davvero a fare qualcosa e si laurea con delle vere capacità, probabilmente le cose cambiano. Già a fare guardie o visite a domicilio qualcosa si guadagna, poi una specializzazione poco richiesta magari ti dà altre possibilità lavorative e piano piano un lavoro ce l'hai e te lo costruisci.

Simone

Ok questo era lo scambio di lettere.

Scusate se sembrerà un po' confuso, ma aggiungo che in effetti ci sono dei ragazzi che già con medie altissime (parliamo di un 30-40% del corso che ha una media sopra al 29) hanno difficoltà anche solo a trovare un reparto da frequentare, perché i reparti più "prestigiosi" per così dire sono pienissimi e non fanno entrare che pochi studenti.

Se è dura con la media del VENTINOVE E SETTE pensate poi che queste persone con valutazioni stratosferiche andranno anche a saturare le altre specializzazioni: se non entri a Pediatria o Ginecologia perché non ci sono posti, provi anche altri concorsi e per forza di cose finirà che i 220 e lode prenderanno tutti i posti anche in ambiti che non gli interessavano, rimarrendo magari frustrati e delusi. Mentre quelli come me (non dico "noi" perché non so che media ha Giacomo) non entrano da nessuna parte scontentando a questo modo buona parte dei neolaureati dottori che o faranno una specializzazione che non gli interessa, o che semplicemente non ne faranno nessuna.

Inoltre finita la specializzazione è tutta da vedere se trovi davvero qualcosa di serio da fare. Voglio dire, siamo obiettivi: i posti di lavoro sono comunque limitati, e se hai la media del 30 non vuol dire che sai davvero fare qualcosa come si deve (e io anzi sono piuttosto critico su un sistema che premia SOLO i voti, e di questo riparlerei in futuro) e rischi che finiti gli studi non ci saranno tutte queste persone a cercarti per darti delle responsabilità e - soprattutto - dei soldi.

Molta gente insomma si laurea e si specializza perfettamente in regola, ma poi si ritrova nella stessa situazione di quelli che non entrano nelle varie scuole e non sanno più cosa fare, solo qualche anno più tardi e con un sacco di tempo perso in più alle spalle.

Insomma c'è molto da dire e molto su cui discutere, e in 2 anni credo che ci torneremo spesso. Per ora, direi che posso fermarmi qui.

Simone